SAPIENZA E GIUSTIZIA NELL’UMILE GIUSEPPE PADRE DI GESU’

IL SAGGIO E GIUSTO PADRE DI GESU’

   Giuseppe, padre di Gesù, pregava il salmo 111: «Principio di sapienza è il timore di Dio: rende saggio chi ne segue i precetti. La lode del Signore rimane per sempre (Sal 111,10)». Egli meditava il libro di Giobbe (20, 12): «… ma la sapienza da dove si estrae? e il luogo dell’intelligenza dov’è? (28,20)» Non sono realtà da comprare o scambiare: Dio solo sa dove si trovi. «Ecco: il timore del Signore, questo è sapienza; evitare il male, questo è intelligenza (28,28)».

   Dalle meditazioni bibliche Giuseppe apprende come Dio si manifesta a quelli che confidano in lui, per stare con lui si allontanano da ogni discorso insensato e rifuggono dall’ingiustizia, dalla maldicenza, dallo spadroneggiare. Giuseppe è giusto nel comprendere la verità e la fedeltà fino alla fine. È perspicace nel timore di Dio che lo conduce alla sapienza. «Chi teme il Signore si convertirà di cuore (Sir 21,6)». Sa usare attenzione, prudenza e rispetto verso gli altri. Il consiglio del saggio «è come sorgente di vita (28,13)». Al confronto la sapienza umana è vuota.

   Giuseppe, marito di Maria di Nazaret, nella preghiera cerca e trova la sapienza e la giustizia, che gli giungono come grandi doni di Dio, per cui ha il cuore docile e sa distinguere il bene dal male. Sapiente è il suo discernimento nel giudicare le vicende umane. Il diacono Stefano negli Atti degli apostoli ricorda le opere di Dio compiute per mezzo del figlio di Giacobbe, di nome Giuseppe, quand’era schiavo in Egitto Dio «gli diede grazia e sapienza davanti al faraone re d’Egitto(At 7,10)» Anche il padre di Gesù, Giuseppe, ha avuto la saggezza e la giustizia che lo orientano verso quello che è richiesto dal Signore nei comandamenti.

   Saggezza e stoltezza sono descritte e narrate da Gesù con la parabola delle dieci vergini di cui cinque erano persone avvedute e presero l’olio per alimentare le lampade durante la notte; mentre le altre cinque si trovarono impreparate al momento dell’arrivo dello sposo e furono escluse. Gesù conclude. «Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora (Mt 25,13)». Non si tratta di ammassare beni materiali, come il ricco che si diceva soddisfatto dei nuovi magazzini riempiti, ma morendo la stessa notte, annichilì quel suo progetto edonistico: «Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e divertiti (Lc 12, 19s)».

   Nell’esortazione di Paolo ai Corinzi, il dono divino della sapienza non fa porre fiducia in noi stessi, ma nel generoso intervento di Dio: «… e per la speranza che abbiamo in lui, ancora ci libererà (2Cor 1, 10)». Giuseppe, educatore di Gesù, valuta ogni cosa non soltanto nella materialità ma le vede alla luce di Dio e pensa a lui e desidera con cuore umile i beni spirituali.

   Sa tacere con mitezza mentre ascolta gli altri. Come sono qualificati i doni della saggezza e della giustizia? L’apostolo Giacomo dice: «La sapienza che viene dall’alto anzitutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e buoni frutti, imparziale e sincera (Gc 3,17)». Rende sagge le persone semplici, più degli altolocati, come dice il Qoelet. «più di dieci potenti che sono nella città (Qo 7,19)». E’ meglio la sapienza che la forza (9,16). Il profeta Geremia ammonisce il popolo eletto con l’oracolo del Signore: «Non si vanti il sapiente della sua sapienza. Non si vanti il forte della sua forza. Non si vanti il ricco della sua ricchezza. Ma chi vuole vantarsi, si vanti di avere senno e di conoscere me, perché io sono il Signore che pratico la bontà, il diritto e la giustizia sulla terra e di queste cose mi compiaccio. (Ger 9, 22-23)».

   Il cuore umile arriva a cantare la vittoria, perché mentre riconosce la propria debolezza, si rivolge alla potenza del generoso intervento divino, come incoraggia l’apostolo Giacomo: «Se qualcuno di voi è privo di sapienza, la domandi a Dio, che dona a tutti con semplicità e senza condizioni, e gli sarà data (Gc 1,5)»

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