Valle del Tenna. Abbazie, arte e storia con i monaci Farfensi di LIBERATI GERMANO

Valle del Tenna Storia ed arte con i monaci     Germano Liberati

Gli insediamenti monastici nella vallata del Tenna e della vicina e parallela valle dell’Ete sono collocati a scansioni ritmiche, lungo le colline circostanti i fiumi, dai monti Sibillini al mare Adriatico.      Di questi monasteri ed abbazie oggi per lo più restano i toponimi e le chiese trasformate, lungo i secoli, per gli usi pastorali: è il caso, ad esempio di S. Giovanni ‘in selva’ tra Fermo e Monte Urano, o di Santa Maria Grande a Montegiorgio.      Molti insediamenti risalgono ad epoche assai antiche (secoli VI – VII), ma una effettiva fisionomia ed una piena organizzazione l’ebbero nei secoli IX e X,  fino all’avanzato medioevo (secolo XV). Nell’anno 899 avvenne  il trasferimento temporaneo, per motivi di sicurezza, dell’abate di Farfa dalla Sabina,  ai monasteri presso Santa Vittoria in Matenano. Questa presenza, sempre più incisiva nel prosieguo degli anni, anche per cospicue donazioni, creò il Presidato Farfense che certamente fu l’anima dello sviluppo sociale,  economico e demografico di molti paesi gravitanti  su queste valli, oltre che il polo attrattivo anche per le altre comunità benedettine preesistenti.

Il nostro itinerario punta su alcune costruzioni importanti, procedendo nell’entroterra verso i monti. La prima abbazia dedicata a Santa Maria Mater Domini (Madre del Signore ) detta poi di S. Marco, è appena fuori l’abitato di Ponzano di Fermo.

La si coglie in tutta la sua bellezza, adagiata su un piccolo poggio, tra il verde della campagna circostante. I restauri del 1923 – 24 e quelli del dopoguerra hanno permesso di storicizzare i successivi momenti di interventi costruttivi: dai resti dei secoli sesto e settimo, alla ristrutturazione Farfense del 1154 fino ai rimaneggiamenti quattrocenteschi e cinquecenteschi.      La concezione generale si integra con l’ambiente: la costruzione non è molto alta nelle navate. La facciata è tripartita con grande articolazione delle membrature, quasi ad evitare una presenza di massicce strutture per realizzare una compenetrazione ariosa con la natura.        Fa eccezione l’imponente e forte campanile, che oltre ad essere un elemento ricorrente dell’epoca, aveva una funzione, con ogni probabilità, di avvistamento e di difesa. Anche le fiancate e le tre absidi hanno la tendenza ad alleggerirsi nella muratura con lesene, archetti pensili e monofore.       L’interno è di una semplicità sconcertante: la pianta è a tre navate, scandite da archeggiature insidenti su pilastri e colonne. È da ammirare il senso del ritmo degli spazi e la chiarezza della impostazione, in concomitanza con l’ordine interiore a cui il luogo doveva elevare tramite le preghiere, il canto e la contemplazione.

Nell’ambito dell’itinerario proposto, merita di essere raggiunto l’abitato di Montegiorgio. Tra i molti edifici ed opere d’arte da vedere, al sommo del colle su cui sorge la cittadina, si trova la chiesa di San Francesco che risale al Presidato Farfense, con l’antico titolo di Santa Maria Grande. In un corpo di fabbrica aggiunto a sinistra del presbiterio, con strutture gotiche a costoloni, è conservato il più bel ciclo di affreschi tardo gotici della terra marchigiana, sul tema delle Storie della santa Croce”, premessa di qualche decennio per l’opera di Piero della Francesca ad Arezzo (San Francesco). Tra i vari nomi di artisti che gli studiosi hanno detto, il più attendibile è quello del pittore ferrarese Antonio Alberti (prima metà del secolo XV).

Per conoscere l’opera dei Farfensi da qui ci si muove verso Santa Vittoria in Matenano. Nel punto più alto del paese, su una collinetta arrotondata, certamente fin dallo sterramento antico, sorgeva la chiesa madre del Presidato Farfense. Ora l’edificio neoclassico funge da chiesa parrocchiale, conservando la venerazione della martire Santa Vittoria, sepolta in un artistico sarcofago nella cripta. Questa martire è stata trasferita da Monteleone Sabino fin qua, per i collegamenti con l’abbazia di Farfa.

Quello che resta ancora dello splendore abbaziale e monastico è certamente il cosiddetto Cappellone (chiesa della Resurrezione), avanzo di una costruzione Farfense, demolita nel secolo XVIII. L’aula attuale,  adornata da stucchi tardo barocchi, è stata conservata per la presenza di uno dei complessi pittorici più importanti della zona, attribuito a vari pittori, dai diversi studiosi, e datato 1471.  Sulla volta sono dipinti  Evangelisti e Dottori, alle pareti la Storia della Vergine, dall’Annunciazione al Transito.

Infine, l’occhio attento del visitatore deve appuntarsi, all’esterno dell’edificio, accogliendo lo spazio circostante. Si possono qui percepire la vastità dell’area abbracciata dall’abbazia farfense e l’articolazione delle strutture, osservando la collocazione degli attuali edifici, deducendone così l’impressione di una delle più grandi e imponenti abbazie delle Marche.

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