Giosue CARDUCCI appunti dalle lezioni del prof. Mancini don Dino a Fermo

GIOSUE’ CARDUCCI        (1835-1907)

    Spiritualità:

Ecco in sintesi i motivi della spiritualità carducciana:

1)- la concezione del reale. La realtà è materia animata da una forza intima (che il Carducci chiama ora Natura ora Satana ora Pan) la quale dà ad essa forma e vita. I singoli esseri sono forme dalla “materia-spirito”; e di queste forme l’uomo è la più perfetta. Siamo dunque di fronte ad una “naturalismo-panteistico”,  ispirato al Carducci da:

a)- dal naturalismo classico greco-romano;

b)- dalla filosofia idealistica e dallo scientismo positivistico che, nella seconda 

      metà del secolo XIX, si fondevano nella teoria dell’evoluzionismo

      materialistico (spirito ed evoluzione: fattori idealistici – materia: fattore

      scientifico positivistico).

2)- la concezione della storia. La storia umana è una lotta tra le forze sane e genuine della Natura (il popolo – gli eroi) e le forze degenerate di essa (i tiranni – i vili).

Su questa lotta vigila la Nemesi (=vendetta), la quale garantisce al popolo la vittoria finale e punisce i tiranni e i vili.

3)-la concezione della vita. Vivere significa:

a)- godere con decoro e serenità quanto di bello, di forte e di sano offre la Natura

b)-operare e progredire alla luce degli ideali di “giustizia e libertà” (vedi “Avanti !

    Avanti!” in “Giambi ed Epodi”)

4)- lo stile di vita. Vigoria e serenità; robustezza e onestà; fierezza e bontà.

5)- indirizzo culturale. Niente problemi metafisici, niente crisi di coscienza, dubbiezze, perplessità: si volge l’attenzione solo alla realtà concreta della natura e della vita per goderla, per operare attivamente in essa, in modo geniale e artistico, per cantarla. Quanto al terribile problema della nostra vita, cioè della nostra origine, del significato della nostra esistenza, del nostro destino dopo la morte, è meglio non pensarci e dimenticarlo attraverso l’azione: “meglio oprando obliar, senza indagarlo, questo enorme mister dell’universo” (“Idillio maremmano”: il componimento in cui il Carducci meglio esprime la sua avversione ai problemi difficili, anzi si rammarica, addirittura,  di essersi avviato all’attività culturale e poetica, che con quei problemi l’ha messo a contatto).

Non è difficile vedere in questo indirizzo culturale:

a)- l’influsso del positivismo che sdegna la metafisica dichiarandosi, di fronte ad essa, agnostico: “ignoramus et ignorabimus” tutto ciò che sfugge all’indagine positiva della scienza.

b)- e il riflesso dell’indole del Carducci, uomo più incline a pensare per combattere, che per scoprire il vero.

6)- il senso della sua missione. Il Carducci, nominato professore di lettere all’Università di Bologna nel 1860, proprio quando l’Italia unificata iniziava il suo nuovo cammino storico, si sentì maestro della gioventù italiana a cui volle inculcare lo stile energico e fattivo della Roma repubblicana, gli ideali di libertà e di progresso della “Giovane Italia” del Mazzini, lo spirito fiero e buono di Garibaldi. “A più frequente palpito di odi e d’amori meglio il petto m’accesero ne’ lor severi ardori ultime dee supertisti giustizia e libertà; e uscir credeami italico vate a la nuova  etade, le cui strofe al ciel vibrano come rugghianti spade, e il canto, ala d’incendio, divora i boschi e va”.

7)- il gusto artistico. Predilezione della forma classica, modellata con plasticità e vigoria; tono oratorio, quale si addice ad un poeta tribuno del popolo.

8) – spirito polemico. Il Carducci polemizzò in versi e in prosa contro:

     a)- i languori sentimentali,le approssimazioni formali, la mania forestiera dei

          romantici secondi.

    b)- il quietismo e le incertezze della politica nell’Italia unificata;

    c)- il misticismo cristiano (che egli male interpretò come rinuncia alla vita e alla

         azione.

Influssi sulla formazione spirituale del Carducci:

1)- l’ambiente storico. Il Carducci è detto il primo grande poeta della nuova Italia, cioè dell’Italia unificata. Ciò è vero non solo da un punto di vista cronologico, ma anche e soprattutto da un punto di vista spirituale ed artistico.

   Nel giovane regno Italiano fervevano ancora le passioni ideali del primo Risorgimento: l’ideale della libertà sostenuto dai liberali moderati e soprattutto dai democratici mazziniani, i quali ultimi insistevano ancora sulla forma istituzionale repubblicana; l’ideale dell’indipendenza totale dallo straniero; l’ansia di risolvere quanto prima il problema di Roma. I contrasti delle idee, specie riguardo a quest’ultimo problema erano vivaci e drammatici: soprattutto il “Partito d’Azione” capeggiato da Garibaldi faceva fiamme e fuoco, teneva desta la polemica contro il Vaticano, azzardava di tanto in tanto qualche iniziativa (Aspromonte, Mentana).

All’opposto si affermava in alcuni ambienti politici e sociali (specie negli ambienti moderati e conservatori) la tendenza ad accontentarsi di quello che era stato realizzato e a vivere nella quiete (quietismo politico): per costoro ogni problema doveva essere risolto attraverso il maneggio diplomatico, si dovevano evitare le guerre, si doveva andare cauti nelle riforme. Il Carducci non poteva aderire che all’indirizzo rivoluzionario e progressista, e ciò per vari motivi:

nato nel 1835 egli aveva vissuto la fanciullezza e la giovinezza nel periodo più drammatico del Risorgimento: il commento del fatti del ’48 e 49 lo faceva, a lui bambino, il babbo medico di tendenze carbonare. Il commento ai fatti di ’56 lo faceva Egli stesso, in quanto giovanetto colto ed intelligente e vivacissimo, si interessava con passione dei fatti che avvenivano nel mondo che lo circondava. Fanciullo e giovinetto egli sentì parlare di Mazzini e di Garibaldi, come di due numi; sentì parlare dei “martiri” che nella varie parti d’Italia cadevano sotto i colpi dei tiranni; sentì le maledizioni di patrioti contro i Principi e contro l’Austria; sentì le maledizioni contro il Papa che dai patrioti appartenenti alla Massoneria veniva dipinto come avido di comando terreno, crudele, insensibile ai bisogni della Patria.

Era naturale che in un ambiente spirituale, così ardente a battagliero il Carducci, che si stava ancora formando, acquistasse uno stile intollerante di ogni tirannide, appassionatamente polemico, aggressivo e spregiudicato.

Era quella una fase, in cui, nel parossismo della polemica politica, non si usava misurare le parole: quel che era in cuore, era in bocca; il Carducci rivelò fin da giovinetto il suo entusiasmo per questo stile schietto, audace, aggressivo.

del resto la sua indole lo portava naturalmente a questa scelta. Egli stesso in “Traversando la maremma toscana” parla del suo abito fiero, sdegnoso, del suo spirito ove “odio e amor mai non s’addorme”.

Questa indole aggressiva e combattiva si rivela già nel Carducci fanciullo: un lupacchiotto, una civetta attraversano la sua curiosità infantile; le pecorelle, gli usignoli non lo interessano: erano troppo miti e pacifici. E se più tardi nell’ode “Le fonti del Clitunno” vagheggerà anche la mite pecorella, e la rappresenterà in un atteggiamento combattivo (“la riluttante pecora nell’ombra immerge l’umbro fanciul”). In “Primizie e reliquie”  egli parla con compiacenza delle sue avventure battagliere nella fanciullezza: gli piaceva giocare alla rivoluzione, e tra i partiti che si scontravano egli era sempre nelle file del partito del popolo.

– le letture giovanili, specie l’Ettore Fieramosca” del D’Azeglio, le “Romanze” e le “Fantasie” del Berchet, contribuirono ad avviare l’animo del Carducci ad uno stile dinamico e fiero. I poemi epici di Omero e di Virgilio, l’Inferno di Dante (da giovinetto non lesse mai il Purgatorio e il Paradiso) la “Gerusalemme” del Tasso, con i suoi personaggi caldi di passione e bravi nei duelli, coltivarono l’indole sua naturale improntata ad una tonalità forte. Gli studi classici in generale, avviarono l’animo del giovane Carducci al culto dei più alti ideali civili, politici, patriottici, generando in lui un alto concetto della stirpe italica e della sua missione di poeta nazionale.

ad avviarlo verso la scelta della tendenza storica rivoluzionaria contribuì anche l’esempio di alcuni personaggi del tempo. I quali erano giunti all’apice della fama attraverso la serietà e l’assiduità nel lavoro, la genialità audace, la franchezza e la schiettezza nell’attuare programmi ben chiari; di questo genere erano Mazzini, Garibaldi, Guerrazzi, D’Azeglio, Mameli, Berchet, e tutti i personaggi che prepararono i fatti del ’59 e del ’60 e ne furono i protagonisti (ad esempio Cavour). Specie dal ’53 al ’61  ferve in Italia un clima eroico generale: sono anni in cui la storia sembra assumere le forme della leggenda, in quanto gli avvenimenti superano le previsioni. Basta ricordare quanti patrioti scapparono dai vari Stati Italiani per rifugiarsi in Piemonte e organizzarsi nei reparti dei volontari.

In quegli anni il Carducci viveva la sua piena giovinezza ed iniziava la sua carriera di insegnante. A 25 anni, esponente già noto della poesia italiana, professore in una delle più famose Università d’Europa (Bologna), egli non poteva fare a meno di seguire fra i due indirizzi quello che maggiormente non solo si adattava alla sua indole, ma riscuoteva la fama di progressista e di moderno: per tendenza naturale e per non restare indietro, egli si allineò con esso. Quando fu risolto in parte il problema di Venezia (’66) e fu risolto il problema di Roma (’70) il Carducci, il quale stimava sé stesso maestro civile e politico degli Italiani e considerava la sua missione come responsabile dei destini della Patria, si preoccupò di avviare gli Italiani verso mete imperiali, in modo che fossero rievocate, nell’età moderna, le glorie dell’antica Roma. “Nell’annuale della fondazione di Roma” egli parla dei nuovi trionfi che attenono l’Italia: “Trionfi non più di regi, non più di Cesari, e non di catene attorcenti braccia umane sugli eburnei carri, ma il tuo trionfo o Popolo d’Italia sull’età nera, sull’età barbara”: quindi si tratta di un imperialismo civile, senza conquiste e oppressioni di altri popoli (si nota in un imperialismo di questo genere l’influsso della spiritualità unitaria del Mazzini). Il Carducci fin verso il 1880 fu repubblicano: anzitutto la repubblica era per lui espressione più vivace del progresso (le monarchie per lui sono conservatrici) e soprattutto era una espressione immediata e piena della volontà e della forza del popolo.

Il popolo, secondo il vecchio concetto giacobino e la recente concezione romantica, era, anche per il Carducci, la vera forza della storia. Chiunque è avverso al popolo è avverso al progresso , e a nome del popolo e del progresso, il Carducci odiò tutte le forme della tirannide e propugnò , con ardore, tutte le soluzioni che garantissero nel miglio modo la libertà del popolo e quindi anche la forma costituzionale repubblicana. Egli in letteratura fu classicista, ma capì che alla sua missione di poeta della terza Italia (la prima è quella romana,  la seconda è quella dal medioevo al Risorgimento, la terza l’Italia riunita), non si adattava né il classicismo plebeo e rivoluzionario: nitido, ma vigoroso: insomma un classicismo da tribuno del popolo e quindi di tono robusto, con flessioni aggressive, furenti, accorate, profetiche, malinconiche, disperate.

Dal 1880, in poi, egli simpatizzò per la monarchia e ciò per svariati motivi: anzitutto perché la monarchia seppe valutare i suoi meriti e in parte solleticava la sua ambizione. Perché, ormai, l’ideale repubblicano non poteva più avere applicazione essendosi stabilizzata la monarchia; infine perché anche la monarchia aveva i suoi meriti: casa Savoia aveva, si può dire, unificato l’Italia. Lo stesso Crispi, mazziniano ardente, nel 1864, aveva aderito alla monarchia giustificandosi con la famosa espressione: “la monarchia ci unisce, la repubblica ci dividerebbe”.

2)- ambiente culturale.

In opposizione alla filosofia idealistica che aveva dominato nella prima metà dell’800, si afferma, nella seconda metà dello stesso secolo,  la filosofia positivista. Il concetto centrale di questa filosofia è il seguente:  bisogna smetterla con i ragionamenti astratti e con le teorie astratte sia dei cartesiani che dei kantiani e degli hegeliani e bisogna dedicarsi allo studio ed alla utilizzazione delle forze della Natura: l’unica attività utile è la scienza. Nei riguardi del mondo metafisico il Positivismo si divide in due indirizzi:

– uno ignora la metafisica: “ignoramus et ignorabimus” tutto ciò che è al di là dell’esperienza scientifica (agnosticismo):

– un altro afferma che esiste solo la materia vivificata da una forma intima che le fa prendere le forme più svariate (materialismo).

Il Carducci ricevette dal positivismo i seguenti influssi:

a)- concezione della realtà.

La realtà è, come afferma nell’”Inno a Satana”, materia e spirito. Satana, simbolo di questa sintesi panteistica di materia e spirito è l’opposto del Dio trascendente dei cristiani. Il Carducci pensava che “l’enorme mistero dell’universo” (“Idillio maremmano”) non fosse svelabile e che ci si dovesse contentare di ciò che con l’immediatezza possiamo constatare, cioè di ammettere una materia ricca di vitalità, saldamente organizzata, vigorosa e potente in tutte le sue manifestazioni, che egli chiama anche la santa Natura o Pan. (“Davanti S.Guido”); e si compiace di rendere ad essa, cioè alla “materia-spirito” il suo culto cordiale e sincero.

Tutto ciò che è, è Natura: ma gli esseri robusti e vigorosi, pervasi per così dire da una vitalità rapace, quasi imperialistica, sono le espressioni più belle e genuine della Natura. Dalla levriera e dall’astor, dal maniero dipinti in “Poeti di parte bianca”, al bove monumentale e buono, al sole che viene sempre presentato splendido e vigoroso, ai fiumi pieni e maestosi, alle selve ondeggianti e profumate, all’elce nera, simbolo di vitalità perenne, si passa ai più imponenti e simpatici tipi di umanità: donne ed uomini dalle forme salde e vigorose, dagli occhi sfavillanti, dalle capellature abbondanti, dalla voce tonante e soavemente penetrante. (Franceschino Malaspina in “Poeti di parte bianca”; Massimiliano d’Asburgo in “Miramare” e la sua moglie Carlotta; la mamma del Carducci in “Sogno d’estate” insieme al suo fanciulletto; la nonna Lucia in “Davanti a S.Guido”; Alberto da Giussano del “Parlamento”.

b)- l’espressione più bella della Natura, però, è il popolo, con la sua vigoria ancora primitiva, che ha del selvaggio e del gentile insieme.

La Natura vive nel popolo, e chiunque opprime il popolo pecca contro la Natura. Infatti la condizione assoluta perché la Natura  possa esplicare le sue energie è la libertà: i tiranni dello spirito (il Papa con i preti suoi), i tiranni del corpo (i re e i dittatori) sono i più grandi peccatori della storia, perché offendono la natura nella sua più bella espressione.

Rari sono i poeti della nostra letteratura che abbiano rappresentato il popolo nei suoi aspetti epici e gloriosi come il Carducci (basta ricordare “Sui campi di Marengo”, “Comune rustico”, “Il Parlamento”).

In armonia con il suo naturalismo panteistico, il Carducci formula una specie di religione e di morale. La Natura è santa. Santa è l’utilizzazione di tutti i beni della Natura. In questo senso il Carducci si vanta di esprimere nella sua poesia l’avversione alla religione cristiana, definita da lui “la religione del Dio dei rei Pontefici e dei crudeli tiranni”: il Dio trascendente dei cristiani dal Carducci è considerato come alleato di tutte le forze retrive e oscurantiste della storia. Al Dio cristiano egli oppone Satana “materia e spirito, ragione e senso, simbolo del progresso e della libertà”.

E si compiace di annunciare la vittoria della nuova religione naturalistica su quella cristiana: Satana “ha vinto il Geova dei sacerdoti”(Inno a Satana”).

Nell’ode “Alle fonti del Clitunno” egli vagheggia la rinascita della spiritualità naturalistica greco-romana, fautrice di uno stile di vita robusto e sereno e di una utilizzazione piena di tutti i beni della Natura. Gesù Cristo, secondo Carducci, avrebbe avuto il grande demerito di aver desolato la vita umana, di aver gettato sulle spalle di Roma, cioè della civiltà classica, la Croce, simbolo di rinuncia alla vita, di ansia di disfacimento, di abbrutimento. L’ode termina con una battuta schiettamente pagana: “salve, o anima umana, serena in Grecia e robusta in Roma ! I giorni foschi dell’oscurantismo cristiano sono passati: risorgi e regna!”

Oltre che per motivi politici risorgimentali, il Carducci è dunque in lotta contro la Chiesa anche perché vede in essa il più grande maleficio ella storia: dal tempo di Roma alla rinascita del naturalismo panteistico moderno, egli vede inserito nella storia un periodo di miseria spirituale e civile.

E’ evidente in queste battute polemiche il settarismo massonico e materialistico. Del resto negli ultimi anni della sua vita il Carducci stesso corresse queste sue valutazioni ingiuste. Nella “Chiesa di Polenta” egli riconosce alla Chiesa il merito di aver salvato, durante la tempesta delle invasioni barbariche, l’idea; di aver affratellato in nome di essa Barbari e Romani; di aver creato la civiltà di Sante, lo spirito delle nazioni moderne (come aveva ben intuito il Romanticismo).

I principi fondamentali della morale del naturalismo carducciano sono i seguenti:

a)- segui la Natura con decoro, con intelligenza e con gusto ( il vecchio principio già adottato dal classicismo greco-romano ed adottato dal Rinascimento).

b)- accogli tutto ciò che di bello, di buono e di robusto ti offre la Natura.

c)- non ti assoggettare mai ad alcuna forma di schiavitù, né politica né religiosa : la libertà è condizione assoluta del progresso.

d)- vivi per te e per il popolo: “A questa Nazione giovane di ieri e vecchia di trenta

     secoli, manca del tutto l’idealità; la religione cioè delle tradizioni patrie e la

    serena e non timida coscienza della missione propria nella storia e nella civiltà,

    religione e coscienza che danno fede ad un polo di essere riservato a grandi   

   cose” 

    (Da“Confessioni e Battaglie”).

I più grandi peccatori sono i seguenti:

a)- i mistici ( nell’ode “Alle fonti del Clitunno” li chiama “empi” perché

    ”maledicenti all’opre della vita e dell’amore, delirano atroci congiungimenti di

     dolore con Dio su rupi e in grotte: ovunque il divo sole benedicea maledicenti”.

b)- i tiranni (Re e preti) perché opprimono la libertà politica e religiosa.

c)- gli spiriti languidi che deformano lo stile robusto della naturalità in abiti

     sentimentali , malinconici e falsi.

1)- C’è un essere misterioso nella storia, il quale punisce i peccatori, specie quelli che peccano contro il popolo, cioè i tiranni: tale forma si chiama “Nemesi storica” (termine greco = vendetta). In “Miramare” , Massimiliano, fiorente e bello, paga, per volere della Nemesi, le colpe degli Asburgo, cioè dei suoi avi. In “Morte di Napoleone Eugenio”, l’Aquilotto e Napoleone Eugenio (l’uno figlio di Napoleone I° e l’altro di Napoleone III°) pagano i colpi di Stato del Brumaio 1799 e del Dicembre 1851. In “Piemonte, Carlo Alberto (Italo Amleto) paga a Novara le colpe del ’21.

2)- L’atteggiamento agnostico di fronte al problema della vita.

Il tono di questo naturalismo panteistico è decisamente ottimistico: fiducia nella vita, dinamismo, audacia, franchezza, stile battagliero e progressista. Eppure anche il Carducci sentì il peso dell’”enorme mister dell’universo”: in “Idillio maremmano” egli quasi si dispiace di essersi avviato alla cultura, perché lungo questa strada si è incontrato con il terribile problema del significato della nostra esistenza. Tuttavia da buon seguace dello stile antimetafisico e pratico introdotto dal Positivismo, egli se la cava con una decisione che ha del tragico” meglio oprando obliar senza indagarlo quest’enorme mister dell’universo: meglio era sposar te bionda Maria, e cacciare i bufali nella Maremma”. In “Davanti a S.Guido” il Carducci taurino e spregiudicato afferma che forse la soluzione del mistero della vita è lassù nel cimitero dove dorme la nonna Lucia, cioè nella morte: il poeta sembra quasi dire: “viviamo e operiamo: la morte ci darà la risposta del grande mistero della nostra esistenza”.

3)- Lo stile della concretezza.

Infine dal Positivismo il Carducci trasse quella meravigliosa concretezza di stile poetico che investe ispirazione, forma e linguaggio e che, unito alla lucidezza e alla plasticità del  modo classico, costituisce la nota più evidente della poesia carducciana.

In “Congedo” di “Rime nuove” egli delinea la figura del poeta “grande artiere, che al mestiere fece i muscoli d’acciaio: capo ha fier, collo robusto, nudo il busto,  duro il braccio e l’occhio gaio”. Egli sdegna il poeta fantasioso, complimentoso, zerbinotto e galante, il poeta dei circoli aristocratici “delle dame e dei cavalieri”, il poeta delle fanciulle appassionate o in crisi di tipo aleardiano. Immagina la sua poesia fiera e ricca  di vitalità ancora primitiva, come un destriero sauro a cui piace “la polve………..………. del corso e i ….. venti e il lampo delle selci percosse e dei torrenti l’urlo solingo e fier” (da “Ripresa” in “Giambi ed Epodi”), in opposizione al suo indiavolato destriero egli delinea: “ i bei ginnetti italici con pettinati crini, che caracollano tra le morbide aiuole dei giardini in faccia ai loro amori, mentre la loro giubba fluttua ritmicamente tra i nastri e i fior de le fanfare al suon”.(da“Ripresa”).

Egli destina la sua poesia a due fini pratici: a tener desto il popolo italiano e a tener desto il suo spirito che rischia di accasciarsi sotto il peso della vita: “o popolo d’Italia, vita del mio pensier, o popolo d’Italia, vecchio titano ignavo, vile io ti dissi in faccia, tu mi gridasti: bravo ! E dei miei versi funebri t’incoroni il bicchier”.

Dedicandosi con foga travolgente alla sua poesia egli vuole obliare “l’inerte fato, i gravi e oscuri dì” (da “Ripresa).

Il Carducci si compiacque di vagheggiarsi come  poeta dello stampo  del vecchio plebeo romano: lavoratore onesto, libero, aggressivo, terribile con i cattivi, ottimo con i buoni. Gli piacque di essere poeta non nel chiuso di uno studio o di una accademia, ma in mezzo al fragore della vita, anzi volle che la sua poesia suscitasse fragore di battaglia là dove la vita sonnecchiava. Padrone della parole e inesauribile creatore di immagini, egli seppe interpretare tutti i motivi della vita con sensibilità robusta e forma concreta.

In forza di questa concretezza poetica che consiste nel radicare l’ispirazione alla vita vissuta, nel plasmare immagini nitide e robuste, nell’usare un linguaggio efficace ed essenziale, pur senza rinunciare alla buona coloritura, egli si oppose a tutti i movimenti letterari languidi, incerti e faciloni. Soprattutto i secondi romantici  con la loro ispirazione languida e piagnucolante, con la loro forma vaga e imprecisa, con il loro linguaggio fanciullesco e popolaresco, so no le misere vittime della frusta letteraria del Carducci. Tutti i pedanti gli sono antipatici, pur essendo egli u no scrupoloso elaboratore delle immagini e della parola: egli era professore esigente perché molto colto egli stesso. I faciloni che compongono dandosi arie di saputi, mentre sono degli oziosi e degli ignoranti; i pedanti che pretendono di imporre il loro metro gretto mai geni, sono da lui ridotti al silenzio con il suo stile spietato ed aggressivo. Basta ricordare i manzoniani stenterelli (Stenterello era una maschera fiorentina che parlava il ribobolo, cioè il dialetto popolaresco fiorentino), che egli deride in “Davanti a S.Guido” per la pedanteria con cui applicavano la soluzione del problema della lingua data dal Manzoni. Per non essere spennacchiati, anche quelli che lo detestavano, preferivano tacere.

Il Carducci e il romanticismo

Si oppose al romanticismo decadente.

Il Carducci, fin da giovane, si compiacque di presentarsi al pubblico colto d’Italia come  “scudiero dei classici”; e  battagliò   fieramente   contro  i  languori,  e

indefinitezze, la falsità, la sciatteria dei romantici secondi. Questi avevano creato la moda romantica. Avevano popolato la letteratura narrativa di donne pallide e sofferenti; di uomini in crisi, bisognosi di parole dolci, e, quel che è peggio, inclini essi stessi a parlare dolcemente; di vicende sentimentali; di paesaggi languidi, di salici piangenti; di laghetti inargentati dal chiarore lunare. Avevano ridotto la lirica a confessioni pietose, fatte a mezza voce; a religiosità vaporosa e fiacca, che aveva deformato il Cristianesimo in sentimentalismo rinunciatario. Infine, dimenticando di essere Italiani, avevano simpatizzato morbosamente per la poesia dei barbari (di Goethe, di Byron, di Lamartine, di Hugo).

a)- il Carducci comprese che una letteratura di questo genere riusciva deleteria allo spirito dell’Italia nuova. La marcia di un popolo giovane, che inizia il suo cammino verso mete imperiali,  non si accompagna con il flauto e le ariette  sentimentali, bensì con la tromba ed i canti epici.

b)- in secondo luogo, la sua indole fiera, sentiva ripugnanza per quella poesia senza vigore e senza sincerità; ed ostentò, per reazione ad essa, un abito mezzo  selvatico, chiassosamente rivoluzionario, spregiudicato e spavaldo;  così come erano stati i preromantici stormisti, tutti impeto e travolgenza.

c)- in terzo luogo, alla sua profonda cultura classica, alla sua serietà di artista ripugnavano le visioni figurate alla meglio, la psicologia fiacca, malata e poco intelligente, il linguaggio popolaresco. Per contrapporsi ai romantici, ostentò vigoria selvaggia, urlò che in arte bisogna lavorare sodo, bisogna essere  precisi,  bisogna dire cose utili e sensate.

d)- inoltre, a lui, professore di lettere italiane, dottissimo in lettere classiche, ripugnava l’atteggiamento di molti romantici i quali si vantavano, quasi, di aver buttato a mare il mirabile patrimonio della poesia classica, per apparire moderni, per mettersi al fianco di Goethe, di Byron, di Lamartine, di Hugo, che essi non sapevano neanche imitare.

Anzitutto il Carducci, studioso intelligente e di buon gusto, trovava nelle immagini, nel linguaggio, nei metri dei classici da Omero, a Virgilio, a Dante, a Foscolo, una infinità di modi d’arte adattissima alla formazione del buon poeta; in secondo luogo gli urtavano le cose di ultramodernismo esterofilo, che si risolvevano in autentico disprezzo della nostra tradizione artistica e culturale, e servivano ai mediocri per mascherare la loro ignoranza, e per dar tono alla loro faciloneria.

   Già in “Iuvenilia” egli si presentava “scudiero dei classici”; ed è significativo il fatto che ancor giovanissimo (era studente universitario alla Normale di Pisa), insieme al Gargani, al Tozzetti, e al Nencioni, fondò la “compagnia degli amici pedanti” col programma di difendere energicamente, quasi con voluta pedanteria, la dignità dell’arte contro la sciatteria e la faciloneria dei romantici decadenti; e di riportare la nostra poesia sulla strada della romanità e della italianità più pure.

    Il Carducci fu antiromantico al modo che certi romantici estremisti erano stati anticlassicisti: come questi, in nome della modernità, della originalità, della libertà, avevano gettato a mare la tradizione e la cultura classica; così egli, in nome della tradizione, getta a mare la produzione dei barbari moderni. Per questo il professore Carducci, titolare della cattedra di lettere italiane alla Università di Bologna, si dedica quasi esclusivamente all’esame dei nostri grandi autori, e solo in misura assai limitata si avvicina agli scrittori stranieri moderni. Lesse alcuni autori francesci. Ad esempio il Beranger, di cui in “Giambi ed Epodi” imitò lo stile aggressivo e battagliero, di tono plebeo, ma intelligente; del Michelet lesse la “Storia della Rivoluzione Francese”, da cui trasse spunti per i dodici sonetti del “Ca ira”e che a lui, spirito repubblicano e giacobino, interessava moltissimo; tradusse, adattando, dallo Herder, dal Goethe, dal Platen, dallo Heine, dal Romancero spagnolo.

e)- infine il Carducci, spirito laicista, anticlericale e naturalista, si trovava a suo agio solo a contatto con la mentalità e le immagini del classicismo pagano.

Egli odiava i preti perché, mazziniano ardente e naturalista convinto come era, li considerava nemici del progresso dell’Italia e del popolo, e sostenitori della religione trascendente, da lui confusa con il misticismo esasperato dei Catari, dei Flagellanti, e di altre sette ereticali del Medioevo e ritenuta ormai superata dalla scienza (vedi l’ode “Alle fonti del Clitunno”): caduto il potere temporale del Papa egli era sicuro che sarebbe caduto anche il Cristianesimo.

Mosso da questa animosità, egli spregiava tutto ciò che sapesse di religione cristiana: di qui la sua antipatia per il Manzoni  (invano smentita nel suo discorso di Lecco, col puerile pretesto che il babbo, quando egli era giovanetto,  gli aveva fatto leggere la “Morale cattolica”); e di qui anche la sua antipatia per il Romanticismo in generale che, come aveva affermato il Manzoni nella “lettera  al Marchese Cesare D’Azeglio”, oltre tutto, era assai più vicino del classicismo allo spirito delle nazioni europee moderne, educate dalla Chiesa nel periodo della loro infanzia medievale.

Proposte carducciane contro il Romanticismo.

Alla letteratura del Romanticismo in generale e a quella del Romanticismo decadente in particolare, il Carducci oppose questo programma:

1)- via della letteratura narrativa e descrittiva i temi emotivi inventati, cose concrete, di paesaggi reali, presentando tutto in forme vigorose, floride e serene, così che la poesia desti nei lettori l’amore per la vita.

Via dalla lirica i languori sentimentali e la soggettività morbosa:  si sostituisca una lirica di sentimenti robusti, forti e sinceri, I giovani non debbono essere abituati al lacrimoso, al tenero, al molle, al falso, bensì alla lotta per la libertà e la giustizia, al godimento sano e sereno dei beni della vita, al progressismo dinamico.

2)- via la primitività e la rozzezza, la fanciullaggine e le immagini imprecise, le figurazioni a metà, i passaggi ingiustificati: nella composizione artistica tutto deve essere logico, nitido, chiaro, plastico.

La naturalità non è sinonimo di primitività rozza e stupida, ma è spontaneità nell’esprimere una ricca sostanza di pensieri, di affetti, di esperienze vive.

La cultura è insostituibile in arte: essa serve ad intuire meglio i significati più profondi dei soggetti  e ad elaborare con precisione le immagini che li esprimono in forma concreta.

3)- via il fanatismo per gli scrittori stranieri, la mania antitradizionalista ed anticlassicista. Si utilizzi in modo originale ed intelligente quanto di buono i Greci, i Romani, i nostri grandi italiani, da Dante a Foscolo, hanno inventato per dar forma concreta al pensiero e al sentimento e per rendere più ricca ed efficace l’espressione linguistica.

   Questo programma è bene espresso nel “Congedo” della raccolta “Rime Nuove”.

Il poeta non è un pitoccone che si guadagna un pezzo di pane dicendo sciocchezze e turpitudini; non è un complimentatore di professione della gente ricca e oziosa; non è un fantasticone che vive nelle nuvole: il poeta vero è un grande “artiere”, un grande fabbro: ha corporatura vigorosa e spirito sereno; vigoria e ardore di sentimento; passione per il lavoro; agilità e destrezza nell’elaborare le forme.

Il grande artiere “nelle fiamme”del suo cuore ardente “gitta gli elementi dell’amore e del pensiero, le memorie e le glorie dei suoi padri e di sua gente, il passato e l’avvenire”. Nel cuore tutto si fonde, cioè tutto prende vita, si anima dello spirito del poeta nella fantasia tutto prende forma plastica.

Ecco quello che offre il poeta ai mortali: canti che accendono gli animi alla difesa della libertà; canti di lode per la virtù e la bellezza; canti che accompagnano la celebrazione dei riti religiosi; canti che allietano i conviti.

Lo stile del Carducci.

   Lo stile carducciano realizza la sintesi perfetta tra l’impeto lirico e la plasticità figurativa, tra la forma e la precisione, tra l’immediatezza romantica e la elaboratezza classica.

   Il Romanticismo aveva affermato tre principi indiscutibilmente veri:

a)- la poesia deve aderire alla vita;

b)- deve esprimere con immediatezza e vigoria il dettato del cuore commosso;

c)- deve essere accessibile al pubblico di tutti coloro che “leggono, capiscono e si 

     commuovono”.

   E’ proprio in base a questi principi il Romanticismo primo, cioè quello autentico, aveva creato una letteratura piena di vitalità e di forza, a cui spettava il merito di aver educato le generazioni del Risorgimento e di averle accompagnate nella lotta.

Era impossibile che un movimento così vasto e profondo non determinasse un cambiamento  di rotta anche nel nostro classicismo tradizionale. Questo, dall’Umanesimo al Foscolo, aveva avuto il difetto di rappresentare la vita in forme troppo aristocratiche e di creare opere accessibili soltanto a gente iniziata agli alti studi. Il classicismo umanistico si era esaurito in una imitazione formale degli antichi; il classicismo arcadico era nato e vissuto nei salotti: il neoclassicismo si era mantenuto su un piano di idealità quasi olimpica e di estetica elevata.

   Nella seconda metà dell’ottocento, cioè nell’età del positivismo e del progresso tecnico e scientifico; nell’età in  cui il proletariato avanzò per la prima volta sul piano della storia; nell’età, soprattutto, in cui la giovanissima nazione italiana iniziò, nella libertà e nel fervore di lotte ideali, il corso di una vita nuova, il Classicismo doveva assumere forme e toni più concreti, più dinamici, più popolari: doveva rinunciare al suo estetismo e al suo aristocratismo tradizionale ed accogliere motivi, immagini, forme linguistiche della vita vissuta, senza tuttavia rinunciare ai suoi pregi immortali, che sono la precisione e la nitidezza.

Spettò al Carducci il merito di portare il Classicismo tra le battaglie della vita, cioè di dar forma plastica, precisa e nitida alla storia, alle passioni, alle aspirazioni dell’anima moderna. Il Carducci realizzò, in stile classico,  quell’ideale del poeta-tribuno vagheggiato dall’Alfieri, che i romantici avevano realizzato in stile libero e ultramoderno. Il Carducci si compiaceva di incarnare nella vita e nell’arte il tipo del plebeo romano dell’età repubblicana: fiero, libero, laborioso, onesto, serenamente dedito al godimento dei beni di natura.

   E’ evidente, perciò, nel classicismo carducciano un senso di primitività sana e vigorosa, di piacevolezza serena e virile, che è il tono del naturalismo protopositivistico e contemporaneo, più dinamico, e massiccio di quello rinascimentale, che era stato troppo aristocratico ed estetico, più realistico e concreto di quello illuminista che era stato troppo intellettuale, meno complicato e più ottimista di quello romantico.

   Il Carducci, dunque, ha creato il classicismo positivo, il classicismo del democratico moderno, mirabile connubio di impeto rivoluzionario e di fresca popolarità da una parte e di cultura e di buon gusto dall’altra. Il suo è il classicismo “dell’uomo d’azione”, dell’uomo di cultura e di buon gusto e soprattutto del poeta che sa valersi della creazioni passate per esprimere le creazioni sue.

   Possiamo dire che il Romanticismo dà il tono della creazione carducciana, tono veemente ed impetuoso; e che il classicismo dà ad essa la forma, cioè la struttura compositiva, salda e logica, la nitidezza e la plasticità nella figurazione, le immagini mitologiche  adattissime alla sua concezione naturalistica, i metri più gloriosi (saffico, alcaico, distico elegiaco, cioè esametro  più pentametro)

Che cosa il Carducci accolse del Romanticismo

a)- il concetto che la poesia deve accompagnare spiritualmente la vita del popolo.

b)- il concetto che la poesia erompe dalla energia naturale che ferve nel cuore del genio.

c)- il culto degli ideali di patria, libertà, popolo, progresso.

d)- la preferenza per i motivi storici. Si può dire che il Carducci sia il poeta della 

storia. Basta ricordare che le sue composizioni più belle traggono ispirazione da visioni di storia medievale (in cui campeggiano le figure degli eroi del Risorgimento). Il motivo storico offre al Carducci lo spunto per bellissime figurazioni rievocative, per svolgere motivi polemici, per esaltare i grandi ideali politici ed umani che gli stanno a cuore (ricordare “Poeti di parte bianca” in “Levia gravia”; svariate composizione di “Giambi ed Epodi”; i sonetti  del “Ca ira”; “Sui campi di Marengo” in “Rime nuove”; quasi tutte le “Odi barbare”, “Alle fonti del Clitunno” e in particolare “Miramare”, “Piemonte”, “Alla città di Ferrara”, “La chiesa di Polenta”, in “Rime e ritmi”, “Parlamento” dalla canzone di Legnano.

e)- il dramma interiore generato, specie nel Carducci maturo, dall’”enorme mister dell’universo” (cioè dal mistero che circonda l’origine, il significato, il fine dell’universo e della vita) e del vuoto dello spirito dopo tante  e vane esperienze. Questo dramma, tuttavia, non assume mai la forma della crisi e non si risolve mai in malinconia abbandonata e morbida, ma si concreta in pensosità virile e viene superata con una battuta fra disperata ed accorata, con un leggero scintillar degli occhi inumiditi, con un gesto di ripresa e di scuotimento energico.

In “Idillio maremmano” appare la figura del poeta  sgomentato dal suo stesso pensiero: “or freddo, assiduo, del pensiero il tarlo mi trafora il cervello, ond’io dolente misere cose scrivo e triste parlo”. Ma il suo spirito dinamico e fiero non si abbandona, e, con una battuta da positivista agnostico,  si libera della malinconia che sta per investirlo: “meglio, oprando obliar senza indagarlo, questo enorme mister dell’universo”: si lavori, si costruisca, sembra dire il poeta; la risposta al mistero della vita la darà la morte; quando moriremo, se c’è qualcosa lo vedremo: per ora non vale la pena né indagare né, tanto meno, piangere.

In “Davanti a S. Guido” il Carducci progressivamente si inoltra in considerazioni malinconiche, sino a giungere a sentire che la sua esistenza è stata vana ricerca di una felicità impossibile e che forse solo la morte gli darà quella pace che la vita non è riuscita a dargli: “Quello che cercai mattina e sera tanti e tanti anni invano, forse, nonna, è nel nostro cimitero”. Il Carducci leonino e ottimista sembra piegare sotto il peso della vita; ma eccolo proprio al culmine della tenerezza e della malinconia, dissipare il velo triste che sta avvolgendo il suo cuore, con la visione della leggiadra schiera di puledri che, annitrendo,  corrono al rumore della vaporiera fuggente: una visione di vitalità giovanile e di progresso richiama l’anima alla vita che ferve e le malinconie di dissolvono.

   Il Carducci è un uomo sensibilissimo: ma la sua tempra è virile: pensa e soffre, ma evita di far sapere a tutti, come facevano i romantici, che egli pena: qualche cenno sobrio e pensoso qua e là (Funere mersit acerbo in “Pianto antico”).

Non è difficile cogliere in questi atteggiamenti gli influssi della mentalità positivistica che evita i problemi metafisici, dichiarandoli insolubili, e si contenta di indagare sulle forze della natura per utilizzarle ai fini del progresso tecnico, economico e politico della società umana.

Cosa rifiuta il Carducci del Romanticismo ?

1)- l’anticlassicismo, a cui oppone:

     a)- una spiritualità classica naturalistica.

     b)- uno stile classico: figurativo, plastico, preciso, nitido, con utilizzazione (assai sobria e limitata) del mito.

     c)- lo studio e l’utilizzazione libera delle creazioni classiche.

2)- le fantasie lontane dalla realtà, a cui oppone una poesia che trae soggetti e motivi dalla vita vissuta e dalle battaglie ideologiche della storia contemporanea.

3)- il realismo mediocre ed umile, a cui oppone un realismo fatto di visioni di potenza, di forza, di bellezza fiorente, di magnanimità,  di grazia elegante e decorosa, di primitività intelligente e sana.

4)- la psicologia in crisi, a cui oppone una psicologia robusta e decisa.

5)- i paesaggi tetri e languidi, a cui oppone una natura imponente, ricca di vitalità, florida e piena di sole. In “Classicismo e Romanticismo” (che si trova in “Rime nuove”) la luna, tanto cara ai romantici per la sua luce tenue e per il suo volto pensoso, è malmenata dal Carducci in modo spietato: “Benigno è il sol… che inonda di luce e di vita gli uomini dediti alle opere del giorno”; ma alla povera luna che col suo raggio “gode abbellir ruine e lutti, e maturar non sa nel fantastico viaggio né fior né frutti” lancia un insulto atroce: “Odio la faccia tua stupida e tonda….monacella lasciva ed infeconda, celeste paolotta” (paolotto= bigotto).

6)- la figurazione incerta e sbiadita a cui oppone la figurazione precisa, plastica, nitida.

7)- il lirismo, la effusività, la immediatezza fatta di sospiri e di gemiti, a ciò oppone un lirismo sobrio e sapientemente temperato da descrizioni potenti.

8)- la faciloneria popolaresca, a cui oppone sapienza e severità di tecnica e buon gusto.

Non occorre ripetere che questi aspetti, ripudiati dal Carducci, sono  propri della moda romantica, non del romanticismo genuino, quale fu interpretato dal Manzoni e dal Berchet.

Note caratteristiche della composizione carducciana.

1)- L’impostazione oratoria.

Il Carducci considerò sé stesso “vate d’Italia, tribuno del popolo”, “plebeo della Roma repubblicana”. Cosciente della sua cultura, della sua autorità di professore universitario, e soprattutto del suo genio, egli non sono non si stima inferiore agli uomini della politica e degli affari, ma reputa suo diritto e dovere seguire e giudicare l’operato di quegli uomini e riferirne al popolo.

Vediamo di che cosa parla col suo pubblico:

a)- Dice male del governo, dei preti, del Papa, dei romantici (specie in “Giambi ed Epodi”). Questo era il suo motto: “in politica: l’Italia sopra a tutto – in arte: il classicismo anzitutto”. Mazziniano, professore di lettere, poeta classicista, egli sente palpitare nelle sue vene la romanità e l’italianità . Ora che l’Italia si è riunificata, dopo tanti sacrifici e tanto sangue, egli ha la sensazione che gli Italiani si siano dati ad una politica di rinunce e di viltà.

Nel 1862: Aspromonte: il governo italiano arresta la marcia dei garibaldini verso Roma, rinchiude Garibaldi nel forte di Varignano.

Nel 1866; sconfitta a Lissa e Custoza: ci viene restituita dall’Austria la Venezia Euganea, ma dobbiamo riceverla dalla mani di Napoleone III°.

Nel 1867: Mentana: truppe francesi provano i loro chassepots (primi fucili a retrocarica dati nel 1866 in dotazione ai soldati francesi) contro i garibaldini.

Nel 1870: si entra in Roma quasi alla chetichella.

La monarchia, il governo della destra, pensa il Carducci, ci stanno umiliando: l’Italia “passa fra le nazioni moderne tra una pedata e l’altra”.

All’età delle cospirazioni, delle spedizioni, delle insurrezioni all’età del popolo, è subentrata l’età dei diplomatici, delle discussioni e dei compromessi, l’età delle rinunce. Se si desse mano libera al popolo, tali cose non succederebbero.

Il Carducci che ha l’animo pieno di italianità e di romanità, che vuole indirizzare la gioventù italiana sulle orme dei padri romani e dei campioni del Risorgimento, infuriato sale sulla tribuna e tuona contro la monarchia, contro la diplomazia, contro gli uomini politici vigliacchi e profittatori; maledice il Papa che si ostina a non cedere Roma ed invoca l’aiuto stranieri contro la patria; schiaffeggia i romantici che in un momento così drammatico stanno piagnucolando nenie e fantasie solitarie.

Giustizia e libertà, energia e onestà, schiettezza e decoro: questi sono gli ideali che egli predica “all’Italia, gente dalle molte vite” in nome della Roma antica e dell’Italia moderna.

b)- rievoca visioni di gloria passata, quando il popolo, specie nell’età dei Comuni, era padrone del suo destino e dava prova della sua potenza e della sua bontà (“Comune rustico” – “Sui campi di Marengo”); quando i signori erano veramente signori (“Poeti di parte bianca”); quando ogni lavoratore era un artista e sorgevano le belle chiese, i bei campanili, i bei palazzi comunali, le belle piazze, con il contributo geniale di tutti i cittadini.

c)- celebra gli uomini e le donne belle, celebra l’amore, celebra la potenza e l’arte della natura; celebra il progresso materiale congiunto ad intelligenza e buon gusto; esorta al godimento sano e sereno dei beni della vita. E nel frattempo dice male del Cristianesimo e dei preti perché predicano la rinuncia, l’avvilimento, la schiavitù, il regresso, ammuffiscono le anime e i corpi.

d)- confida le sue gioie personali, le sue pene e i suoi crucci (“Funere mersit acerbo”, “Pianto antico”, “Idillio maremmano”, “Traversando la maremma”).

Si tratta di confidenze intime, fatte con virile sobrietà e con la certezza che esse saranno gradite al pubblico, il quale è cento ansioso di sapere se anche il professore poeta Carducci, così leonino e fiero, è un mortale che ama la pena, come tutti i mortali.

Concludendo questa prima caratteristica. Il Croce afferma che il Carducci non è poeta, ma oratore. Questa distinzione fra poesia e oratoria è arbitraria, o meglio, è basata sul pregiudizio crociano che la poesia sia liricità disinteressata, cioè canto puro senza finalità pratiche; per cui l’oratoria, la quale ha come fine quello di persuadere, è fuori del mondo della poesia. Ma se la poesia consiste soltanto nell’esprimere bene la vita intima di un soggetto, nessuna composizione, neanche quella oratoria, neanche il poema didascalico, rimangono esclusi dalla poesia.

E siccome il Carducci ha sempre espresso i suoi stati d’animo ricchi di pensieri e di sentimenti con precisione ed efficacia, poco importa che l’impostazione da lui preferita fu quella oratoria.

2)- Vigoria e plasticità di figurazione. Il Carducci preferisce figurare immagini ricche di vitalità, di forza e di floridezza. Le note descritte da lui  utilizzate sono essenziali e ben rilevate: adopera la parola per scolpire. La scultura foscoliana era più signorile e più fine; quella carducciana è più massiccia, ma è sempre nitida; nella figurazione foscoliana c’era più idealismo estetico, in quella carducciana c’è più positivismo estetico.

3)- Immediatezza, calore e franchezza nell’esprimere i sentimenti.

Il Carducci, plebeo fiero e sincero, sdegna i palliativi, le frasi di accomodamento; l’espressione, per così dire, diplomatica. Non ha peli sulla lingua; quel che ha in cuore ha in bocca; anzi, spesse volte, irruente e impulsivo com’è, dice di più di quanto non intenda dire. E’ per questo motivo che talvolta egli ritorna su certi suoi atteggiamenti polemici eccessivi, per correggerli e moderarne la portata. Così a proposito dell’”Inno a Satana”, che egli definì una “fanfarrata”: così anche a proposito del suo giudizio circa la funzione storica de Cristianesimo espresso nell’ode “Alle fonti del Clitunno”, giudizio che egli corresse nella “Chiesa di Polenta”.

4)- Varietà di toni nella costante robustezza. Il Carducci, tribuno del popolo, parla sempre con un tono robusto, ma sa flettere mirabilmente la sua voce a seconda dei motivi che svolge. Fiero ed impetuoso, quando aggredisce; pacato e solenne, quando figura visioni cariche di epicità e di idealità; pieno di forza incalzante e drammatica, quando il suo animo è inondato dall’entusiasmo; delicato e gentile, quando presenta scene simpatiche; cordiale, espansivo e florido, quando rende omaggio alla bellezza, agli amici, alle persone care; secco ed acre, quando vuol fare dell’ironia; pensoso e grave, quando confida le sue pene.

E’ questa varietà di toni costantemente sostanziata di vigoria, di giovanilità, di bravura balda e sicura di sé, che rende sempre gradito e desiderato il discorso poetico del Carduci.

L’importanza del Carducci nella storia della letteratura italiana.

   La personalità del Carducci ha dato l’impronta a tutta la poesia della seconda metà dell’ottocento, anche se in questo si notano svariate correnti, diverse per ispirazione, per forma e per linguaggio  da quella carducciana.

   Il Pascoli, benché avviato nella corrente decadentista e simbolista, tuttavia risentì, in tono minore, dell’influsso del maestro, specie nelle liriche di ispirazione patriottica.

 Il D’annunzio, nella raccolta “Primo vere” è evidentemente sotto l’influsso carducciano.

   Tutti i poeti della fine dell’ottocento e dei primi del novecento, quando hanno voluto esprimere sentimenti forti con tono forte, hanno tenuto presente il modello carducciano. Seguaci fedeli del Carducci furono: Giuseppe Chiarini, Severino Ferrari, Guido Mazzoni, Giovanni Marradi.

   Il fascismo lo considerò come uno dei più grandi poeti nazionali, per la vigoria del suo sentimento patriottico, per il culto delle memorie imperiali di Roma, per l’intonazione dinamica e fiera  della sua mentalità politica. Sulla scia del Carducci, infatti, il fascismo si compiacque di bollare con frasi forti la politica dell’incertezza e del compromesso, in uso dell’Italia posti-risorgimentale, specie nell’età umbertina;  e di opporre ad essa la politica della voce grossa e del colpo di mano.

   Il Carducci, inoltre, fu il più intelligente interprete dell’età del positivismo. Questa età, incamminata com’era sulla via del realismo crudo e della oggettività assoluta, rischiava di non riuscire a darci altro che una letteratura in prosa, di propaganda scientifica, così com’era successo nell’età illuministica.

   Ma come nella seconda metà del settecento, il Parini seppe conciliare la tendenza pratica della cultura illuministica con l’idealizzazione classica, così il Carducci riuscì ad interpretare la spiritualità massiccia della generazione che scriveva le parole scienza e progresso con la lettera maiuscola, nelle forme di un classicismo muscoloso e sprizzante faville. Così l’età del positivismo ebbe il suo poeta lirico, che ne interpretò lo spirito naturalista, pagano e progressista, e lo espresse con uno stile massiccio, nitido e decoroso. Così, soprattutto l’età, in cui ebbe inizio il progresso tecnico-industriale contemporaneo, vide congiunti insieme la materia e l’idea, la tecnica e l’estetica.

   E’ innegabile che, travolto dall’impeto della sua indole calda e passionale, il Carducci cade spesso nel settarismo e nel fanatismo intransigente; com’è innegabile che il suo stile di plebeo romano moderno cade, talvolta, nella polemica scorretta e ingiusta. Ridicoli sono certi suoi atteggiamenti di fustigatore e di distruttore indiavolato e spavaldo, che sembra voler ragione per forza, facendo la voce grossa. Tuttavia è certo che, anche quando la sua ispirazione focosa trascende i limiti dell’equità e della moderazione ed accoglie i pregiudizi meschini, il Carducci si esprime sempre con un linguaggio preciso, sicuro e di innegabile efficacia.

   Il Carducci fece troppo spesso la voce grossa, assunse troppo spesso le forme del leone infuriato e del mastino che abbaia e addenta; ma la bontà e la generosità che ugualmente spesso dimostrò, lo resero simpatico a tutti.

   Passò così come il tipo del poeta terribile e buono, burbero ed umano nello stesso tempo: così, del resto, immaginava lui, ed immaginiamo ancor noi, il tipo del tribuno o del plebeo romano.

Raccolte della poesia carducciana.

1)- “Iuvenilia”(= cose giovanili 1850-1860): raccolta di liriche in cui si presenta come scudiero dei classici. Sono composizioni che  si riducono quasi sempre ad esercitazioni di tecnica classica, con derivazione dai Greci, dai Latini, dagli italiani maggiori.

2)- “Levia gravia” (= cose leggere e gravi 1861-1871): sono composizioni, in genere, occasionali (ad esempio alcune liriche per nozze; per la proclamazione del Regno d’Italia; per la spedizione francese nel Messico; dopo Aspromonte, ecc.)

Il giovane poeta ripete frasi fatte, tante immagini azzardate: non ha trovato ancora la sua via. L’unica perla è “Poeti di parte bianca” in cui si notano una sicura capacità di rievocazione d’ambiente e una figurazione plastica assai efficace.

3)- “Giambi ed Epodi” (1867-1879). Il giambo è un verso inventato dal poeta greco Archiloco: verso celerissimo e quindi adatto alla poesia d’assalto.

L’epodo è un verso brevissimo che Orazio pose dopo il giambo, come un’appendice di esso, come una battuta irosa di complemento. E’ questa la raccolta di battaglia del Carducci: attacca i romantici, i preti, il governo; esalta Garibaldi, Mazzini, i morti di Mentana.

L’”Inno a Satana”, che fa parte a sé, costituisce quasi una profanazione a “Giambi ed Epodi”. Il poeta esprime il suo proposito nel prologo della raccolta: “io  vo’ fuggir dal turbine col volo dove una torre ruinata: là come lupo ne la notte solo io col vento e col mare ulurerò… Tutto che questo mondo falso adora col verso audace lo schiaffeggerò”.

L’ultima lirica è “Il canto dell’amore” in cui il poeta si riconcilia coi preti e coi tiranni, perché essi, “ormai che l’Italia è arrivata a Roma”, non nuocciono più. L’indignazione (come diceva Giovenale della sua poesia) crea  le immagini e i ritmi di questa raccolta.. Si nota uno stile ormai ben avviato: precisione ed efficacia di immagini; ma si notano anche disorganicità e disarmonie nel procedimento, dovute alla aggressività spavalda e spesso furiosa dell’ispirazione. L’imitazione è totalmente assorbita dal sentimento che, sebbene incomposto, è vivacissimo e sincero.

4)- “Rime nuove” (1861-1887): è la raccolta più bella del Carducci: in essa si trovano: “Il bove”, “Virgilio”, “Funere mersit acerbo”, “Traversando la Maremma toscana”, “Davanti a S.Guido”, “Il Comune rustico”, Sui campi di Marengo”, “La leggenda di Teodorico”, i dodici sonetti del “Ca ira” (ca ira, ca ira, la liberté trionpherà): così cantavano i figli della Francia rivoluzionaria negli anni 1792-1793, quando si scontrarono le prime volte con le truppe alleate della controrivoluzione.

Il Carducci commenta poeticamente quelle giornate epiche, mettendo in evidenza

la vigorosa offensiva del popolo contro la tirannide. E’ la raccolta migliore perché è la più meditata e la più calma: nella meditazione e nella calma il Carducci riesce ad individuare il significato dei soggetti che tratta e a svolgerli con organicità, con armonia, con precisione di immagini e di linguaggio.

5)- “Odi barbare”. La raccolta è intitolata così perché in queste liriche il poeta tenta di tradurre in metrica accentuativa italiana (cioè basata sul numero e sugli accenti delle sillabe) il ritmo della metrica quantitativa classica (basata sulla quantità ossia sulla lunghezza e brevità delle sillabe). Questo adattamento metrico, dice il Carducci, all’orecchio di un Greco o di un Latino, che la udisse, suonerebbe come una melodia barbara. I metri classici tradotti in  metri italiani sono: la strofe saffica, l’alcaica, il distico elegiaco (esametro, pentametro). In genere in queste composizioni il poeta, prendendo lo spunto da una data, da un paesaggio, rievoca avvenimenti storici in cui rifulge un’idea che gli sta a cuore. Normalmente lo svolgimento della lirica segue questo schema: descrizione del paesaggio, rievocazione storica, battuta polemica. Si notano in questa raccolta: pensiero ben chiaro, forza di sentimento, figurazione plastica e vigorosa.

Le liriche più famose sono: “Nell’annuale della fondazione di Roma”, “Dinanzi alle terme di Caracalla”, “Alle fonti del Clitunno”, “Per la morte di Napoleone Eugenio”,“Miramare”, “Saluto italico” (agli irredentisti della Venezia Giulia).

6)- “Rime e ritmi”. Una raccolta che tende all’arte raffinata, al compiacimento estetico, pur conservando la robustezza propria dell’ispirazione e della forma carducciana. Le liriche più famose di questa raccolta sono: “Janfrè Rudel”, “Piemonte”, “Alla città di Ferrara”, “La chiesa di Polenta”.

7)- Infine elenchiamo “La canzone di Legnano”. Doveva essere una specie di poemetto storico, in cui il poeta aveva intenzione di rievocare le epiche gesta di Comuni Lombardi contro il Barbarossa. E’ svolta soltanto la rievocazione del Parlamento in cui i milanesi decidono di affrontare il Barbarossa in una battaglia campale. Rievocazione perfetta: la spiritualità del popolo libera, fiera, buona.

La figura di Alberto di Giussano sintetizza in forme idealizzate le virtù del popolo a cui egli parla. I motivi toccati da Alberto e il tono del suo discorso sono indovinatissimi, cosicché alla fine esplode naturale la decisione del popolo di affrontare “a lancia e spada il Barbarossa in campo”.

E’ un brano di epica severa e gentile, primitiva ed elaborata nello stesso tempo. Il Carducci seppe rivivere ed esprimere mirabilmente la vita del Comune medievale,

del cui popolo egli possedeva lo spirito fiero, buono ed artistico.

La produzione carducciana in prosa:

   L’edizione nazionale delle opere del Carducci comprende trenta volumi: di questi, ben ventisei sono di prosa. L’epistolario, inoltre, è raccolto in dodici volumi a parte.

   Possiamo dividere la prosa carducciana in tre specie:

1)- Prose autobiografiche.

      Comprende: “Prose giovanili”- “Bozzetti e scherme”- “Confessioni e battaglie” -“Ceneri e faville”. Sono prose piene di brio e di cordialità, quando il Carducci parla dei suoi studi, delle sue conquiste, delle sue soddisfazioni delle cose e delle persone che hanno allietato la sua vita di lavoratore; sono impetuose, indiavolate  e vivacissime quando polemizza con i suoi soliti avversari.

2)- Discorsi letterari e storici.

      Il Carducci, stimato da tutti come uno dei più bravi oratori d’Italia, veniva spesso invitato a tenere discorsi di commemorazione. Si trattava di commemorare poeti, personaggi politici, avvenimenti storici.

     In questi discorsi egli delinea:

     a)- una straordinaria abilità nel delineare ed abbellire quadri storici;

     b)- bellissimi quadri storici in sintesi piene e libere;

     c)- rievoca episodi con efficacia drammatica;

     d)- si abbandona ad effusioni liriche piene di calore e di passione;

     e)- polemizza con ironia e fierezza;

     f)- assume toni profetici e crea miti nuovi.

     In questi discorsi il Carducci si rivela sommo oratore: ricchezza di concetti

_ potenza di immagini

_ frase incisiva e scultorea.

     Da ricordare: “La libertà perpetua di S.Marino”, “Per la morte di Giuseppe Garibaldi”, “Per il tricolore”, “Commemorazione di Virgilio”, “Per Francesco Petrarca in Arquà”.

3)- Prose critico-letterrarie.

    Il Carducci, nella sua attività di professore universitario, illustrò i più grandi   

    autori e i vari periodi della letteratura italiana.

    Ecco i principi sui quali si basa la critica carducciana:

    a)- l’opera d’arte è creazione di un’anima ricca di fede e di idealità: se non c’è  l’uomo, non c’è il poeta.

    b)- l’uomo e quindi il poeta è figlio della sua generazione.

    c)- la poesia deve essere arte, cioè forma: e questa costituisce almeno i tre quarti della poesia.

    In base a questi principi, nella critica di un’opera, il Carducci:

    a)- mette in evidenza la sostanza spirituale del poeta, gli ideali patriottici, religiosi e morali, la passione per l’arte e il gusto artistico; la serietà del lavoro, l’onestà della vita.

    b)- mette in evidenza i motivi della civiltà di un’epoca riflessi nell’opera di un autore (famoso a questo proposito è il rapporto che egli delinea fra la civiltà del Rinascimento e l’”Orlando Furioso”).

    c)- Il Carducci, grande oratore, cultore esigentissimo dello stile preciso,  sostenitore della “dignità e del decoro dell’arte”, concentra il suo esame soprattutto sulla forma, intesa come modo di esprimere lo stato d’animo attraverso la figurazione fantastica e attraverso il linguaggio. Perciò esamina le immagini create dall’autore (che egli vuole precise e nitide), la parola (che vuole esatta, efficace e veramente italiana), il ritmo  (che vuole adeguato al motivo che si svolge agile nella sua struttura).

Carducci e De Sanctis

   Fino ma qualche anno fa si è sostenuto che fra la critica del Carducci e quella del De Sanctis vi fosse un contrasto insanabile.

   De Sanctis, si diceva, è critico romantico: Carducci è critico positivistico. L’uno si è specializzato nel  definire i grandi quadri storici, nel rivivere la forma come anima della poesia, l’altro si è specializzato nello studio dei particolari, nell’esame della forma come tecnica della poesia.

   I seguaci della poesia positivistica (i quali nell’esame di un’opera d’arte si sono specializzati nell’indagare sulla genesi storica dei singoli motivi, della parola, dei metri, cioè sulla parte materiale o positiva della composizione) credevano che Carducci fosse con loro, perché aveva insistito tanto sull’esame della tecnica-poetica.; e disprezzavano il De Sanctis come un chiacchierone di di tutto parla, fuorché dell’opera. Il De Sanctis, infatti,  preoccupato delle grandi sintesi ideali e storiche (sulle orme di Hegel), sembrava perdere di vista la realtà positiva di un’opera, per delineare i procedimenti seguiti dello spirito nel dar forma all’anima di un’epoca e quindi all’anima degli artisti che quella stessa opera avevano generata.

Invece le cose stanno diversamente.

Il Carducci accoglie della critica romantica del De Sanctis:

a)- il concetto che nell’opera d’arte si incarna l’anima dell’autore;

b)- il concetto che fra l’anima dell’autore e quella della sua età esiste un rapporto vitale.

 Il contrasto è solo in questo:

a)- per il De Sanctis (come per Hegel e per tutti i romantici) materia e forma nascono insieme, nel senso che la forma è l’anima della materia e non si può concepire materia viva senza la sua anima: materia e forma nascono per lo stesso atto di “intuizione”.  Per il Carducci, invece, la forma, benché debba sempre essere adeguata alla materia, tuttavia, viene dopo l’ispirazione e si crea attraverso un paziente  lavoro di tecnica, in cui intervengono come fattori decisivi la cultura letteraria e il buon gusto (ricordare a questo proposito il grande artiere di “Congedo” di “Rime nuove”: prima fonde i motivi nella fucina ardente del suo spirito, cioè  nel suo sentimento e poi dà ad essi una forma).

b)- il De Sanctis si esprime con linguaggio appassionato e caldo, che non rifugge dal  procedimento spezzato e vivace caratteristico del linguaggio parlato. Il Carducci, invece, nel suo discorso è più disciplinato e più organico, più classico  e più letterato, insomma.

Conclusione

   Da quanto si è detto circa il Carducci poeta e il Carducci critico, si può concludere che egli rappresenta, nella seconda metà dell’ottocento, la sintesi perfetta fra quanto aveva avuto di meglio il Romanticismo e quanto ebbe di meglio il Positivismo.  Infatti:

a)- ritroviamo in lui  l’identità romantica e la concretezza positivistica.

b)- il culto della civiltà classica, di cui assimilò lo spirito naturalistico e lo stile preciso e bello: Atene e Roma simboleggiavano per lui la forza serena ed elegante. Il culto della storia medievale di cui ammirò e cantò i liberi Comuni e riprodusse lo stile semplice e forte nelle ballate. Il Medioevo simboleggiava per lui l’epoca della primitività italica, sostanziata di naturalità rude e gentile, ardente di passioni sublimi, e creatrice di uno stile austero e fiorito insieme.

La sintesi fra la bellezza elegante, classica e la ruvidezza medievale ci dà il tipico classicismo carducciano, in cui la bellezza va costantemente congiunta con la primitività schietta e vigorosa.

Dante, poeta metafisico e teologo, aveva scelto come modello, nel mondo classico, Virgilio, poeta pensatore. Il Parini, poeta del buon senso,  aveva scelto come modella Orazio. Foscolo, poeta della bellezza signorile, aveva scelto come modello Catullo. Il Carducci, poeta del popolo dell’Italia nuova, aveva scelto come modello il plebeo dell’età repubblicana di Roma e il fiero cittadino del Comune medievale: così spirito classico e spirito romano si congiungevano a fare di lui il classicista dell’età del Positivismo.

c)- il  critico che ricerca nell’opera d’arte l’anima del poeta e l’anima della nostra stirpe: il critico che ricerca nella creazione poetica i pregi della tecnica del bello.

Spirito, armonia e tecnica: idealità, bellezza, arte: romanticismo, classicismo, positivismo: la sostanza del Carducci poeta.

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