Maria Eletta Sani lettera c. 111 monastero Falerone

Lettera ai Suor Maria Eletta c. 111
Viva Gesù
Il patire per me non credo che sia incominciato; io non che sia sazia di penare perché per quello che merito è un nulla; anzi se Dio mi userà misericordia di darmi da penare fino al giorno del Giudizio, per me sarà poco. Sazia è la stessa umanità di sopportare me stessa. Pare che le stesse membra del corpo non possano reggere. Mi sento come se il mio corpo fosse di piombo e questo ora mi è insopportabile e ora impazienza mi cagiona e ora non mi affligge. Ma questo poco importa. L’eternità non avrà mai fine. Questa è la paura di penare in eterno. Questa non credo che sia tentazione, mentre riconosco me stessa e vedo che altro non merito che le pene eterne. Ieri sera feci la solita orazione mentale datami dall‘obbedienza. Ma non può credersi la disperazione che diffidenza mi cagionò. Dopo un pezzo cercai di divertirmi per non poter reggere a tale cosa. Tanto mi forzai e incominciai a dire le parole del lebbroso sanato dal Redentore, dicendo: “Signore, se volete, mi potete guarire dalla mia lebbra, la quale mi rende la povera anima una lebbra di peccato”. Ma tanto non mi giovò riflettendo alla misericordia di Dio che è infinita, tanto non mi cagionava speranza. Riflette! alla bontà di Dio quando volle andare in casa del Centurione a risanare il servo che giaceva paralitico e volle il Redentore andare in casa dicendogli: “Veniam et curabo eum”. 0 eccesso della bontà divina! Eppure non mi cagionava effetti di sperare. Io non so capire me stessa sapendo che solo la speranza è la colonna che mi potrà sostenere e salvarmi. Di scrivere già non mi va, la testa non mi regge più. Oh, in che colmo di amarezze il nemico mi tenta che dovessi fare un capestro per strozzarmi da me stessa! Ed io rispondo: “Tu sei un matto, non voglio dare udienza alle tue mattezze!” E dice che se non lo voglio fare da me stessa basta che io gli dia il consenso che lui farà tutto. Ed io dico che faccia tutto quel che Dio gli permetterà e non più. Non mancano i soliti assalti di impurità e la difficoltà e una pigrizia di fare tutto quello che l’obbedienza mi comanda. Ma tanto mi aiuto più che posso. Io non so che mi fare, se il ricorrere all’orazione e sollevare lo spirito in Dio pare che mi cagionano più confusione. Tutto mi sento di aborrire, una cosa tanto cattiva. Mi sento morire. Odio al Paradiso, odio ai Santi, odio alla fede, alla speranza e all’amore di Dio, alla propria salute dell’anima: non mi curerei di salvarmi. In somma vorrei distruggere la propria anima, non vorrei che si trovasse in cenere, la vorr(ei?) vedere. 0 Dio, son cose d’inferno! Nulla mi giova. Le pene mi danno spasimo. Se penso all’inferno mi cagiona più disperazione. Se penso al Paradiso e alla bontà e misericordia di Dio, oh che (son) lontana! Mi pare di aver perduto tutto. E’ un pezzo che io sto così fra questa angustia. Dio, vorrei sollevare lo spirito, ma io non so ricavare né spirito, né potenza. Mi raccomando alla sua s. orazione e resto domandando la sua s. Benedizione,
/ Ceralacca e indirizzo / Al P. Scaramelli \

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