NEPI GABRILE RACCONTA IL PARROCO DI TORCHIARO NARRATIVA AMENA E COMMOSSA

Titolo originale di Gabriele Nepi ” Lu curatu de lu Trocchià ” Fermo 2002
RITORNO
Il tempo è passato! Sono trascorsi degli anni, ma il ricordo della mia prima sede scolastica, di Don Costanzo, delle sue perpetue Peppina e Pasqualina è rimasto vivo nel mio cuore. Tante volte nelle vicissitudini della vita in varie parti della penisola, dove per lavoro scolastico sono stato mandato, ho ripensato al piccolo, lindo paesino.
Nell’anniversario della scomparsa di Don Costanzo, mi sono recato con la mia Fiat Punto (diretta discendente dei miei mezzi di locomozione di cui il capostipite era stata la “Vespa”), al piccolo cimitero del paese. L’ho parcheggiata proprio davanti al cancello d’ingresso, dove il parroco soleva rivolgere l’ultimo saluto alle salme dei suoi parrocchiani prima che entrassero nel sacro recinto luogo del riposo eterno.
Sopra l’ingresso, in alto, campeggia la scritta ‘Resurrecturis’ cioè a coloro che risorgeranno. L’avevo letta tante volte, ma oggi ha un significato diverso, pregnante di promessa di vita eterna.
Mi sono recato davanti al loculo che raccoglie le spoglie mortali di Don Costanzo … Ho sostato a lungo davanti alla sua effigie: serena, precisa come quando era vivo. A fianco, vicine l’una all’altra, riposano anche Peppina e Pasqualina, qui venute a pochi anni di distanza.
Un giro tra le tombe e i loculi mi ha fatto rivedere Righetto, Quarantò, Cucciulì; più in là, elegante e quasi parlante, Pilluccu il poeta mancato.
D’improvviso si sono affollati nella mente fatti ed eventi vissuti; come in un film ho rivisto il primo giorno di scuola: Don Costanzo che era là ad aspettarmi per augurarmi buon lavoro; ho rivissuto emozioni, stati d’animo, situazioni…
Dal mio cuore allora è sgorgato un grazie sincero: caro Don Costanzo, quante lezioni di vita mi hai impartito! Ai tuoi consigli debbo qualche affermazione professionale compreso il modo di parlare al pubblico, la tecnica del porgere. (Forse superiore all’Arte Poetica di Orazio!)
I tuoi consigli sono stati efficaci, producenti, anche là oltre Oceano, quando, grazie ad una borsa di studio, mi sono recato per affinare e potenziare la mia cultura linguistica e a proseguire la strada della ricerca storica che ha dato i suoi buoni frutti. Grazie soprattutto dell’ottimismo di vivere, di lottare per la verità e la giustizia, che mi hai inculcato e trasmesso ed io ho ritrasmesso ai miei figli!
Tutto in quel periodo con te è stato bello e determinante per la mia esistenza futura, soprattutto il tuo sostegno, che in me orfano di padre, è stato un cardine di forza morale.
*
Immerso profondamente nelle mie riflessioni sarei rimasto lì chissà per quanto tempo, se mia moglie, venuta con me per curiosare e conoscere i luoghi dei miei ricordi, non mi avesse riscosso con il suo richiamo. “Dai, il buon curato ci guarda dal Paradiso”, esclamò.
Allora sono tornate alla mia mente le considerazioni che Don Costanzo faceva spessissimo sul buon ladrone, l’espressione che usava per incoraggiare i morenti, “Oggi sarai con me”; “Appendi alla croce le tue brutte storie e Cristo le pulirà con il suo sangue”; oppure quella sua curiosa affermazione: “L’importante è non perdere l’ultimo tram di corsa… per giungere al capolinea”.
*
Sistemati alcuni fiori, rossi per la precisione, perché egli amava questo colore, scendemmo verso il paese e ci fermammo proprio davanti alla chiesa.
Entrati, notai subito un’aria di pulito, di ordinato, di lucido. Il rumore della porta richiamò l’attenzione del nuovo parroco che mi si fece incontro per chiedermi se avevamo bisogno di qualcosa. Mi presentai e presentai mia moglie. E appena udì il mio nome, fece un’esclamazione di meraviglia. Aveva sentito tanto parlare del “maestro”, poi divenuto professore, poi direttore.
Per molti del paese, ero un benefattore per eccellenza!
Mia moglie (sottovoce) mi fece: “Aspetta e tra poco ti ritrovi con l’aureola in testa da vivo”.
Parlammo con il parroco, anziano anche lui, destinato lì quasi per riposare, perché la parrocchia ormai contava poche anime. Passai in rassegna molti dei miei ex-alunni ormai uomini maturi. Pochi in verità erano rimasti in paese; molti, raggiunto il diploma all’Istituto Industriale, si erano trasferiti a Milano, a Bologna, Torino, Venezia. Altri si erano arruolati nei Carabinieri, nella Guardia di Finanza; uno, il più vivace, era entrato in convento.
“Chi, Daniele?” Fui proprio meravigliato, perché era un bel furfantello… Ricordai quella volta che per fare uno scherzo buttò le chiavi della chiesa dentro un pozzetto; un’altra volta aveva chiuso dentro un barattolo alcune api e l’aveva aperto davanti al viso di Peppina e Pasqualina che ne furono punte…
Naturalmente parlammo di Don Costanzo… Il nuovo curato mi invitò nella canonica e mi mostrò tutte le foto dell’epoca, che aveva sistemato in una bacheca come archivio degli avvenimenti importanti del paese. Ricordo la meraviglia di mia moglie, nel vedere quelle immagini un po’ ingiallite, ma così significative. Sotto ogni foto infatti aveva inserito una didascalia che specificava, data, avvenimento, protagonisti.
C’erano anche le foto dell’edificio scolastico, dalla prima pietra fino al completamento dei lavori. Dinanzi ad esse il mio cuore ebbe un tuffo, come se qualcuno mi riaprisse un antico libro, per rileggere quei versi pascoliani che sintetizzano questa mia storia, che potremmo definire familiare.
Infatti proprio qui ho trovato la mia seconda famiglia, qui ho posto le radici della mia professione. Li cito così come li ricordo:
“Rivedo i luoghi dove un giorno ho pianto. Un sorriso mi sembra ora quel pianto. \ Rivedo i luoghi dove un dì ho sorriso oh! come lacrimoso è quel sorriso! Questi versi “fotografano” una vicenda umana, uno squarcio di vita paesana, la mia cronaca familiare, intensamente vissuta ed amata.

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