FERMO: nella cattedrale un nuovo altare segno testimoniale. Studio di Liberati Germano

L’ALTARE DELLA CATTEDRALE DI FERMO “Canto a lode di Dio”. Studio di Germano Liberati

ISPIRAZIONE E ICONOLOGIA. “Carmen Deo contextum” canto composto a lode di Dio: l’altare nuovo della basilica cattedrale di Fermo, come in ogni chiesa, è il luogo dell’incontro sacramentale, segno del rapporto di Dio con gli uomini e degli uomini con Dio attraverso la liturgia e il culto. Tale canto sacrale è specifico e diventa ampio, solenne, comunitario in una cattedrale, centro di una ‘ecclesìa’ (assemblea) raccolta nella sacra convocazione dei dispersi figli di Dio (Gv 11,52). L’altare assurge perciò a segno della realtà tangibile che vi si compie, di una storia di comunione che è attestata da secoli fino a noi, nella celebrazione del Mistero pasquale.

Pensare dunque un nuovo altare significa comporre un carme che compendiasse la storia delle meraviglie di Dio nella Chiesa Fermana, e che già nella struttura fosse perenne inno di lode: “O popoli tutti, lodate il Signore” “lodate il Signore nei suoi santi”. Le connotazioni che dovevano scaturire dal canto: ara sacrificale di Cristo, vittima e sacerdote; mensa del convito che il Padre imbandisce per i suoi figli; Eucaristia per una storia di salvezza di una comunità alle cui origini sta, in ordine al Sacrificio di Cristo, quello dei suoi vescovi, Alessandro e Filippo.

Nella progettazione di forma, dimensioni, iconografia e altro non si è voluto, né si poteva, prescindere da tutte queste connotazioni, e necessitava creare una struttura che organicamente le componesse e le estrinsecasse; oppure, che è lo stesso, bisognava salvare la funzione, il simbolo e gli stilemi, perché ne risultasse “il segno” quale l’altare doveva essere.

L’ISPIRAZIONE IN ATTO E L’ICONOGRAFIA. Affinché le enunciazioni e i criteri direttivi possano essere da tutti colti in concreto, osserviamo l’altare da vicino. Nell’insieme, esso appare impostato con monumentale grandiosità; supera in un certo senso la funzionalità pratica, per collocarsi come elemento architettonico pienamente inserito, senza perdersi nella vasta spazialità dell’edificio e con l’impatto scenografico che caratterizza la cattedrale: una sorta di “media proporzionale” tesa a coordinare la profondità e la larghezza del presbiterio e nello stesso tempo, per chi entra, al primo colpo d’occhio, rappresenti in senso longitudinale, un elemento di scansione dei rapporti, in un climax progressivo tra scalinata, altare storico e scena absidale.

Dopo questa visione d’insieme, l’altare, osservato nel suo apparato iconografico si caratterizza come luogo sacrificale nella duplice dimensione di storia della salvezza e storia della comunità. La lettura prende avvio dal lato sinistro (di chi guarda) che presenta un pennello in cui leggerissimi, quasi lontani nel tempo sono evocati i sacrifici antichi di Abele, di Abramo e di Mechisedech, soggetti di cui l’altare è l’anticipo nel sacrificio di Cristo. Sul fronte è posto il calco del sarcofago paleo-cristiano della cripta (IV-V secolo) con scolpite le storie di San Pietro apostolo: questo evidenzia iconograficamente la continuità già messa in luce per l’aspetto spaziale, con il coordinare il mosaico absidale della chiesa primitiva con la successiva, in una persistenza storica nella fede degli Apostoli.

Sul lato destro è posto un pannello da cui emerge la perennità sacrificale, accentuandone il segno, a tal punto da renderlo quasi un altare della confessione, o, comunque, un altare testimoniale, conferendo alla cattedrale intera il valore quasi di “martyrium”. Tale pannello, infatti, presenta, sullo sfondo il sacrificio di Cristo, e, più avanzate, ai lati, le figure dei vescovi martiri della Chiesa Fermana, Alessandro e Filippo. Gli attributi di essi, il pastorale di Sant’Alessandro e le linee della cattedrale, l’inginocchiarsi di San Filippo e la cattedra episcopale arretrata, congiungono una storia di testimonianze fino all’effusione del sangue, correlate al sacrificio di Cristo e dell’apostolo Pietro.

Nella gestualità viene rimarcata la “potestas” dei successori degli Apostoli in duplice caratterizzazione. Per Sant’Alessandro, fondatore della comunità la “auctoritas”; per San Filippo suo successore la “pietas”. Il progetto generale dell’altare si deve al team dell’architetto prof. Carbonara, i pannelli dei lati alla scultrice Paola De Gregorio.

 

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