Sani Maria Eletta Falerone nel monastero di Falerone Diario spirituale cc. 250- 251

SANI Maria Eletta cc. 250- 251 28 maggio <1753>
Viva Gesù e Maria
A gloria di voi, mio Dio, scrivo e per obbedienza del vostro Ministro.
20 di maggio: fui costretta dall’obbedienza di aprirmi in qualche cosa da questo Filippino, uomo di età vicino a sessanta anni e pratico delle monache, siccome monsignor Vescovo se ne serve (di) continuo, essendo uomo di grande bontà. Mi ci fece ritornare e siccome volle che io mi vincessi, provai gran difficoltà, non solo per il mio pessimo naturale, ma ci si aggiunse anche il demonio. Uscita che fui dal concessionario vidi come un animalaccio volare per il monastero. Subito mi figurai che fosse il demonio. Chiusi gli occhi; ma mi si accostò e mi disse:” Mancava questo confessore che tu ingannassi. Tutti i confessori inganni tu. Noi peccammo per superbia e tu pecchi per malizia. Sei peggio tu che noi demoni”. Queste furono le parole del demonio. E la sera mi trovai a letto con varie tentazioni. Non potei far a meno di non confidare il caso al Padre straordinario. E lui mi disse che il demonio cerca di ingannarmi e che neppure lui la notte aveva potuto dormire per l’agitazione, che mai gli era successo da che si trovava qua.
Questo Padre mi insegnò che precettassi il demonio col dire: “Fuggi da me spirito infernale con tutti i tuoi compagni in nome di Gesù e di Maria (a cui) io dono il cuore e l’anima mia”. Sono state parole molto efficaci per me.
Questo padre fece un comando a quella monaca che io, per obbedienza e con l’approva(zione) di V. R. aiuto. E lo f(acci)o con tutto il cuore e solo per la gloria di Dio e per vantaggio dell’anima sua. La medesima monaca mi venne a trovare e mi palesò tutto il suo interno. Da che io era entrata in monastero, mi portava un odio che cercava di darmi la morte e il demonio la tentava che ogni volta che aveva un coltello in mano, con quello voleva darmi la morte e se poteva, voleva cercare di farmi uscire. Insomma la poverina fece questo atto di mortificazione per vincere la tentazione: ma l’odio non finisce ché il demonio ce la tenta. Ma la detta religiosa si porta bene. Non ha bisogno di orazione. Mi creda che io lo f(acci)o in un modo particolare e cerco di aiutarla. E l’avermi detto questo odio che ha verso di me, mi ha mossa a compassione e gli effetti che io ho provato di averne più premura e prego il Signore che se non avesse con questo odio offeso Dio, ne dia a me la penitenza, acciò in punto di sua morte non si abbia a trovare a purgarli. Si vede che il demonio mi perseguita perché non mi ha potuto dare la morte: lui va ora tentando le creature per darmi la morte, di essere uccisa. Ma nulla mi spaventa perché spero in Dio che mi darà forza e grazia di dare aiuto a questa religiosa. Mi venne in mente di levarmi da questa briga, di lasciare questa religiosa. Ma mi intesi un impulso; che, se Gesù facesse così con me, di lasciarmi, che farei?
Povera me! Dissi al confessore questo pensiero, di lasciarla, però temevo che il demonio non ne tirasse qualche gran catena, e lui mi comandò con nuovo ordine che seguitassi (ad) aiutarla. Ed ora me ne sto contenta perché, quando mi chiama questa monaca, ricorro a Dio perché io lo f(acci)o per obbedienza e mi dia lume e grazia. E Dio ci concorre in un modo particolare e, grazie al sommo Dio, le cose vanno bene.
Le dico un mio continuo impulso e l’anima mia non si trova mai quieta se non quando le cose le f(acci)o (con) quella poca perfezione e rettitudine di intenzione; in qualunque opera che io faccia, o pensi o parli, se non l’ho fatto con una rettitudine non solo ordinaria, ma pare che Dio mi dia questo veemente impulso di operare con perfezione e che dovrei vivere in una continua presenza di Dio, non solo con il pensiero, ma con il cuore e con tutte le potenze e affetto di anima. Insomma, pare che Dio, a forza di acutissimo rimorso, vuole che io operi e di continuo viva in Lui: allora mi trovo quieta. Se poi passa qualche breve tempo che io non abbia avuta la presenza di Dio interiore e intrinseca di affetto verso Dio, allora ne provo un gran tormento e rimorso di coscienza. Questo credo che sia di Dio. Poi mi sento questo gran martirio di desiderio: (a)l vedermi che io viva senza patire, è un gran patire per me il non patire, perché ho meritato le pene eterne. Poi come ho da essere sposa di Gesù per invitarlo, senza patire? Vero è che si pena, ma non è patire che appaghi il mio spirito.
21 del corrente (mese): la mattina feci la solita orazione in comune e mi accaddero le cose solite, cioè la cognizione del proprio spirito con quel timore e oscurità di non sapere se io viva o se sia in salvo col recitare l’Officio in coro. Lo divido in pensare e di stare unita con Dio cioè il Mattutino, il primo Notturno: la licenza che Gesù prese da Maria per andare alla morte; il secondo Notturno; la cena quando Gesù istituì il SS.mo Sacramento, il Terzo: l’orazione nell’orto; le Lodi e le Ore, via discorrendo, il Vespro i cinque Salmi: mi nascondo nelle cinque Piaghe; Compieta: sepolto Gesù nel mio cuore.
Il 22 lo passai al solito. La sera mi presero i soliti battimenti di cuore e con aggiunto un veemente impeto che pareva mi volesse staccare l’anima dal corpo. Mi sentivo vampate di fuoco nell’interno che io non so dichiararlo. Mi causò una debolezza e svanimento di testa che la Maestra delle educande, la quale è restata pure nella medesima stanza, mi fece andare a letto. Ed io appena mi accorsi, e la notte la passai con gran dolore in petto. Questo dolore è quasi continuo, notte e giorno.
Il 23 facemmo la Comunione con tutta la comunità. Abbiamo fatto la Comunione cinque giorni di fila ed io l’ho fatta sempre tutti i giorni di comunione. Ogni volta dopo aver ricevuto Gesù Sacramento mi (è) accaduta una cosa la quale io non so spiegare perché poco dopo è stato il tempo che io con sentimento abbia fatto atti d’amore e conoscimento che Gesù stava nell’anima mia, che dopo mi sentivo svenire la testa e a me pare di stare discorrendo con Dio, ma è in modo che non so spiegarlo, perché mi trova svanita e benché abbia fatto forza alle mie potenze tanto non mi è riuscito stare in me. Come sia non so (ri)dirlo. E questo mi è accaduto ogni mattina dopo la Comunione di questi cinque giorni.
Più volte (a)l giorno mi sento impeti di unirmi con Dio con quell’unione che la divina Misericordia mi ha fatto intendere e l’anima mia va cercando dove sia l’amato Dio. E da questo mi nasce una pena interna e vado esclamando: “Dove siete, amato Dio?” Più volte al giorno mi sento la voce di Dio che pare parli al cuore in brevi e fugaci parole, come sarebbe a dire ora una, ora l’altra. Mi sento che mi dice che mi unisca, che quando che si va a visitare il SS.mo lo adori con gli angeli; ora di sentire nelle piaghe di Gesù, come fanno gli uccelli che vanno al nido, altre volte che io debba offrire il sangue di Gesù per i peccatori.
E pare che Gesù mi faccia vedere le sue piaghe aperte acciò le offra per tutte le anime viventi e per le anime del Purgatorio. Mi sento che io debba desiderare il martirio per amore di Dio. Altre volte mi dà lume ed insieme una pena perché Dio mi faccia conoscere che la sua divina bontà non è amata però di continuo mi sento questa pena e in bocca mi viene e dico: “L’amore non è amato. L’amore non è corrisposto!” Ma la maggiore pena è il vedere che non è amato da me. Ne ho tanto .
Anche ieri che fu 27 feci l’orazione. Mi accadde questo svanimento di testa che non capisco dove mi stia. Mi fa pena perché dico: “Mio Dio, che è questo che io non intendo?” Dovrei stare in atti d’amore, di domanda per (ricevere) il suo aiuto e mi trovo sì stordita: che sia, io non l’intendo.
Ricevei una sua, ieri che fu il 27, dove mi dice del mangiare. Mi aiuto più che posso perché il Confessore mi ha comandato che mangi ciò che mi viene avanti: della carne e minestra quanto la provi per fare l’atto di obbedienza. Ma io ci sto bene con poco e se mangio di più mi fa male. Non mancai di far sentire la sua lettera, dove mi accennava, alla M. Badessa. Ma lei rispose che vuole fare ciò che vuole, onde non so che dire. Circa il Confessore, non va via fino a settembre o ottobre. Quello straordinario è già partito e mi regolai con l’obbedienza in quelle cose che mi domand(ò) e per obbedienza mi fece parlare; ma si può dire che non gli abbia detto quasi (niente) … (La) M. Badessa e Confessore e tutte … (la riveriscono). Richiedo la sua Benedizione. I miei saluti all’Angelina che preghi il Signore per me e per la conclusione della nostra lite. Godo che vi siano della anime buone e la causa del santo cardinale Bellarmino sia andata bene.
/Ceralacca e indirizzo/ Al molto rev.do Padre padrone col.mo – Il Padre Giacinto Aloisi della Compagnia di Gesù – Perugia per Città San Sepolcro.

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