Tommaso di Canterbury martire 1170 arcivescovo

TOMMASO BECKET ARCIVESCOVO DI CANTERBURY

SANTO MARTIRE PER LA LIBERTA’ DELLA CHIESA

    Nel 1154 Enrico II Plantageneto assume il trono d’Inghilterra, di Normandia e di una parte della Francia. Nel 1164 fissa i rapporti tra Stato e Chiesa, con alcuni obblighi particolari del clero: le chiese e i monasteri diventano feudi reali. I vescovi e gli abati sono soggetti a oneri fiscali. Qui si inserisce la storia del cavaliere lord Thomas Becket, nato a Londra il 21 dicembre 1118 da una famiglia benestante, il padre era commerciante. Avviato alla carriera ecclesiastica, dopo gli studi a Merton e a Parigi, entra al servizio dell’arcivescovo di Canterbury che gli fa studiare Diritto Canonico a Auxerre in Francia e a Bologna, e lo invia in diverse missioni a Roma.

   Nel 1154 Tommaso è nominato arcidiacono di Canterbury e nel 1155 il re Enrico II lo assume come suo personale consigliere e lord cancelliere del Regno di cui egli sostiene l’azione riformatrice. Nel 1161 muore l’arcivescovo di Canterbury e il re Enrico propone il suo cancelliere come successore. Tommaso Becket, nuovo arcivescovo di Canterbury, cambia vita, con nuove abitudini rigorosamente ascetiche monastiche e inizia a prendere le difese delle libertà della Chiesa, dei vescovi e del clero. Pertanto entra in conflitto insanabile con il sovrano. L’indole dell’arcivescovo è caratterizzata da un’espressione vivace e serena. Il re Enrico II, il 30 gennaio 1164 emana le «Costituzioni di Clarendon» che limitano i diritti ecclesiastici; controllando il potere della Chiesa; bloccando le manifestazioni dell’autorità del Papa in Inghilterra. L’arcivescovo di Canterbury si oppone e dice: «Nel nome di Dio onnipotente, non porrò il mio sigillo». Egli non si impegna in alcuna causa, senza fare le riserve dell’onore di Dio e del suo ordine. Al rifiuto seguono contrasti e incomprensioni. Subisce processi e pene pecuniarie. Per ordine di Enrico II e nonostante l’appello del Primate Ranulfo di Broc, sono messi sotto sequestro i beni della Chiesa di Canterbury. Nello scontro contro il re, l’arcivescovo di Canterbury rassegna nelle mani del pontefice Alessandro III la carica pastorale, ma il papa lo conferma sulla sua sede, e dichiara la primazia della Chiesa di Canterbury.

 L’ESILIO A PONTIGNY.  LA PERSECUZIONE DEL RE

   Il primate che è in rottura con le cose pretese dal re contro la sua Chiesa, alla fine del novembre 1166, fugge in esilio in Francia, accolto calorosamente dal re Luigi VII. Per sei anni non potrà tornare in Inghilterra. Non lontano da Auxerre, in un vallone solitario circondato dai boschi si elevava l’Abbazia degli ospitali monaci cistercensi di Pontigny, sotto la guida dell’abate Guichard, futuro vescovo di Lione. Qui, il primate Tommaso è ricevuto su richiesta dal Papa. Egli vi dimora per lo spazio di due anni, per trasferirsi poi a Sens.

   Il primate d’Inghilterra tra i monaci s’applica alla preghiera e continua ad approfondire il diritto canonico. Tuttavia la vendetta del re d’Inghilterra non cessa di perseguitare l’esiliato, persino nel suo lontano isolamento. Nuove pene di esilio e di confiscazioni regie colpiscono non solo la famiglia dell’Arcivescovo, anche il clero che gli è rimasto fedele con le rispettive famiglie. Questi esiliati devono recarsi a Pontigny al fine di far notare al loro arcivescovo lo spettacolo della loro miseria. Impietoso l’esodo di clero e di laici, di donne, fanciulli e vecchi. E’ necessario provvedere alle necessità di questi rifugiati, spogliati di tutto.

   La carità dei monaci, quella del Papa, quella del re e dei Vescovi di Francia, tutto è messo in moto. Bisognerà, anche in seguito, provvedere oltre che ai miseri esiliati, anche per la situazione del clero fedele di Canterbury. Le negoziazioni per la pace tre il re e il primate di Canterbury vengono prolungate nel corso di lunghi anni del loro esilio.

VANI SFORZI DI MEDIAZIONE-

   Dal Natale del 1164 erano già state tentate molte prove di mediazione. La Regina Madre (che portava il titolo di Imperatrice in ragione del primo matrimonio con l’imperatore Enrico V) si preoccupa di ottenere da Enrico II che egli rinunzi ad imporre all’Episcopato l’obbligo di prestare giuramento alle Convezioni di Clarendon e che si contenti di una semplice promessa di voler rispettare le usanze orali, con riserve a favore della libertà della Chiesa, in pieno accordo con l’Imperatrice Matilde, Alessandro III e Luigi VII. Sono personalità di rilievo che cercano di orientare il re d’Inghilterra per il ritorno in pace con l’Arcivescovo di Canterbury.

   Un incontro del re, che era stato fissato per la metà di aprile del 1165 a Pontoise, non ha luogo, essendosi ritirato lo stesso re d’Inghilterra, all’ultimo minuto, all’annunzio della probabile presenza del Papa. Nel giugno successivo, Alessandro III, in virtù dell’appello di Tommaso Becket, annulla la sentenza di Northampton con cui il re agiva in disprezzo delle costituzioni ecclesiastiche, del diritto e delle consuetudini vigenti, dato che il re con un “pronunziato” stava confiscando i beni mobili dell’arcivescovo di Canterbury, che erano beni tutti della Chiesa.

   Nella Pasqua del 1166, Enrico II, in un incontro con Luigi VII, rifiuta di trattare con lui sull’argomento dell’Arcivescovo di Canterbury, e rifiuta di ritornare in pace con il clero della diocesi di Tommaso Becket, se non prestano giuramento di praticare le sue Costituzioni, con disprezzo, così, per la fedeltà che essi devano al loro arcivescovo. La maggior parte del clero fedele preferiva rimanere in esilio, rifiutando di giurare per le Costituzioni regie.

   Dal canto suo, il primate di Inghilterra cerca di portare il re a riflettere sul rispetto che egli, nella sua qualità di principe cristiano, deve dare alla Chiesa, e con questa intenzione gli indirizza, in date successive, tre lettere. Ma nulla è ottenuto per ristabilire la pace della Chiesa con il Regime, non c’è la riconciliazione di Enrico II con Tommaso Becket: tutti i tentativi sono vani. Enrico II allora si indirizza verso la Germania scismatica, e vi cerca appoggio per fare pressione su Alessandro III, sperando di ottenere parecchie concessioni nella lotta contro Tommaso di Canterbury.

ENRICO II E LO SCISMA GERMANICO

   Dopo morto l’antipapa Vittorio IV, Guy di Crema l’aveva sostituito col nome di Pasquale III nell’aprile 1164. Alla dieta di Wurzbourg, gli inviati di Enrico II, Riccardo d’Ilchester arcidiacono di Poitiers e Giovanni d’Oxford, promisero che il re d’Inghilterra con tutto il regno sarebbe stato fedele al “papa” (antipapa) Pasquale III, e lo avrebbero sostenuto. La Chiesa d’Inghilterra però si rifiuta di ratificare tale giuramento; ciò non di meno, Plantagenet fa pressione su Alessandro III con la minaccia che, se non avesse ottenuto soddisfazione nell’affare d Tommaso Becket, si sarebbe riversato verso lo scisma con l’antipapa. Il re vuole la destituzione pura e semplice dell’Arcivescovo Tommaso, ma Alessandro III si mostra duro su questo punto. Allora Enrico II, conferma le sue decisioni di Clarendon sugli ecclesiastici, ma cerca di ottenere alcune concessioni di minore importanza, tali che gli permettano di mantenere un confronto con Tommaso Becket, sotto forme più o meno velate, in modo da prolungare, quasi all’indefinito, l’esilio del primate.

TOMMASO BECKET LEGATO PER L’INGHILTERRA, 24 aprile 1166

   Malgrado le varie ambasciate del re d’Inghilterra, nonostante l’influenza di molti cardinali di parte regia, guadagnati dalle allettanti promesse dello stesso Plantagenet, con l’oro britannico sparso a profusione, il Pontefice romano, con le bolle del 5 e dell’8 aprile 1166, conferma i titoli del primato della Chiesa di Canterbury e, la domenica di Pasqua 24 aprile 1166, investe Tommaso Becket del potere di legato pontificio in Inghilterra, dopo aver rifiutato tale concessione in favore di Ruggero di Pont l’Eveque. Ma desideroso di moderare la suscettibilità di Enrico II conferisce, nel medesimo tempo, all’Arcivescovo di York la legazione della Scozia.

 LE CENSURE DI VEZELAY

   Il cardinale Tommaso Becket aveva già colpito di sospensione il Vescovo di Salisbury, Jocelin, che, seguendo le istanze del re, ed in disprezzo dei diritti dei canonici di Salisbury, esiliati per la loro fedeltà all’Arcivescovo, aveva elevato alla carica del decanato di questa chiesa, Giovanni di Oxford, scomunicato notorio per le sue relazioni con gli scismatici e per il giuramento prestato a Wurzbourg al Re. La domenica di Pentecoste, 12 giugno 1166, il nuovo legato pontificio Tommaso Becket promulga, dalla cattedra di Vezelay, la solenne condanna apportata dal papa contro le regie Costituzioni di Clarendon e denunzia con altre scomuniche Giovanni d’Oxford, decano intruso di Salisbury e fautore del giuramento scismatico, Riccardo d’Ilchester, colpevole del medesimo giuramento, i ministri del Re, autori responsabili delle Costituzioni di Clarendon, Riccardo di Luce e Jocelin di Bailleul; Ranolfo di Broc, Tommaso Fitz-Bernard e Ugo di Saint Clai, ufficiali regi, che su ordine di Enrico II si erano impadroniti delle rendite e dei possedimenti della Chiesa di Canterbury. Globalmente, infine, erano scomunicati tutti coloro che avevano messo le mani sui beni di questa chiesa. Il re, primo responsabile, è risparmiato dall’essere censurato, in ragione di una malattia che sta mettendo in pericoli i suoi giorni. Nel colpire i ministri e gli ufficiali regi, in virtù del suo potere di legato, Tommaso Becket fa uso di un suo valido diritto che peraltro le regie Costituzioni di Clarendon gli negavano.

   TOMMASO BECKET A SANTA COLOMBA DI SENS

   Enrico II tenta allora di proteggere contro le censure se stesso, il regno, i suoi ministri e i vescovi suoi fautori, con un appello alla corte di Roma. Nel frattempo egli cerca anche di colpire direttamente il legato Tommaso con una nuova misura di persecuzione: l’abbate e il capitolo generale dei monaci di Pontigny ricevono l’ingiunzione regia di smettere di concedere l’asilo al primate Tommaso esiliato nella loro abazia, sotto la minaccia dell’espulsione dal proprio regno di tutti i monaci dell’ordine. Tommaso non vuole affatto restare a Pontigny in quelle situazioni, e rifiutando le offerte del re Luigi VII, richiede una semplice stanza all’abate benedettino di S. Colomba de Sens. Egli i troverà a passarvi i quattro ultimi anni del suo esilio, anni ripieni di ardue negoziazioni con i legati a latere incaricati dal Papa al fine di circoscrivere il conflitto tra il re d’Inghilterra e l’Arcivescovo di Canterbury.

   LE NEGOZIAZIONI DEL 1167 – 1168

   Alessandro II evita di urtare il Plantagenet, e rimette Giovanni di Oxford nella carica di Salisbury. Inoltre acconsente ad inviare tre suoi legati speciali nelle terre continentali inglesi: il Cardinale di Saint Pierre aux liens, Guglielmo di Pavia, quello stesso che, nel 1160, aveva accordato la dispensa per il matrimonio dei figli reali, al quale egli aggiunge Odone di S. Nicola in carcere Tulliano, concedendo a questi pieni poteri, “per conoscere, intendere, dare aiuto, terminare canonicamente” il conflitto che poneva in contrasto il re con il primate. Secondo la proposta, il potere dell’Arcivescovo viene momentaneamente sospeso. Ma i poteri straordinari che il papa aveva delegato, su istanza del re d’Inghilterra, sono praticamente ritirati nel l167 a tali messaggeri, a fronte delle lamentele degli esiliati che manifestano vari sospetti. L’anno 1167 viene trascorsa nel timore degli influssi che parteggiao pericolosamente con il re d’Inghilterra.

   Nel frattempo una nuova invasione germanica in Italia ritarda l’incontro dei delegati con Enrico II, preoccupato a guerreggiare in principio nelle provincie meridionali, poi in Britannia. Poi, nel mese di novembre, i delegati possono intrattenersi con il re a Caen, si contrano con il primate Tommaso a Planches, il 18 novembre, e di nuovo, con il re ad Argentan, il 26 novembre. Le trattative si prolungano sino al 29. Ma è fatica sprecata. Tommaso Becket richiesto del suo parere riguardo al conflitto con il Re, pone per condizione, esclusiva per ogni trattativa, la piena restituzione dei beni della sua Chiesa, beni spogliati a dispetto all’appello che aveva lanciato a Northampton.

   Enrico si rifiuta alla minima restituzione e mantiene le disposizioni di Clarendon. L’anno 1168 si passa in vani sforzi d’arbitrato in vista di riconciliare il re Luigi VII con Enrico II e quest’ultimo con Tommaso Becket. La mala fede del re d’Inghilterra nei riguardi dell’Arcivescovo di Canterbury, si manifesta chiaramente quando si diffonde la notizia di un raggiro, nel luglio 1168, quando il re di Francia si vede giuocato da Plantagenet. Alessandro III non dispera frattanto di raggiungere la pace ed alla fine dell’anno delega tre religiosi, i priori di Mont Dieu, di Grandmont e di Va Saint Pierre per tentare, una volta ancora, di riconciliare il re Enrico II e Tommaso Becket. I delegati pontifici presiedono due conferenze a Montmirail, il 6 gennaio 1169. Il re d’Inghilterra pacificandosi con Luigi VII, consente ad accordare la pace all’Arcivescovo però seguitando ad esigere dall’arcivescovo che riconosca valide in modo assoluto le regie Costituzioni di Clarendon. A Saint Leger en Veline, il 7 febbraio seguente, malvolentieri, il re si trova ad ascoltare la lettura di una bolla pontificia che minaccia le sue terre di interdetto per le cose che pretende contro il diritto canonico. Ma egli mira a guadagnare tempo fino al ritorno degli ambasciatori che ha mandato alla Curia, e nelle sue Costituzioni sostituisce il vocabolo “costumanze” con quello di “dignità del regno” e si sforza con suoi mediatori di procurare un incontro. Tommaso Becket rifiuta di prestarsi a questo nuovo pellegrinaggio nel quale egli vede un tentativo di temporeggiamento.

INCONTRO DI ENRICO II CON TOMMASO BECKET

   Già la maggior parte dei suffraganei della Chiesa di Canterbury si sta ravvicinando al loro metropolitano: i vescovi di Exeter e di Worcester si erano riavvicinati a lui dal 1166; la scomunica di Jocelin di Salisbury, l’insuccesso delle ultime negoziazioni di pace e la scomunica di Gilberto Foliot colpevole di tollerare nel suo clero delle colpe gravi e di non averle deferite alla considerazione del suo metropolitano, hanno staccato dalla causa del re inglese, gli altri Vescovi della provincia di Canterbury, compreso Ugo di Durtham, che era suffraganeo di Ruggero di York, ed era rimasto, già a lungo, ostile al primate. Infine un nuovo deciso intervento del Papa lascia sperare nella regolarizzazione del conflitto. Alessandro III sta nominando dei nuovi legati, Graziano, nipote di Eugenio III, suddiacono della Chiesa romana e notaio apostolico, e Viviano arcidiacono di Orvieto, avvocato della Curia. Essi erano incaricati di uno stretto mandato e di una missione di breve durata, incontrano Enrico II in Normandia nella seconda quindicina di agosto, ma si oppongono con fermezza alle volontà del re che reclama, prima della stessa apertura delle negoziazioni, l’assoluzione incondizionata dei prelati che erano stati scomunicati dal primate Tommaso Becket. A più riprese il Plantagenet minaccia di rompere le trattative ed i legati non ottengono garanzia alcuna. I re concede semplicemente di riconoscere che l’arcivescovo di Canterbury non ha alcuna obbligazione verso di lui, per quanto riguarda l’amministrazione della Cancelleria, dando così una formale smentita alle sue affermazioni di Northampton. D’altra parte egli rifiuta di restituire i beni della Chiesa di Canterbury, ed esige ancora una clausola di salvaguardia delle “Dignità del Regno” (già dicitura “costumanze”). Tuttavia, il Plantagenet riesce ad ottenere da Vivien una nuova dilazione, mentre Graziano si incammina verso la Curia, e l’Arcivescovo di Sens legato pontificio per la Francia, compie il suo viaggio “ad limina”, e teme della fragile fermezza a Roma delle persone che egli sapeva da lunga data legate alla causa del primate. Enrico II accetta i buoni uffici di Luigi VII re di Francia, ed in presenza di questo re e di Vivien, acconsente di ricevere Tommaso Becket a Montmartre il 18 novembre 1169. Vengono fissati alcuni termini della riconciliazione, come basi delle negoziazioni. Le cosiddette “costumanze” del regno sono passate sotto silenzio: il re accorda all’arcivescovo la sua grazia, la sicurezza e la pace, gli promette la restituzione dei beni della sua Chiesa nella condizione in cui li avevano tenuti i suoi predecessori, escludendo così che siano considerati alienati. Tommaso Becket si preoccupa che il suo arcivescovado ne mantenga il possesso. Ma il re rifiuta di donargli il bacio della pace. L’incontro di Montmartre non raggiunge alcun successo.

   MISSIONE DELL’ARCIVESCOVO Dl ROUEN E DEL VESCOVO DI NEVERS

   Dal mese di gennaio 1170, Alessandro III forma una nuova commissione pontificia incaricata di negoziare sulle basi fissate a Montmartre e di ottenere, se possibile, dal Re, il bacio di pace per l’Arcivescovo, e ottenere, infine, serie garanzie di rispetto per l’avvenire della libertà della Chiesa. Tra i nuovi commissari pontifici, uno, Rotrou di Rouen, non desiderava attirarsi la collera del re Enrico II. Un altro commissario, Bernardo di Nevers, manca della fermezza necessaria per il successo della sua missione, per le sue dilazioni e per la lentezza dei suoi spostamenti Nel frattempo si lascia tutta la comodità a Plentagenet di procedere a far incoronare il suo figlio primogenito, Enrico il giovane. Il re, in effetti attraversa il mare il 3 marzo 1170 ed entra nel continente, subito rallegrandosi con Gilberto Foliot, sciolto dalla scomunica, il 5 aprile, su ordine del Papa. Il re Enrico II, di concerto con il Vescovo di Londra e con l’Arcivescovo di York, prepara in segreto la cerimonia, e promulga ulteriori disposizioni necessarie per paralizzare l’azione dei commissari pontifìci, di Tommaso Becket e di Alessandro III.

   ISOLAMENTO DEL REGNO D’INGHILTERRA

   Per ordine regio, dopo l’insuccesso della conferenza a Montmatre, finito l’anno 1169, i ricorsi al Papa o all’Arcivescovo vengono proibiti, sotto pena della prigione e della confisca di beni finanche per chi parteggiasse con il papa. Nessun membro del clero poteva oltrepassare lo stretto senza un salvacondotto del re, o del supremo giudice. Il danaro di San Pietro veniva versato nel tesoro reale per essere dispensato, poi, su ordine del Re. Ogni porgitore delle lettere ecclesiastiche d’interdetto sul regno sarebbe stato deferito in giudizio come traditore.

   Nella primavera dell’anno 1170 il Plantagenet rinforza la vigilanza sulle coste; fa tenere sotto buona sorveglianza, a Caen, Margherita di Francia, sposa del suo figlio primogenito; ed ordina di trattenere a bordo di ogni naviglio, e fino al suo ritorno sul continente, il Vescovo di Nevers, delegato del Papa. Un interdetto simile colpisce il Vescovo di Worcester, incaricato dal primate Tommaso di opporsi alla incoronazione. Enrico II emana l’editto di pena di morte contro chi porti le bolle pontificie in Inghilterra. Il Regno è tagliato fuori da tutte le libere relazioni con il continente. Da parte della volontà del re, le costituzioni di Clarendon riprendono tutto il loro pieno effetto. Tuttavia, l’arcivescovo Tommaso Becket aveva ottenuto dal Papa le bolle che proibivano, particolarmente all’arcivescovo di York, l’incoronazione de principe reale, privilegio della sede primaziale di Canterbury. Questa proibizione pontificia si trovò coartata dalle misure coercitive di Enrico II. Allora, Ruggero di York usurpa impunemente il posto del primate: così l’antica rivalità tra York e Canterbury rinasce con il conflitto tra la Chiesa e lo Stato.

   INCORONAZIONE DI ENRICO IL GIOVANE

   Armato da Cavaliere da suo Padre, Enrico il giovane viene coronato dall’Arcivescovo di York, assistito dai Vescovi di Londra, Salisbury, Rechester, Durham, e forse qualche altro, la domenica del 14 giugno 1170 nella chiesa san Pietro di Westminster nella stessa provincia di Canterbury. Era quella una violazione delle norme canoniche notificate sin dal 1164 dal papa Alessandro III. L’incoronazione attenta contro i diritti della metropoli di Canterbury, madre e capo delle cristianità britanniche. Le conseguenze di tale atto sarebbero state gravi. Nel contrasto tra la Chiesa e lo Stato inglese, questo disprezzo delle prerogative canterburiensi sta per ispirare la possibilità di un assassinio del primate esiliato. Enrico II, nello stesso tempo in cui sa di attirare sopra a lui, sui suoi Stati e sull’Episcopato d’Inghilterra le censure ecclesiastiche, è cosciente della gravità del pericolo e si affretta a proclamare il suo consenso nell’accettare i termini di pace che i vescovi di Rouen e di Nervers erano incaricati di proporgli, e si imbarca in fretta per la Normandia al fine di rinnovare le trattative e di mettere da parte così la proclamazione dell’interdetto che l’Arcivescovo di Canterbury, legato d’Inghilterra, aveva allora in suo possesso.

LA RICONCILIAZIONE DI FRETEVAL, 22 luglio 1170

   Il Vescovo di Nevers e l’Arcivescovo di Rouen ritornano a Sens presso Tommaso Becket esiliato dopo aver ottenuto da Enrico II l’assicurazione che egli avrebbe reso all’Arcivescovo di Canterbury la sua benevolenza e la sua pace conformemente ai termini fissati a Montmartre. Il Re stabilisce l’incontro con i legati al 20 luglio, in prossimità del Castello di Freteval en Dunois (Orleanais), dove con questi mediatori, ai quali si è aggiunto l’Arcivescovo di Sens, Enrico II fissa al 22 luglio la data per incontrarsi con il primate Tommaso Becket. Benché in precedenza il bacio di pace gli fosse stato sempre negato, su cauzione di Guglielmo di Sens che si offre garante della sincerità del Re d’Inghilterra, l’Arcivescovo di Canterbury accetta il compromesso. Nel giorno stabilito, in presenza di una grande moltitudine, il re avanza per primo verso il primate; essi si scambiano molti segni di riconciliazione e di amicizia e cavalcano per qualche tempo in disparte, intrattenendosi a parlare della dignità dalla Chiesa di Canterbury e dei suoi privilegi ultimamente violati dalla recente coronazione. Enrico II promette una degna riparazione, promettendo il rinnovo solenne del rito per opera dell’Arcivescovo di Canterbury nell’incoronazione del giovane Re congiuntamente con la sua sposa Margarita di Francia. Il primate allora si umilia ai piedi del Re, che a sua volta scende da cavallo. Ritornati poi in mezzo alla folla entusiasta, Enrico II rende a Tommaso Becket la sua pace, offre la sicurezza per la Chiesa di Canterbury di fruire dei suoi possedimenti, nello stato il più favorevole in cui lui li aveva tenuti al principio del suo pontificato e gli promette la restituzione dei diritti della sede primaziale. Egli si separa dall’arcivescovo dopo avere domandato ed ottenuto la sua benedizione.

   ROTTURA DELLA PACE DI FRETEVAL

   Di fatto la pace di Freteval non apporta a Tommaso Becket alcuna delle garanzie per quello che egli è in diritto di esigere: né la previa restituzione di qualcuno almeno dei possedimenti della sua Chiesa, né il bacio della pace, sigillo di una riconciliazione sincera e testimonianza di sicurezza. Non è meno grave il fatto che le due parti si mettono in uno stato di diffidenza, mantenendo le loro rispettive posizioni di distanza. Resta aperta la contesa sulle “costumanze” del Regno chiaramente determinate a Clarendon. Il Re resta deciso, se non ad imporle, per lo meno a garantire l’onore per la corona del regno. Il primate è deciso a difendere l’onore di Dio e della sua dignità. In queste condizioni l’esecuzione delle clausole della pace sta per suscitare le più gravi difficoltà.

   Il Re, a Freteval, aveva mostrato qualche segno di benevolenza nei riguardi di Tommaso Becket, poi egli rapidamente è ricaduto sotto l’influenza dei consiglieri più facinorosi attaccati alla lettera alle Costituzioni di Clarendon, soprattutto per le più ostili al primate. Questa influenza si esercita più direttamente ancora sul figlio suo, Enrico il giovane, allora luogotenente generale del Regno d’Inghilterra. Così accade che Erberto di Baham, delegato da Tommaso Becket per riprendere i possedimenti del patrimonio della Chiesa, si scontra contro la evidente cattiva volontà degli ufficiali del Re.

   Le rendite dell’Archidiocesi di Canterbury erano poste sotto sequestro fino alla prossima festa di Natale. L’Arcivescovo di York ed il vescovo di Londra temono le censure del legato al suo ritorno in Inghilterra, non cessano di fare intrighi presso Enrico II affinché imponga a Tommaso, arcivescovo di Canterbury, il rispetto delle costituzioni di Clarendon. Le sanzioni si erano attirate con l’incoronazione del 14 giugno, ed essi cercano di favorire, con le elezioni conformi all’articolo XII delle stesse costituzioni, la promozione delle nomine di vescovi docili al potere del re, per riempire il vuoto che la morte, durante i sei anni d’esilio del presule Tommaso, aveva causato in mezzo ai suoi suffraganei.

   Di fronte a tanti ostacoli accumulati per i raggiri mossi dal re e dal suo clero devoto, l’arcivescovo Tommaso sollecita ed ottiene da Alessandro III altri nuovi poteri molto estesi: la conferma esplicita delle prerogative della sede primaziale di Canterbury, abolendo le usurpazioni fatte dal metropolitano di York; il rinnovo per l’avvenire del mandato in Inghilterra di quanto riconosciutogli e datogli in precedenza; nuovi poteri straordinari di censura dai quali, però,  erano esclusi soltanto il re, la sua consorte e suoi figli. Il Papa gli aveva inviato alcune Bolle che colpivano di sospensione dagli incarichi Ruggero di York e i vescovi colpevoli di aver prestato il loro consenso nella incoronazione di Enrico il giovane e di aver giurato di voler osservare le costumanze del regno per le chiese. Gilberto di Londra e a Jocelin di Salisbury, che erano stati assolti sotto condizione, da una sentenza anteriore di scomunica, sarebbero ricaduti sotto l’anatema.

   Tuttavia, il prelato, pur sapendo che le vigenti nuove misure del re colpiscono tutti coloro che portassero lettere del pontefice, non vuol ritornare in Inghilterra, lasciando senza pubblicazione le bolle pontificie di cui era munito. Doveva renderle pubbliche. Alla vigilia del suo imbarco, egli quindi promulga le sentenze del Papa. La pace fatta a Freterval era viziata sin dal principio dalla simulazione del re per cui le restituzioni dei beni ecclesiastici avrebbero avuto un rinvio senza scadenze. La promulgazione delle censure del pontefice, senza che alcuno si illudesse, era necessaria.

    IL RITORNO DEL PRIMATE IN INGHILTERRA

   Il ritorno del primate Tommaso Becket esiliato diviene una marcia trionfale in mezzo alla folla che l’acclama dovunque al suo passaggio. Da parte loro, il re e i suoi “consigli” manifestano una successione di affronti: inviano Giovanni di Oxford per fargli scorta da Rouen a Sandwich, riempiono la riva dove egli si avvicinava di guardie armate pronte alla violenza; pubblicano l’appello di certi vescovi al pontefice di Roma contro le medesime censure apostoliche; fanno ingiunzione ai Curiali del regno di dover liberare i vescovi dalla scomunica; formulano il rifiuto degli scomunicati di prestare il giuramento usuale già proibito dall’articolo V di Clarendon; proibiscono di accedere a Winchester dove risiedeva Enrico il giovane già coronato; ordinano di confinare il primate nei limiti della propria diocesi, inoltre le vessazioni contro la persona del presule continuano persino nella sua città arcivescovile.

   Mentre il primate d’Inghilterra sopporta tutti questi affronti, i prelati scomunicati e sospesi si affrettano a raggiungere Enrico III in Normandia. Il re, furioso delle censure pontificie che colpivano i vescovi, spinto dal rancore e dal desiderio di vendetta che essi manifestano, per sfogo, arriva a pronunciare certe parole di collera e di odio che armano le braccia degli assassini, persone a lui vicine. L’esclamazione del re è: “Non ci sarà dunque una persona, per sbarazzarmi di questo chierico tracotante?”

   L’ASSASSINIO DI TOMMASO BECKET, 29 dicembre 1170

   Martedì del 29 dicembre, quattro cavalieri, partiti dal contorno del re, arrivano a Canterbury, aiutati da Arnolfo di Broc, che ha messo a loro disposizione una piccola truppa di uomini armati, assieme con il clero di parte regia, pronti al compimento di odiose imprese. Essi penetrano nel palazzo arcivescovile aperto agli ospiti di passaggio ed ai poveri. Dopo aver raggiunta la sala, dove il primate si intratteneva con il clero, essi lo citano in giudizio per avere osato scomunicare i familiari del re, in disprezzo della maestà del re, alla quale egli avrebbe dovuto deferire il giudizio.

   Ne segue una lunga discussione. Infine, spinto dai suoi ministri, l’arcivescovo Tommaso Beckett acconsente a raggiungere la cattedrale, dove i monaci si erano già riuniti per l’ora di vespro. Il presule proibisce che si sbarrino le porte. Così gli aggressori penetrano nel santuario e si sforzano, senza successo, di cacciare fuori l’Arcivescovo che si mantiene fermo, e cade infine sotto i colpi delle loro spade. La scena si è svolta al chiarore delle torce, nel lato nord del transetto della cattedrale, a qualche passo dall’altare dedicato a San Benedetto, senza che possano intervenire i monaci spaventati. Gli assassini, dopo perpetrato il crimine, trovano libero scampo, essendo le porte aperte. Essi, dopo essersi dati al saccheggio in tutti i modi, rapinano le ricchezze del palazzo arcivescovile, e fuggono nella tarda notte. Quando tutto è rientrato nel silenzio, i monaci della Chiesa di Cristo e il clero seppelliscono il corpo del primate Tommaso Beckett in un sarcofago di marmo nella cripta della cattedrale. Tuttavia prima hanno piamente raccolto il prezioso sangue di colui che già considerano come il martire della libertà della Chiesa in Inghilterra e il cui culto non tarda ad espandersi in tutta la Chiesa occidentale.

INTERDETTO SUL DOMINIO CONTINENTALE DEL RE E SULLA SUA PERSONA

   La fine tragica del primate ha commosso il re d’Inghilterra, cosciente di aver suscitato, con le sue parole imprudenti, l’assassinio del 29 dicembre. Soffre per il timore delle censure che egli non può evitare. Alla notizia del martirio dell’arcivescovo di Canterbury, i dignitari del regno di Francia, il re Luigi VII, profondamente indignati, scrivono al Papa per indurlo a punire i colpevoli; e indicano in particolare il re di Inghilterra, l’arcivescovo di York e il vescovo di Londra. L’opinione pubblica carica la coscienza del Plantageneto della più abominevole responsabilità poiché il martire è stato ucciso da persone di fiducia del re. L’assassinio del cardinale inflessibile ha risvolti religiosi e politici in tutta Europa.

   l’arcivescovo di Sens, in virtù del potere ricevuto di legato della sede Apostolica, promulga il 25 gennaio del 1171, l’interdetto sulla terra continentale di dominio di Enrico II, nonostante un intervento dei vescovi di Lisieux e di Evreux con altri di parte regia che, dopo la costernazione dei primi giorni, si sforzano di allontanare le sanzioni spirituali. Contro la promulgazione dell’interdetto, essi interpongono l’appello al Papa al fine di patrocinare la causa del re e quella dei prelati colpiti di scomunica e di sospensione dagli uffici sacerdotali.

   Per l’assassinio del cardinale arcivescovo Tommaso Becket, il 25 marzo, giovedì santo, Alessandro III pronuncia la scomunica generale sugli assassini e su tutti coloro che hanno prestato l’assistenza, il consiglio o dato il consenso al reato. Conferma l’interdetto lanciato da Guglielmo di Sens, e la scomunica del vescovo di Londra e di quello di Salisburgo; la sospensione dell’arcivescovo di York, già promulgate dal primate martirizzato. Il Papa infine colpisce Enrico II, re d’Inghilterra, di interdetto per non entrare nelle chiese.

   La canonizzazione di san Tommaso Becket è celebrata da Alessandro III il 21 febbraio 1173 dichiarandolo “martire del diritto canonico e della Chiesa”. La frequenza dei pellegrinaggi al sepolcro nella cattedrale di Canterbury diviene tale da eguagliare quella al ben noto Santiago de Compostella.

   Il martire san Tommaso Becket rimane una delle figure più rilevanti della Chiesa medievale. Una prestigiosa reliquia si conserva in Italia nella cattedrale di Fermo (FM). Molte le chiese a lui dedicate. La sua iconografia è diffusissima in Inghilterra ed in Europa, con i segni della palma da martire, della spada, del modellino di chiesa, del libro, del razionale e del pastorale.

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