Giovanni PASCOLI appunti dalle lezioni del prof. Mancini don Dino a Fermo

GIOVANNI PASCOLI      (1855-1912)

PENSIERO:

a)- Concezione del reale.

   E’ una concezione agnostica: non sappiamo chi siamo, donde veniamo, dove andiamo. Il Pascoli subisce l’influsso del positivismo che dichiara insolubili tutti i problemi che evadono dal campo della scienza, della matematica, della tecnica e della esperienza in generale.

   Il Pascoli era stato educato alla religione cattolica da giovanetto nel collegio degli Scolopi ad Urbino e la mamma e le sorelle, col loro esempio e con la loro parola, gli avevano resi familiari i principi e i modi di vita della religione cristiana; ma la cultura positivistica sostituì alle certezze della fede un dubbio angoscioso: egli vorrebbe continuare a credere a quello che gli è stato insegnato, ma la scienza in lotta con la fede, specie a quei tempi, nega tutto quello che gli è stato insegnato: non ha il coraggio di rinnegare la fede, né quello di respingere la scienza, e perciò rimane nel dubbio: non si saprà mai con certezza quello che siamo (leggere la poesia “Il naufrago”) . L’uomo è “onda che va che viene”, cioè nulla. Leggere anche la poesia “Il libro” in cui il poeta immagina che un uomo invisibile stia a sfogliare un libro antico quanto il tempo, il libro del mistero, senza mai trovare la pagina in cui vi sia la spiegazione “dell’enorme mister dell’universo” per usare una frase del Carducci.

b)- Concezione della vita.

      La vita è male: la terra su cui viviamo è definita in “Dieci agosto”: “quest’atomo opaco del male”

Da che cosa deriva il male? Anzitutto deriva dalla paura, la quale a sua volta deriva dalla tenebra del mistero che ci avvolge tutti. Nella poesia “La vertigine” il poeta immagina il globo terrestre lanciato a velocità spaventosa nello spazio cosmico con  gli uomini attaccati al suolo con i piedi, pendenti in giù con la testa: una posizione delle più infelici, in moto verso mete che nessuno conosce. Il “dubbio” strazia l’animo del poeta (il Carducci in “Idillio maremmano” parla del tarlo del pensiero che gli trafora il cervello): nella “Preghiera dell’eremita” egli fa dire al suo eremita: “A me dispensa (risparmia) il reo dolor che pensa” cioè il dolore del pensiero, ossia il dubbio.

   Altra causa del dolore umano è la cattiveria degli uomini. Il Pascoli subì un grave shock a causa della uccisione del padre e di altre numerose sciagure, che investirono la sua famiglia, in conseguenza di quel fatto. Visse la sua adolescenza e giovinezza nel periodo in cui il capitalismo opprimeva gli operai, e gli anarchici, in nome degli operai, compivano imprese terroristiche. Egli stesso fu messo in carcere per aver scritto una poesia in onore dell’anarchico Passanante che aveva attentato alla vita di Umberto I nel 1879. Poi si staccò dall’anarchismo e aderì spiritualmente (non politicamente) ad un socialismo umanitario che attuasse la pace tra i popoli e la giustizia per gli oppressi.

Come si esce dal dolore?

1)- Anzitutto trovando conforto nella natura. La natura non è cattiva, come affermava il Leopardi: essa è buona e con i suoi grandi spettacoli e le sue piccole cose sa offrire uno svago innocente a chi vuol dimenticare la tristezza della vita. Leggendo “L’ora di Barga” si può capire quanta consolazione il Pascoli traesse dalla comunione affettuosa con le piccole cose del mondo animale e vegetale. Alla natura il Pascoli si avvicina con l’animo del fanciullino: rimane estasiato di fronte agli spettacoli grandi della natura la cui grandezza quasi gli mette timore; si avvicina curioso ed affettuoso ai piccoli esseri che vivono insieme con l’uomo nell’immenso parco della terra, per parlare con essi, per vagheggiarli, per immedesimarsi con la loro vita felice. L’immedesimazione fa sì che egli apprenda e riproduca degli animali più graziosi e più pacifici (quali sono ad esempio gli uccelli), il canto, i suoni inarticolati: chiù….chiuù….   ffr…. frr…..

2)- Attraverso l’unione fraterna e affettuosa di tutti gli uomini. Nella poesia “I due fanciulli” il Pascoli dopo aver descritto la riappacificazione di due fratellini che, dopo aver litigato, sono stati condotti a letto dalla mamma e avvolti dalle tenebre,  per la paura, si sono riavvicinati e abbracciati, aggiunge: “uomini nella truce ora dei lupi”, cioè quando insorgono in voi gli istinti aggressivi della bestia feroce, ricordatevi del mistero che ci circonda: è una tenebra che fa paura; non sappiamo da dove veniamo, chi siamo e soprattutto dove andremo a finire: abbracciamoci e teniamoci compagnia, gli uni e gli altri, in attesa che il mistero si risolva, o, diventando più fitto, ci assorba.

   Leopardi aveva lanciato un appello ne’ “La ginestra” a tutti gli uomini perché si unissero contro la nemica comune, cioè la natura. Per il Pascoli la natura è benigna e i mali derivano all’uomo dal suo simile: se gli uomini fossero più buoni diminuirebbero i mali, e a quelli che sono inevitabili (malattie, terremoti, ecc) si potrebbe apportare rimedio più facilmente.

   Anche l’amore assume nel pensiero del Pascoli un significato di fraternità e perde ogni carattere di passione, anche se nobile. La donna è una sorella, l’uomo un fratello: sono due smarriti nel buio dell’esistenza, che hanno bisogno di farsi compagnia. L’amore passionale in “Digitale purpurea” è presentato come causa di morte spirituale.

PENSIERO LETTERARIO

   Per capire la poesia del Pascoli, che potrebbe essere definita grande poesia di un poeta piccolo, è necessario leggere la prosa che egli ha intitolato “Il fanciullino”.

“Esiste – egli dice – nel fondo di ogni uomo (ecco la psicologia di sub-strato) un fanciullino la cui voce viene sopraffatta troppo spesso dai rumori della vita. Ma il fanciullino è sempre vivo e parla sempre. La sua caratteristica è la curiosità, il bisogno di affetto, la meraviglia, la paura, la pietà. Al fanciullino piacciono gli animali, soprattutto gli uccelli; quando guarda il cielo o il mare o le nubi o il sole, lavora di fantasia, immagina mondi meravigliosi, fatiche colossali nell’universo e rimane estasiato. Quando è festa è riscaldato dall’allegria; quando è lutto piange al veder piangere gli altri. Non conosce l’odio, ignora la vendetta; vuol bene a quelli che parlano la sua lingua, ma rispetta e quasi ammira incuriosito quelli che parlano una lingua diversa. Gli uomini veri sono quelli che pensano, sentono, parlano, operano come il fanciullino che è nel fondo del loro essere. Particolarmente il poeta, che fra gli uomini deve essere esempio di perfezione, deve ascoltare la voce del fanciullino”.

   Non bisogna credere che il fanciullino del Pascoli sia puerile: egli non è dotato di capacità di ragionamento, ma è fornitissimo di intuito. Per mezzo di questo egli riesce a cogliere gli aspetti sublimi nella vita e nel mondo, a dire verità che sono eterne, quanto è eterno l’uomo, appunto perché egli vive nel profondo dell’essere di tutti gli uomini, di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Non è un bambino che dica puerilità, ma un bambino saggio e soprattutto buono: aperto a tutte le cose più belle e più care della vita, aperto anche ai grandi ideali della libertà, giustizia, patria.

   L’atteggiamento del fanciullino, che il Pascoli volle costantemente assumere quando componeva poesie, se da una parte gli permise di cogliere e di esprimere le impressioni ingenue, vaghe, quasi di sogno, del mondo della natura e degli uomini, dall’altra costituì per lui un limite quando volle affrontare temi eroici ed ispirati “all’enorme mister dell’universo”.

   Per cui oggi i critici apprezzano come espressioni veramente poetiche e originali (soprattutto perché avvicinano il Pascoli al movimento decadentista europeo) le prime due raccolte di poesie: “Myriciae”, “Canti di Castelvecchio”. Con ciò non si esclude che anche in “Primi poemetti” e in “Nuovi poemetti”, nei “Poemi conviviali”, in “Odi e Inni”, in “Poemi Italici”, in “Poemi del Risorgimento”, in “Carmina”, non ci siano spunti di vera poesia: si vuol dire soltanto che nelle prime due raccolte, il Pascoli è riuscito meglio che nelle altre ad esprimere la perfetta fusione tra lo spirito e le cose, con quel tono di affettuosità e ingenuità che è caratteristico del suo temperamento: sono insomma le raccolte veramente pascoliane. Nelle altre il Pascoli tenta di superare sé stesso, ci cimenta con temi che esigono una spiritualità più drammatica e più vigorosa della sua.

   Lo stesso simbolismo che nelle prime due raccolte si fonde con lo stato d’animo, divenendo di questo l’espressione poetica,  spesso nelle altre raccolte si stacca dallo stato d’animo e diventa riflessione concettuale (ad esempio ne “I due fanciulli” , ne “Il naufrago”, ne “La Digitale purpurea”, nelle quali il poeta non contento del simbolo, interviene a dare di questo la spiegazione concettuale).

   Ottimo nell’esprimere l’ansia di penetrare nel mondo metafisico, senza possibilità di entrarvi, diventa mediocre quando si mette a filosofeggiare sul mistero stesso. Questo quello che dicono i critici, tuttavia non è difficile trovare in tutte le opere del Pascoli, anche in quelle meno riuscite, lo spirito del Pascoli stesso caratterizzato da incertezza, dolore, angoscia, bontà e spirito di fraternità.

LO STILE DEL PASCOLI

1)- Stile impressionistico: egli ama disporre gruppi di immagini legandole fra loro con l’unità dell’atmosfera musicale.

2)- Stile simbolistico: questo o quello aspetto della natura, questo o quello aspetto della vita umana sono utilizzati dal poeta per comunicare al lettore una sua idea, un suo stato d’animo (ricordare tra le poesie simboliste quelle già accennate “Il naufrago”, “Il libro”, “I due fanciulli”, “La Digitale purpurea”: ed ora aggiungiamo anche “Alexandros” e “Ritorno di Ulisse”, che sono i più noti tra i “Poemi conviviali”.

3)- Stile sensitivo: cioè capace di esprimere con immediatezza l’impressione che le cose fanno sui sensi dell’uomo allorché questi si fonde con esse.

4)- Stile classicheggiante: il Pascoli vive in una atmosfera decadentista, ma è un profondo conoscitore della letteratura greca e latina: perciò le doti della chiarezza, della precisione, dell’armonia, del decoro che sono proprie dello stile classico, rendono non solo comprensibili (a differenza della poesia decadentista straniera, che è molto spesso oscura), ma addirittura gradite le sue raccolte di poesie.

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