BORGIA Alessandro Cronaca Fermana anno 1755 traduzione di TASSI Emilio

ANNO 1755

1755.1     Morte del cardinale Angelo Maria Quirini, suo elogio – Morte di Giuseppe Mancini  da Loro.

Il 6 gennaio, festa dell’epifania del Signore, dopo aver celebrato i riti pontificali nella cattedrale di Brescia, all’età di 75 anni morì, colpito da apoplessia, Angelo Maria Quirini, benedettino di Venezia, cardinale di santa Romana Chiesa, bibliotecario vaticano e vescovo di Brescia. Uomo illustre nella repubblica letteraria. E’ stato legato a me da sincera amicizia, in qualche modo turbata, a causa della disputa da lui suscitata contro il mio indulto che riduceva il numero delle feste minori nelle quali si doveva rispettare l’obbligo della astensione dai lavori servili. Amicizia però presto riannodata. Fornito di ricche rendite derivanti dai numerosi benefici ecclesiastici a lui concessi specialmente da Benedetto XIV, lasciò numerose donazioni alla sua Chiesa di Brescia e a diverse chiese di Roma come a quella di San Marco e Sant’Alessio. Fece testamento lasciando i propri beni a numerose opere pie.

Giuseppe Mancini, nato nel celebre luogo di Loro, il 21 gennaio, ancora giovane fu colpito, a Madrid, che interruppe le speranze e le attese concepite su di lui dagli amici e dai conoscenti della nostra provincia. Egli, degnamente educato nel nostro seminario, era stato nominato cameriere soprannumerario da Benedetto XIV ed era stato inviato come privato in Spagna, non so per quale incarico da svolgere; e mi aveva appena comunicato il suo ritorno in Italia. Nello stesso periodo si ammalò gravemente il cardinale Silvio Valenti, segretario di Stato di Benedetto e fu sostituito da Antonio Rota, come segretario segreto.

1755.2     Pubblicazione dell’elogio funebre in onore di mons. Fabrizio Borgia vescovo di                  Ferentino scritto dal nipote Stefano Borgia.

I discorsi funebri pronunciati da diversi oratori, in ricordo di Fabrizio Borgia, vescovo di Ferentino, erano stati molti. Nel giorno delle prime esequie, fece il discorso il maestro di teologia dell’ordine dei Minori Conventuali; nelle seconde esequie il rettore del seminario, nella cattedrale di Ferentino; il terzo fu espresso dal canonico di Nocera Umbra, Florindo Piombi, in occasione del rito funebre celebrato in quella cattedrale di Nocera. Nessuno di questi fu dato alle stampe. Stefano Borgia mio nipote (da parte di mio fratello) che era presso di me per seguire gli studi nel seminario, decise di scrivere un ampio discorso sul defunto vescovo per i cittadini di Velletri e fu pubblicato a stampa, nel mese di febbraio, a Velletri. Tale opera riuscì molto più ampia di tutto ciò che era stato scritto in precedenza, poiché in essa, erano stati presi in considerazione la vita, le virtù e le attività pastorali di mons. Fabrizio; in breve, lo svolgimento della sua vita, gli incarichi ricoperti, le virtù e i principali eventi vissuti. Subito furono distribuite le copie del volume tra i cittadini  e i conoscenti di Velletri, di Roma e di Fermo e di altrove.

1755.3     Conseguenze dell’inverno eccezionalmente rigido – Morte del cardinale Nicola Coscia e sua triste vicenda umana – Morte di Ottavio Ringhieri Vescovo di Assisi.

Per tutto il mese di gennaio, e per quasi tutto febbraio, cadde molta neve e fece grande freddo. Di conseguenza le piante di olivo seccarono e diminuì sensibilmente la quantità del pescato. Pertanto, su mia richiesta, la città ottenne dalla Sede Apostolica l’indulto per l’uso della carne e dei latticini durante tutta la prossima quaresima.

Il giorno 8 febbraio, morì a Napoli il cardinale Nicola Coscia, a 73 anni compiuti, per un attacco di podagra invasiva nel petto di cui da tempo soffriva. Delle vicende di questo cardinale abbiamo a lungo parlato. Certamente non fu lieve disgrazia per Roma il fatto che egli, dopo la sua detenzione nella Rocca Adriana, quantunque da Benedetto XIV fosse stato assolto dalle gravi accuse di cui lo incolpavano, avesse scelto di vivere lontano da Roma, città nella quale invece sarebbe dovuto rimanere stabilmente, affinché non venissero utilizzati per altri scopi i cospicui beni di cui lo aveva gratificato la benevolenza di Benedetto XIII, e specialmente al fine di rendersi utile per la sua sincerità e competenza negli affari di governo. Infatti a causa della sua assenza da Roma accaddero molti eventi disgraziati per la Sede Apostolica, funesti per la libertà della Chiesa, deleteri per l’incolumità della nostra popolazione e per i beni ecclesiastici, anche se tutto ciò avvenne non tanto per colpa del pontefice o dei suoi ministri, quanto per la tristezza dei tempi, l’ambizione dei principi,  per l’ingordigia dei laici e per la violenza dei belligeranti. Di fatto nel passato, al tempo di Benedetto XIII, il cardinale Coscia riuscì ad evitare tanti di questi dolorosi eventi. Destò ottima impressione il suo testamento nel quale aveva lasciato il consueto vitalizio di oltre 4000 scudi di argento da assegnare ai famigliari per il loro sostentamento, secondo la consuetudine della curia Romana. Nominò suo erede l’unico suo fratello e, in mancanza della linea maschile di parentela, lo sostituì nominando erede l’ospedale per i soldati invalidi da poco tempo costituito dal re di Napoli. Al papa Benedetto XIV, memore e grato per la ottenuta liberazione, lasciò 24.000 ducati per le elemosine da erogare ai poveri.

Anche Ottavio Ringheri, patrizio bolognese e vescovo di Assisi, morì nella sua serena vecchiaia. Egli, precedentemente, aveva approvato le mie decisioni e i miei scritti nella questione della riduzioni delle festività <non lavorative> in contrasto con il cardinale Quirini. Gli fu dato come successore il suo vicario generale Sermattei, nato nella nobile Assisi e fratello di Adriano Sermattei, vescovo di Viterbo, e del marchese Cristoforo che mi furono vicini in una mia particolare necessità.

1755.4     Morte del vescovo di Ascoli Paolo Tommaso Marana – Richiesta avanzata                  dall’arcivescovo al papa per far promuovere a qualche sede vescovile vacante                  suo nipote Pietro Paolo Leonardi.

Mi sembra necessario parlare più ampiamente di alcune cose riguardante me, e avvenute in questo periodo.  Il monaco Olivetano genovese, Paolo Tommaso Marana, vescovo di Ascoli, che nel precedente mese di agosto era stato mio ospite, come ho accennato a suo luogo, per un grave attacco di asma, era morto il giorno 7 del mese di febbraio. Era noto a tutti per la sua generosità verso i poveri e per la sua grande pietà.

In breve lasso di tempo erano rimaste vacanti molte sedi episcopali. Considerando che mio nipote, (per parte di mia sorella) Pietro Paolo Leonardi, patrizio di Amelia, era giunto all’età di 45 anni e si era formato negli studi letterari e nelle scienze ecclesiastiche presso di me e talora presso mio fratello Fabrizio, vescovo di Ferentino. Egli era stato, per dieci anni, mio vicario generale, e pensai fosse opportuno segnalarlo a Benedetto XIV per essere notato tra gli eligendi ad una delle sedi che nel frattempo si fossero rese vacanti. Una delle motivazioni era che la mia famiglia era addolorata per il grave lutto della scomparsa del vescovo Fabrizio, mio fratello. Pertanto il 21 del passato mese di settembre, mentre mi trovavo in visita pastorale a Montegiorgio, scrissi una lettera al papa.

1755.6     Lettera dell’arcivescovo al papa Benedetto XIV.

21 settembre 1755                                                                         Beatissimo Padre.

Con la massima deferenza mi prostro al bacio del sacro piede. Pietro Paolo Leonardi, nobile sacerdote di Amelia, dopo aver conseguito i gradi accademici in teologia e in diritto civile e canonico, e dopo aver acquisito esperienza  della prassi della curia Romana e aver svolto per tre anni il suo ufficio presso il defunto mio fratello Fabrizio, vescovo di Ferentino, ha esercitato poi l’incarico di mio vicario generale negli affari ecclesiastici per dieci anni, dimostrando una condotta specchiata, purezza di vita, prudenza e pazienza verso tutti, con diffusa lodevole stima. Se io ho imparato qualcosa nell’ufficio di pastore, con l’esperienza di trentotto anni di ministero episcopale, questo l’ho comunicato a lui, per cui sono convinto di poterlo segnalare a te, beatissimo Padre, affinché sia destinato a reggere qualche Chiesa vacante.

Egli ha ora 41 anni, per questo non credo di poter procrastinare il desiderio di doverlo racco-mandare a te, affinché ti degni di tenerlo presente nella scelta di coloro che sono mandati a reggere qualche diocesi, al modo come i tuoi predecessori hanno fatto per questi ministri. Certamente per me sarebbe motivo di consolazione, in questo periodo di lutto per la scomparsa di mio fratello vescovo; inoltre tale conforto sarebbe sommamente utile per il mio impegno pastorale nel governo di questa mia arcidiocesi e anche per tutti gli impegni degli altri che collaborano con me che comprenderanno questo atto della tua benevolenza. Infine desidero essere aiutato dalla grazia della tua benedizione Apostolica in questa circostanza in cui sono impegnato a compiere la visita pastorale e umilmente la chiedo, baciando di nuovo i piedi.

1755.6     In che modo si arriva alla nomina del nuovo vescovo di Ascoli.

In quel periodo non avevo assolutamente in mente la possibilità di un’eventuale nomina di mio nipote Pietro Paolo alla diocesi di Ascoli, anche perché non potevo immaginare che l’allora vescovo di Ascoli mons. Marana, ancora in vita con buona salute, sarebbe venuto a mancare. Del resto Benedetto XIV non rispose alla mia proposta e aveva nominato vari vescovi per coprire le diocesi vacanti. Per questo io avevo pensato, in mancanza di una sua risposta, che forse il papa preferisse un candidato di età più matura.

Essendo sopravvenuta l’imprevista morte di mons. Marana, vescovo di Ascoli, si era sparsa la voce che in quella sede sarebbe stato scelto Giosia Caucci nato a Roma, prelato, già chierico della Camera Apostolica e certamente lo meritava per le insigni doti di animo che possedeva e per i molti e importanti incarichi svolti a servizio della Sede Apostolica. Ma Giosia Caucci rifiutava l’episcopato perché non si sentiva adatto e chiamato da Dio a dedicarsi alla cura delle anime. Subito Benedetto XIV scelse, come pastore della Chiesa Ascolana, Pietro Paolo Leonardi che era ancora mio vicario generale e abitava a Fermo. Aveva evidentemente tenuto presente la mia lettera, che gli avevo spedito il 21 dello scorso settembre. La notizia fu comunicata a me e all’eletto con una lettera del cardinale Argenvelliers, pro-uditore di Benedetto XIV, in data 27 febbraio e l’abbiamo ricevuta il 2 marzo, nella terza domenica di quaresima.

1755.7     Testo della lettera del cardinale Argenvelliers di nomina di Pietro Paolo Leonardi  a vescovo di Ascoli.

Illustrissimo e reverendissimo Signore,

Memore nostro Signore della supplica fattaGli da V. S. Illustrissima con sua lettera delli 21 settembre prossimo passato, in favore del signore d. Pietro Paolo Leonardi di Lei nipote, si è degnato eleggerlo vescovo della vacante Chiesa di Ascoli. In sequela di questa elezione trasmetto a V. S. Illustrissima con mio grandissimo piacere la solita lettera di avviso diretta al medesimo signor Abate Leonardi e con tutta la stima mi confermo di V. S. Illustrissima

Roma li 27 febbraio 1755                          Servitor vero card. C. Argenvillieres.

1755.8     Generale soddisfazione e plauso sia a Fermo che ad Ascoli.

All’improvviso e inopinato annuncio, esplosero la gioia e la soddisfazione della città di Fermo e subito dopo di tutta la diocesi e provincia di Ascoli. Immenso fu il mio gradimento e la mia gioia; e ciò sia per la nobiltà e la dignità della Chiesa Ascolana e la vicinanza di essa alla mia diocesi di Fermo, essendo le due Chiese confinanti, sia anche perché Benedetto XIV, veramente in modo spontaneo e ispirato dallo Spirito di Dio, aveva preso tale decisione senza che io richiedessi, né mai immaginassi la diocesi di Ascoli, ma pensavo soltanto ad un qualche episcopato, come si può constatare dalla lettera che ho riferita sopra, e considerate le date. E’ evidente la celerità con la quale il papa aveva preso la decisione: giusto il tempo di esplorare le intenzioni di Giosia Caucci, allora dimorante in Ascoli. Da parte mia scrissi immediatamente una lettera a Benedetto XIV per ringraziarlo.

1755.9     Testo della lettera di ringraziamento inviata dall’arcivescovo a papa Benedetto XIV.

Beatissimo Padre,

Prostrato al bacio dei piedi, dalla lettera a me inviata dal cardinale Argenvillieres Tuo pro-uditore, ho capito che tu, beatissimo Padre, hai tenuto a mente tutto ciò che ho osato scrivere dell’abate Pietro Paolo Leonardi il 21 settembre scorso, presentandolo come un uomo che presso di me ha potuto fare in qualche modo una diuturna esperienza di come si governa una Chiesa locale e conseguentemente hai dato compimento all’opera scegliendolo come vescovo di Ascoli, la cui diocesi è confinante con quella di Fermo. Difficilmente sono in grado di esprimere con quanta gioia ho appreso la notizia e te la riferisco non per un solo motivo soltanto, ma per molte ragioni, principalmente perché la tua beatitudine si è degnata di esaudire la mia umile richiesta; poi perché lo hai dato ad una nobile e illustre Chiesa della nostra provincia Picena come pastore; e ancora perché hai scelto un vescovo che, a motivo della vicinanza tra le due diocesi potrebbe essere di aiuto a me ed utile anche alla mia Chiesa. Certamente dobbiamo riconoscere, beatissimo Padre, che da Dio hai ricevuto una particolare ispirazione per provvedere nel migliore dei modi alle necessità. Infatti il vescovo eletto è colui che, al tempo della tua elezione a sommo Pontefice, inginocchiato ai tuoi piedi, ottenne da te la grazia e la benedizione per poter proseguire gli studi del diritto canonico e civile. Egli venne a Roma per apprendere la prassi della curia Romana. Tu, beatissimo Padre, lo accogliesti benevolmente, ammonendolo paternamente di impegnarsi strenuamente negli studi e da parte sua promise di dartene la dimostrazione dopo un congruo tempo.

Manca una sola cosa: che io e il neo vescovo, memori dei grandi benefici ricevuti, preghiamo insistentemente il Signore per la tua longeva felicità, che per molti anni tu possa guidare la Chiesa e che diriga e pacifichi la navicella di Pietro sballottata da onde procellose. Per noi chiediamo che, nel governare le nostre Chiese, possiamo corrispondere fedelmente alle tue aspettative. Infine, prostrato di nuovo al bacio dei tuoi piedi e fiducioso che presto l’eletto avrà la fortuna di incontrarti, chiedo la tua apostolica benedizione.    Fermo, 3 marzo 1755.

Il pro-uditore poi avvertì l’eletto che in settimana si sarebbe tenuto il concistoro, egli si decise pertanto ad andare a Roma. Mons. Leonardi, il 6 marzo, poco prima di mezzogiorno partì da Fermo e cambiò per via la muta di cavalli per giungere più presto. Trovò generosa ospitalità nella casa di mio fratello Pietro Antonio Borgia, canonico coadiutore della basilica Lateranense. Il canonico della metropolitana Lucio Guerrieri, che fino ad allora era pro-vicario per gli affari criminali sostituì mons. Leonardi nell’incarico di vicario generale, fino a quando non io non avessi nominato il nuovo.

1755.10     Richiesta di delegare i sacerdoti per compiere la benedizione delle campane prima  di essere collocate sulle torri.

Mi diedi da fare per ottenere la facoltà da Roma di delegare alcuni tra i più degni sacerdoti a dare la benedizione alle campane prima di essere collocate sulle torri e usate per la chiesa; ciò sembrava necessario, data la vastità della diocesi. Da parte di Roma non vi era nessuna difficoltà se non sulle modalità di concedere la delega, nel senso che la facoltà di dare tale benedizione non doveva essere considerata stabile e quasi automatica. Il 28 febbraio, ottenni da Benedetto XIV la facoltà richiesta, tramite la sacra congregazione dei cardinali preposti ai sacri Riti, ma valida solo per un triennio, in caso di necessità, ed esclusivamente con l’acqua benedetta dal vescovo. Era possibile prorogare tale facoltà a me ed ai successori, ogni triennio.

1755.11     Morte di alcuni sacerdoti diocesani egregi e meritevoli.

Nel corso di questi mesi, nella nostra diocesi morirono alcuni egregi e meritevoli sacerdoti, parroci in cura di anime. Nel mese di gennaio venne a mancare Giulio Ferrini, lombardo nato in Borgo San Donnino < di Fidenza> che aveva retto a lungo la prepositura di Sant’Angelo di Altidona a lui conferita da mons. Girolamo Mattei, al quale era legato da stima ed amicizia. Aveva lasciato un legato in denaro ai sacerdoti della congregazione della Missione di Macerata con l’obbligo di predicare le sacre missioni ogni dieci anni ad Altidona. In punto di morte lasciò altro denaro dalle cui rendite si dovevano trarre aiuti per i poveri e doti a favore di ragazze nubili. Lasciò inoltre alla sua chiesa della prepositura di sant’Angelo, la somma di scudi 500. Nel mese successivo di febbraio, scomparve dopo breve malattia, all’età di oltre ottanta anni e quasi cieco, Domenico Valentini, pievano dei Ss. Maria e Ciriaco nello stesso paese di Altidona. Ambedue questi sacerdoti erano stati parroci esemplari e degni di reggere la cura spirituale della popolazione.

Nel mese di marzo morì il parroco della prepositura di Monte Urano, Giovanni Andrea Pascolani che ha ottimamente meritato della sua Chiesa, che io stesso gli avevo affidata nel 1739. Egli aveva completamente ristrutturato dalle fondamenta l’edificio della chiesa prepositurale di San Michele arcangelo e ancora stava occupandosi di terminare i lavori non completatati, in modo che al più presto si potesse procedere alla consacrazione. Nel realizzare questi lavori non aveva usato soltanto i soldi della prepositura, ma anche quelli del suo patrimonio.

1755.12     Morte del primicerio della metropolitana Nicola Calvucci, suo elogio – Predica                       la quaresima il p. Filippo Maria da Firenze.

La diocesi inoltre dovette subire un altro grave lutto per la morte del settantenne Nicola Calvucci, primicerio della chiesa metropolitana, avvenuta il 19 marzo, a causa della diuturna malattia di cui negli ultimi anni soffriva, cioè di attacchi epilettici. Egli, dopo la morte di Fabrizio Francolini, mio pro-vicario generale e uditore, aveva prestato la sua preziosa opera fino alla comparsa della sua malattia. Ha insegnato a lungo il diritto canonico e quello civile ed ebbe molti alunni che istruì in queste discipline. Tra di essi vi furono Giuseppe Vignoli, vescovo (settempedano) di San Severino e il nostro vicario Pietro Paolo Leonardi neo-vescovo della Chiesa di Ascoli. Mons. Calvucci era anche lodevolmente esperto nell’attività forense, era infatti uomo di perspicace ingegno e instancabile nel lavoro. Era anche talmente colto nella poesia e nell’arte oratoria da essere considerato principe tra i membri dell’accademia degli Erranti. Nel 1746 ebbe la facoltà di designare, come canonico coadiutore del suo primiceriato, che è la quarta dignità della Chiesa metropolitana, il figlio di sua sorella Giovanni Antonio Leli, che, poi alla morte dello zio, gli fu successore nella dignità di primicerio.

Nella metropolitana ha svolto la predicazione padre Filippo Maria di Firenze dell’ordine dei frati Cappuccini. Ebbe un discreto successo, accresciuto per la fama della famiglia a cui apparteneva, cioè la famiglia Cianfogna.

1755.13     Concistoro e altri adempimenti per la nomina a vescovo di Ascoli di Pietro Paolo    Leonardi.

Il 15 marzo mons. Leonardi, a Roma, si sottopose all’esame di diritto canonico alla presenza del papa, per essere dichiarato idoneo ad essere vescovo di Ascoli. Il consueto processo davanti al pro-uditore del papa sulla situazione della Chiesa ascolana e sulle qualità dell’eletto venne celebrato celermente tanto che, il 17 marzo, Benedetto XIV annunciò ai cardinali riuniti in concistoro la nomina del Leonardi a vescovo di Ascoli. Durante il processo, si discusse parecchio sulle rendite del vescovato ascolano su cui gravava da gran tempo l’infelice situazione di essere oberato da diverse e pesanti pensioni. La ragione di tutto ciò in parte era causata dall’ambizione degli uomini, in parte dall’ingordigia dei cortigiani. Sta di fatto che le rendite di quella Chiesa erano stimate molto superiori a quelle che effettivamente erano. In precedenza, era successo che Gregorio Lauri, trasferito da Ripatransone ad Ascoli, vedendosi gravato da un onere di riserva di pensioni annue di 1900 scudi, dopo poco tempo, perciò, si dimise, accontentandosi di provvedere al proprio futuro con una nuova riserva di pensione e con altre condizioni che erano state fissate e sopportate da mons. Marana, grazie all’aiuto dei propri fratelli, molto abbienti per la fortuna nelle loro attività commerciali. In realtà il valore effettivo delle rendite del vescovato di Ascoli, se valutate in modo oggettivo, non superava i 3000 scudi annui. Le rendite incerte vi aggiungono 500 scudi. L’arcidiacono della Chiesa di Ascoli, che in quei giorni si trovava per caso a Roma, e altre importanti personalità della città, concordavano nel dire che tali rendite non superavano quella cifra. Nondimeno, da quanto dicevano altri testimoni, si doveva parlare di circa 3800 scudi. Il peso di alcune antiche pensioni si calcolava ammontasse a 700 scudi. Venne pertanto stabilito di aumentare il peso delle pensioni a 1500 scudi. Mons. Leonardi si mostrò molto contrariato per tale condizione; io però gli feci capire che non era né il caso né il luogo di protestare e di rifiutare quelle condizioni.

1755.14     L’arcivescovo richiede al papa di poter consacrare il nuovo vescovo nella chiesa   metropolitana di Fermo.

Avevo nel cuore il grande desiderio di consacrare vescovo, nella chiesa metropolitana di Fermo, il figlio di mia sorella e mio vicario generale, per mostrare al mio popolo e al mio clero la più grande e solenne delle cerimonie liturgiche pontificali. Di fatto, l’altra consacrazione episcopale che, con facoltà avuta da Benedetto XIV, avevo celebrato per mio fratello Fabrizio, nominato vescovo di Ferentino, l’avevo celebrata in patria, a Velletri, dove allora stava. Facilmente ottenni da Benedetto XIV ciò che desideravo e la facoltà non mi venne concessa con lettera privatamente, come era avvenuto l’altra volta, ma per mezzo di una solenne bolla pontificia. Leonardi concluse tutte le formalità, con non lievi spese.  Dopo essersi recato a Velletri e al Porto di Anzio per salutare gli zii materni e ad Amelia, per far visita ai genitori, tornò a Fermo da me il 15 maggio da dove il giorno seguente, mandata la lettera apostolica ad Ascoli; prese possesso della diocesi di Ascoli e del castello di Ancarano, sottoposto alla stessa Chiesa, per mezzo di mons. Giosia Caucci da lui delegato. Costui se avesse dato l’assenso a diventare vescovo avrebbe potuto, del resto, farlo per sé una volta che fosse stato in tale dignità.

1755.15     Preparativi per la solenne consacrazione episcopale.

Nel frattempo preparavo tutto quello che era necessario per la cerimonia della consacrazione, programmata per il primo giorno di giugno, domenica fra l’ottava della festa del Corpus Domini. Furono invitati i seguenti vescovi: Giovanni Filippo Cauti, vescovo dell’Eritrea, Luca Recco (o Recchi) di Ripatransone e Leonardo Cecconi di Montalto, che furono i vescovi con-consacranti. Il primo fu invitato in quanto patrizio ascolano e membro del capitolo di quella cattedrale; gli altri perché miei suffraganei e i più vicini a Fermo. A Roma furono coniate le medaglie commemorative di argento e di bronzo da distribuire ai vescovi e agli altri presuli, al clero e a tutte le autorità civili e dignità cittadine, a perpetuare la memoria del solenne e sacro evento. La parte anteriore della medaglia rappresentava l’antica immagine della Madre di Dio Assunta in Cielo, con la scritta Alla Patrona di ambedue le Chiese ai cui piedi si vedono le immagini della Chiesa Fermana e di quella Ascolana con la scritta: Fermo ed Ascoli anno Domini 1755. La faccia posteriore invece mostrava la mia immagine congiunta a quella del neo vescovo con gli altri vescovi e il clero che assistevano e vi si leggeva l’iscrizione: Alessandro Borgia arcivescovo e principe di Fermo unge Pietro Paolo Leonardi vescovo e principe di Ascoli.

1755.16     I presuli presenti alla cerimonia.

I vescovi da me invitati giunsero puntualmente nel giorno fissato; vennero anche Giosia Caucci e il canonico Mucciarelli che, insieme con il vescovo Cauti, erano delegati alla consacrazione dal capitolo Ascolano. Molti altri vennero dalla città di Ascoli e da vari paesi della sua diocesi. Parteciparono molti dalla nostra città e diocesi e anche da tutta la provincia, cosicché si può dire che convennero a Fermo circa tremila e più persone. Quattro vescovi furono ospitati nel mio palazzo: Cauti, Cecconi, Ippolito Rasponi e Francesco Ferrera. La nostra mensa fu sempre a disposizione per tutti i presuli e per le altre personalità durante tutto il tempo in cui piacque loro rimanere a Fermo.

1755.17    Omelia tenuta dall’arcivescovo nella solenne cerimonia della consacrazione                    episcopale.

Non era conveniente che in una simile occasione solenne l’arcivescovo non parlasse. Feci quindi l’omelia, dopo che il diacono aveva cantato il Vangelo. In essa, dopo aver passato in rassegna le prerogative delle due diocesi e le mutue relazioni esistenti tra di loro, in particolare il fatto che ambedue le Chiese venerano come loro patrona la Vergine Assunta in Cielo e ancora il fatto che Fermo abbia avuto come evangelizzatore sant’Emidio ed Ascoli lo ebbe come apostolo e suo primo vescovo, credetti opportuna spiegare cosa volesse far capire la Chiesa con questa importante e solenne celebrazione, con i sacri riti con i quali venivano elevati gli eletti al supremo grado della gerarchia. Spiegai che l’intenzione della Chiesa era triplice: in primo luogo essa voleva creare in tutti il rispetto e la venerazione verso il supremo grado dell’ordine sacro, in secondo luogo voleva splendidamente rappresentare e sottolineare le mistiche nozze che legavano il neo eletto vescovo con la sua Chiesa, in terzo luogo voleva ammonire il nuovo eletto Vescovo sulla grandezza e importanza del proprio ufficio e del suo ministero pastorale, e con tale ammonizione conclusi l’omelia. Poiché l’avevo fatta stampare prima di pronunciarla, la feci distribuire a tutti i partecipanti insieme con le medaglie coniate per l’occasione.

1755.18     Solenni accademie organizzate nel teatro cittadino e nel seminario in onore del

                      neo vescovo.

Nello stesso giorno, nel quale a Fermo avveniva tutto ciò, Giovanni Battista Chiappè, mio successore nell’episcopato di Nocera, nella chiesa del monastero di San Benedetto, a Gualdo, che era a me affidato in commenda vitalizia, benedisse due abati della congregazione dei Silvestrini.

A Fermo, nei giorni successivi, si tenne una solenne accademia nel teatro della città a lode del neo vescovo per il quale Filippo Raccamadoro tenne il discorso. Altri declamarono molte poesie di plauso in greco, in latino e in italiano. A ciascuno di questi fu data in dono la medaglia commemorativa della consacrazione episcopale.

Inoltre nel seminario arcivescovile venne organizzata un’altra accademia con lo stesso scopo. Gli alunni e i convittori celebrarono l’avvenimento. Alla presenza di Giuseppe Maria Jaffei, rettore e docente, venne recitata da uno degli alunni una splendida orazione panegirica in latino a me dedicata, che poi uscì a stampa. Era l’inizio dell’iniziativa che continuò con varie composizioni poetiche di altri.

1755.19  L’arcivescovo trascorre un periodo di riposo nella villa di San Martino – Revisione  di un’opera scritta dal vescovo di Montalto, Cecconi – Scelta del nuovo vicario  generale.

Al fine di risollevarmi dalle occupazioni svolte per preparare quanto considerai di procurare per Ascoli, e anche per lasciare libero il mio palazzo vescovile a disposizione libera del neo vescovo, mi ritirai nella solita residenza di campagna a San Martino, dove mi sono dedicato a rivedere un testo scritto da mons. Cecconi, vescovo di Montalto, che me l’aveva consegnato perché lo esaminassi. Si trattava della storia della città di Palestrina, sua patria, molto accuratamente composta. Ho esaminato tutto il testo e glielo ho restituito.

Molti si rivolgevano a me, chiedendomi di essere scelti come mio vicario generale nell’arci-diocesi di Fermo, facendosi raccomandare da amici e da uomini importanti ed influenti di Roma. Il a motivo non era soltanto dell’importanza data alla nostra provincia; un’altra ragione di ciò era il fatto che i miei vicari e particolarmente gli ultimi, avevano conseguito la dignità episcopale.

Tra tutti scelsi Marino Onofri, nato nella Repubblica di San Marino, da una nobile famiglia, di anni 35 che aveva svolto l’ufficio di vicario generale a Recanati, poi a Città di Castello e ultimamente a Loreto. Fui convinto dalla fama che lo aveva seguito in tutti i posti in cui era stato, per l’integrità dei costumi, per l’onestà e per la dottrina. In particolare ero contento per il fatto che era nativo di una località distante dal Piceno e che quindi non era attratto dal desiderio di ritornare nella sua patria, lasciando il suo ufficio. Era giunto a Fermo il giorno prima della consacrazione di mons. Leonardi e pensai che fosse opportuno di invitarlo nella villa di San Martino per dargli le prime istruzioni; lo misi ampiamente al corrente di tutti ciò che si doveva fare. A lui infatti volevo affidare oltre alle materie spirituali e civili, anche le cause criminali che antecedentemente erano state trattate dal canonico Lucio Guerrieri, al quale peraltro mantenni il titolo di pro-vicario generale.

1755.20 Lievi scosse di terremoto a cui nei mesi seguenti seguì un terremoto più disastroso in Spagna e in Portogallo – Morte del padre Giovanni Battista Roselli, superiore  della casa  della Missione di Fermo.

Il 10 giugno, mentre ancora mi trovavo a San Martino, ci furono due lievi scosse di terremoto, alle quali qualche tempo dopo sarebbe seguito un terremoto molto più disastroso verificatosi in Portogallo e in Spagna.

Nello stesso giorno morì il padre Giovanni Battista Roselli, superiore della casa della congregazione della Missione di Fermo. Precedentemente era stato presso di noi ed era coltissimo nelle discipline ecclesiastiche ed impareggiabile ministro nella predicazione delle sacre missioni al popolo. Era ritornato a Fermo, ormai assai vecchio e malandato in salute, tanto che si pensava che presto sarebbe morto. Tornai a Fermo alla vigilia della festa dei santi Pietro e Paolo. Tenni l’omelia durante la celebrazione del pontificale sul tema della consegna fatta dal Cristo del potere delle chiavi a Pietro e agli altri apostoli.

1755.21 Invio del Vicario generale ad Amandola per verificare e dare un giudizio sul culto  popolare verso il beato Antonio – Il neo vescovo di Ascoli entra solennemente nella  sua Chiesa Ascolana.

Frattanto il nostro vicario generale si recava in Amandola, per investigare diligentemente sull’antico culto popolare sviluppato in Amandola, verso il beato Antonio, nato in quel paese dove si conservano devotamente le sacre spoglie, e appartenente all’ordine degli Eremitani di Sant’Agostino. Il vicario doveva verificare se, nel caso, vi fossero le condizioni previste dalla costituzione apostolica di Urbano VIII e conseguentemente doveva esprimere il suo parere.

Consigliavo nel frattempo il neo vescovo di Ascoli di accelerare il suo solenne ingresso nella sua diocesi, sapevo infatti che tutto il clero e popolo ad Ascoli desideravano la venuta del nuovo vescovo. Finalmente dopo la mezzanotte del 6 luglio, onde evitare la calura del giorno, partì per Ascoli dove giunse il giorno successivo e fece il solenne ingresso in cattedrale e ne prese possesso. Lungo il viaggio gli furono tributate molte manifestazioni di gioia e di onore e in città fu accolta da una grande moltitudine di popolo. Il 5 agosto, festa Sant’Emidio, vescovo e martire, principale patrono della città, celebrò il primo solenne pontificale nella cattedrale durante il quale tenne l’omelia in lode del martire patrono e parlò del suo nuovo compito, assunto nella diocesi come vescovo di Ascoli. Precedentemente aveva scritto da Fermo una lettera pastorale a tutto il clero e il popolo ascolano. Aveva scelto già ed aveva assunto come vicario generale Carlo da Centofiorini, nobile recanatese e preposto della cattedrale, che è la prima dignità della Chiesa di Recanati.

1755.22     Visita di mio fratello padre Felice di Santa Caterina carmelitano e di altri ospiti.

Mio fratello, padre Felice di Santa Caterina, definitore dell’ordine dei Carmelitani scalzi nella Provincia romana, mi è venuto a trovare il 22 di luglio e da qui si è recato ben presto in Ascoli, insieme con il nostro comune nipote Riccardo, dove partecipò al  pontificale celebrato nella festa di Sant’Emidio. Ricevette manifestazioni di rispetto soprattutto dal presule Caucci. Visitarono le località dei dintorni e sono ritornati da me prima della festa dell’Assunta. Celebrai il consueto pontificale e tenni l’omelia durante la quale commentai le due preghiere dell’offertorio e della orazione secreta e feci molte altre considerazioni. Ricevetti anche molti altri ospiti venuti in quell’occasione. Oltre a mons. Ferrera che già era restato da me fin da quando venne per la consacrazione del nuovo vescovo di Ascoli, venne anche il presule Giovanni Battista Stella, governatore di Loreto con i suoi parenti, i fratelli e un nipote da parte della sorella.

1755.23     Rifusione della campana detta La Viola.

Molto si lavorò per la rifusione della seconda campana detta La Viola, inoltre per rifare il castello su cui appendere le campane nella torre della chiesa metropolitana; molto fu anche speso in denaro per tali lavori, sia da parte della città, sia da me, sia dalle pie confraternite. Finalmente essa fu rifusa da Giovanni Battista Donati da L’Aquila dei Vestini con la mercede promessa nella somma di 150 scudi, e fu posta la seguente iscrizione nella campana rifusa:

“ Campana dedicata in onore della beata vergine Assunta in Cielo durante l’episcopato di Antonio da Viterbo vescovo e principe di Fermo nell’anno del Signore 1384, fusa per la seconda volta nell’anno 1678 e solennemente benedetta da Giannotto Gualtieri arcivescovo e principe di Fermo. Fu da ultimo rifusa una terza volta a causa di una rottura subita nell’anno 1754, nell’anno 1755 mentre era pontefice Romano Benedetto XIV e Alessandro Borgia di Velletri arcivescovo e principe di Fermo che la benedisse mentre erano Priori per i mesi di gennaio e di febbraio i signori  \  marchese Francesco de Nobili  \  Leopoldo Spaccasassi  \  Marco Antonio Morici  \  Francesco Moscheni  \  Carlo Sansoni  \  Fiducio  Orlandi \      Capitani dei Regolatori:  \  Conte Antonio Grassi  \  Lorenzo Ruffo  \  Giovanni Battista Savini 

Deputati dai Priori:  \  Gaspare Monti  \  Giuseppe Antonio Matteucci 

Priori per marzo e aprile i signori:  \  Giuseppe Antonio Matteucci  \  Alessandro Morroni  \  Marco Antonio Morici  \  Giuseppe Mora  \  Girolamo Monti  \  Giuseppe Graziani  \  conte Giuseppe Spinucci  \  conte Gaspare Bevilacqua  \  Ercole Baccili

Cittadini operai:  \  canonico Vincenzo dei conti Montani  \  Francesco Maria Bertacchini  \  conte Antonio Grassi 

I fratelli Giovanni Battista e Domenico Donati con il nipote Pietro antichi cittadini de L’Aquila dei Vestini fecero la fusione.

1755.24     Benedizione e messa in opera della campana La Viola e relativi commenti.

Il 23 agosto la benedissi e, collocata sulla torre, ben  presto fece sentire il suo suono. Vennero espresse le impressioni della gente: la maggior parte fu felice e approvò il suono e il timbro; molti invece espressero un giudizio negativo perché, secondo loro, il suo squillo non era così dolce come quello precedente della stessa campana. I forestieri invece e quelli che vennero alla fiera apprezzarono e lodarono l’opera. Il governatore di Loreto, mons. Stella, soprattutto lodò grandemente gli artefici. Nel porre le campane presso la nuova torre di Loreto si erano verificati errori ai quali era necessario rimediare ed, a tale scopo, volle servirsi di questi artigiani e volle inoltre una campana che essi avevano fusa. Le discussioni sulla campana e sul suo castello continuarono a lungo.

1755.25    Statuti del capitolo dei canonici della nuova chiesa collegiata di Monte Santo

                   – Richiesta di aprire una nuova casa religiosa femminile al Porto di Fermo.

Uscirono le costituzioni per la nuova collegiata, del preposito e dei canonici della chiesa di Monte Santo. Compilate dallo stesso collegio dei canonici, le ho esaminate ed approvate aggiungendo una notazione: che cioè vengano recitati in coro nei giorni prescritti l’ufficio della beata Maria Vergine e dei defunti, i salmi penitenziali e graduali, secondo le indicazioni del nostro calendario e conformemente alle disposizioni del sinodo del cardinale Carlo Gualtieri, mio predecessore, e secondo le consuetudini diocesane, fino a che non venga disposto altrimenti dalla Sede Apostolica. Non fu però difficile, da parte di Mario Marefoschi, segretario della congregazione dei cardinali preposti ai sacri Riti, ottenere dalla stessa sacra congregazione un indulto per cui il capitolo non fosse obbligato dalle ingiunzioni da me aggiunte alle costituzioni capitolari. Di conseguenza il 14 giugno di questo anno fu deciso che gli statuti fossero subito stampati a Macerata e muniti dal detto indulto.[1]

In questo mese accadde che suor Maria Maddalena del Crocifisso, vedova del conte Bolognini di Foligno, che aveva creato, a Todi, un istituto di eremite del terzo ordine di San Francesco di Paola, e aveva ricevuto in dono una casa al Porto di Fermo dalla contessa Caterina Maggiori, con due terreni in campagna, venne a Fermo e chiese a me il permesso di andare ad abitare in questa casa. Io lo concessi con la condizione che né lei né altri per lei chiedessero l’elemosina alla gente del luogo. Avevo infatti il grave sospetto che la donna, fornita di un ricco patrimonio e con il deciso proposito di condurre una vita austera,  volesse mantenersi con il denaro degli altri con ricaduta a danno dei poveri che al Porto erano molto numerosi.

1755.26 Ripresa della visita pastorale alla diocesi.

Terminato il periodo della fiera e partiti gli ospiti, poiché per i molti impegni e le gravi preoccupazioni che mi capitarono, durante la primavera, specialmente a causa della elezione episcopale del mio vicario generale don Pietro Paolo Leonardi, non avevo avuto la possibilità di proseguire la visita pastorale, decisi di riprenderla. Scelsi pertanto come con-visitatori Giovanni Antonio Leli, primicerio della metropolitana, padre Liberato da <Monte> San Giusto, già provinciale dei frati Minori dell’Osservanza e Stefano Borgia mio nipote, per parte di mio fratello.

Il 4 settembre mi sono recato a Mogliano, il giorno 11 a Loro e a Petriolo. Poi andai a Francavilla dove mi sono recato a controllare la nuova casa che avevo fatto costruire dalle fondamenta, nel terreno in zona Monterone, che appartiene alla pieve di Santa Giuliana e San Sisto. Da Francavilla sono andato a Monte San Pietrangeli, il 14 di settembre, dove mi sono trattenuto più a lungo perché il 20 vi dovevo celebrare una sacra ordinazione; poi ho visitato Torre San Patrizio. Il 24 del mese ero a Rapagnano, mentre dai miei con-visitatori ho fatto compiere la visita ad Alteta, Cerreto e Magliano. Nel frattempo, io mi interessavo del restauro della chiesa parrocchiale di Rapagnano, che minacciava di crollare e non era di forma regolare, nonostante che in essa vi fosse una reliquia insigne verso la quale vi era una gran devozione. Il 29 ho interrotto la visita, la sospendevano anche i con-visitatori. Insieme con mio nipote Stefano, mi sono recato a Petritoli.

1755.27 Decisioni adottate per la costruzione della casa parrocchiale presso la pieve di          Santa Anatolia – Urgente ricostruzione del tetto crollato nella chiesa di San Prospero      – Ispezione nel monastero delle monache che chiedevano la risistemazione del           dormitorio – Visita al vescovo di Montalto per cercare di appianare una                  controversia insorta con il governatore del Presidato.

Importanti questioni richiedevano la mia presenza a Petritoli; soprattutto la faccenda della costruzione della casa parrocchiale, vicino alla pievania di Santa Anatolia, di cui molto abbiamo detto sopra. Erano stati fatti alcuni preparativi, ma non si era ancora deciso l’inizio dei lavori. Perciò prima di ogni altra cosa, si trattò di sollecitare a iniziarne la fabbrica. Respinto il disegno dell’edificio che era stato proposto, mi è sembrato opportuno di costruirlo presso la facciata della chiesa. Furono poi presi accordi sul prezzo complessivo dei materiali e dell’opera con i mastri muratori, con i commercianti del materiale murario e del legname in modo da metter subito mano alla costruzione, dopo fatto ogni preparativo. Appresi che la chiesa parrocchiale di San Prospero era ancora mancante del tetto e che quindi era costantemente minacciata dalle avverse condizioni del tempo. Per questo i parrocchiani e coloro che abitavano vicino alla chiesa, si lamentavano vivacemente. Ho dovuto ammonire il parroco che, senza porre alcun indugio, procedesse a far ricostruire il tetto della chiesa, rimandando all’anno successivo ogni altro lavoro di riparazione.

Mi rimaneva l’impegno di recarmi a vedere l’edificio del monastero delle monache di quel luogo dove esse desideravano sistemare il dormitorio delle monache, con la costruzione di camerette singole. Ho compiuto l’ispezione, insieme con l’architetto Domenico Fontana, che era stato designato a seguire e dirigere tutti i lavori.

Espletato il mio compito, mi sono recato a Montalto, ospite de vescovo Leonardo Cecconi. Ho dovuto molto lavorare per appianare i dissidi che erano insorti tra il lui e mons. Giuseppe Maria Centini, governatore del presidato di Montalto. Grazie a Dio, tutto venne risolto. Rimasero irrisolti però due dissidi tra la città e il vescovo con la complicazione del vizio del popolo che desiderava di comportarsi con una maggiore libertà, come si era soliti sperimentare.

1755.28     L’arcivescovo, insistentemente invitato, si reca in visita nella città di Ascoli: vicende   del viaggio e racconto degli avvenimenti occorsi.

A Montalto, mi stavo preparando per discendere ad Ascoli, dove ero stato insistentemente invitato dal neo vescovo e dai più illustri cittadini, che erano venuti a Fermo per assistere alla consacrazione di mons. Leonardi. La strada era però difficile e in qualche suo tratto interrotta. Per questo fui consigliato di far uso della portantina che mi venne gentilmente offerta dal vescovo di Montalto e che io accettai con gratitudine. Tuttavia appena usciti dalla città, la abbandonai perché il viaggio sarebbe stato troppo lungo e specialmente perché i portantini non sembravano molto esperti. Subito, salii su una carrozza che usavo spesso per compiere più comodamente la visita pastorale, più adatta a percorrere e salire su ripide strade e a compiere i viaggi, con minor incomodo. Dopo aver percorso un viaggio di circa dodici miglia, metà del quale in salita e metà in discesa, finalmente giunsi ad Ascoli.

Lungo la strada, non lontano da Montalto, sulla parte sinistra ho incontrato il castello di Capradosso. Tempo prima questo castello andò distrutto e dalla provincia ebbi l’incarico nel 1733 di curarne la ricostruzione, come ho raccontato in questa cronaca del medesimo anno al n. 6. Questo castello ormai ricostruito, mi si è presentato con un volto completamente nuovo e ciò mi spinse l’animo a rendere grazie a Dio per il fatto che l’opera di ricostruzione, anche grazie al mio impegno, era ormai completata e lo potevamo rivedere.

1755.29    Entusiasmo del popolo nell’accogliermi – Descrizione della città.

Nel pomeriggio del 2 ottobre, giunsi incolume ad Ascoli. Alle porte della città mi venne incontro il vescovo, mio nipote (da parte di mia sorella), vennero anche il governatore della città Benedetto Lopresti, mons. Giosia Caucci e i più illustri cittadini di Ascoli su molte carrozze (erano molto usate nella città), che attendevano il mio arrivo, desiderosi di ossequiarmi. Sono salito sulla carrozza del governatore, trainata da sei cavalli. Andai nel palazzo vescovile e vi sono rimasto per alcuni giorni e vi ho ricevuto ed ho ricambiato l’omaggio del capitolo e della magistratura della città; ho partecipato a lauti banchetti offerti dal governatore, da mons. Caucci e dal marchese Francesco Maria Sgariglia, che sembrava voler gareggiare con gli altri per il numero degli invitati, per l’abbondanza e per la squisitezza delle vivande.

La città si estende in una pianura posta tra il fiume Tronto e il Castellano che la bagnano. E’ cinta da tre miglia di mura e conta diecimila abitanti. Tutti gli edifici, sacri e profani, sono costruiti magnificamente con il travertino, pietra locale; i ponti sono solidi e bellissimi a vedersi. E’ racchiusa tra i monti, ad eccezione del lato che guarda verso il litorale marittimo. Insigne è il capitolo della cattedrale che è onorato dal titolo dinastico di Maltignano. La chiesa cattedrale è ricca e splendida e nella confessione sotto il presbiterio, si onorano le sacre reliquie di Sant’Emidio, primo vescovo di Ascoli e martire, e di altri santi. La chiesa cattedrale sorge nella piazza principale ed è adiacente al palazzo vescovile ed a quello del senato. Vi sono molti e grandi monasteri di ambo i sessi e abitati da numerosi membri; molte sono le casate insignite di titoli nobiliari e vi esiste una robusta rocca a difesa della città, e nulla vi manca di ciò che rende colta e bella una città. Mite è il clima, se si eccettua il periodo della calura estiva e i rigori del freddo invernale. Il territorio rurale è ameno e fertile con oliveti, vigne, è anche piantato con altri alberi da frutta.

Il 7 ottobre, ho lasciato Ascoli insieme con il vescovo ascolano per raggiungere Ancarano e durante il viaggio abbiamo visitato Maltignano. Siamo poi scesi al paese di Sant’Egidio, appartenente alla diocesi di Montalto e feudo della famiglia Caucci, nel territorio del Regno di Napoli. Ci siamo fermati per visitare la chiesa del priorato di Sant’Egidio, unito alla mensa vescovile di Ascoli. Qui il popolo del castello stava costruendo una nuova chiesa per sottrarsi alla giurisdizione del vescovo di Ascoli e per mettere il nuovo priorato sotto le protezione del nuovo re di Napoli e per costituirvi un capitolo collegiale di canonici. Prima di notte siamo giunti ad Ancarano, accompagnati da un nutrito numero di soldati della guarnigione locale. Il castello era costruito su un alto colle, oltre il fiume Tronto, e non era soggetto né al regno di Napoli né allo Stato della Chiesa, ma era governato in modo sovrano direttamente dal vescovo di Ascoli. Il vescovo vi possedeva un gran numero di abitazioni, adiacenti all’ampia chiesa parrocchiale, da poco tempo ampliata e abbellita per opera del vescovo Marana. Contava una popolazione di mille anime e l’abitato era circondato da una cerchia di mura e godeva di un fertile territorio. Nonostante che avesse dovuto sofferto non poco, a causa del commercio del sale e del tabacco, come ho riferito nella mia cronaca relativa all’anno 1743, n.1, sembrava che ormai fosse liberato da quella emergenza. Versava al vescovo un tributo di oltre cento scudi all’anno. Il vescovo poi dalla sua proprietà terriera ricavava altri proventi che in verità non erano molti, né importanti. Ho visto che il popolo si manifestava abbastanza ossequioso al proprio vescovo e principe, obbediente ai suoi ordini e discretamente istruito nelle cose della religione cristiana.

1755.30     L’arcivescovo si reca a Grottammare per visitare e provvedere ai beni della                     mensa arcivescovile ivi esistenti.

Rimasi in Ancarano fino al 13 di ottobre, poi mi separai dal vescovo, mio nipote. Passato il fiume Tronto, arrivai al cosiddetto Porto d’Ascoli, che effettivamente appariva come un’infida stazione di piccole barche. Percorrendo la strada che costeggiava il mare giunsi, a tempo di mezzogiorno, a Cupra marittima <in realtà Grottammare>. Stimai opportuno visitare la chiesa di San Martino di proprietà della mensa arcivescovile, anche i mulini, i giardini, dove quasi tutte le piante da frutto avevano sofferto a causa del freddo della precedente stagione invernale, e visitai tutte le altre proprietà della mensa. Presso i mulini, notai che alcuni edifici, andati appaltati negli anni precedenti, avevano bisogno di restauri,  ai quali subito ho posto mano. Presso il paese nella zona Tuso, c’erano delle vigne che in passato erano state affittate al quarto dei frutti. Da tempo erano rimaste incolte. Ho deciso di recuperarle per la mensa e quindi le ho riscattate e subito alcune viti soltanto sono state migliorate ed in seguito anche le altre. Risolti questi problemi, il 15 ottobre mi misi in viaggio per raggiungere la residenza di campagna di San Martino e vi sono giunto, oltrepassando Santa Maria a Mare, alla seconda ora della notte. Mi sono trattenuto per un periodo di riposo a San Martino fino alla vigilia della festività di Tutti i Santi, quando sono tornato in città a celebrare nella metropolitana il solenne pontificale e vi ho tenuto un’ampia omelia sulla benedizione e sull’antica dedicazione delle campane, prendendo l’occasione della benedizione della campana La Viola e di altre campane destinate ad altre varie chiese, da me benedette in questi mesi, tra le quali voglio citare quella fatta fondere, a mie spese, per la chiesa dedicata agli Angeli Custodi in Sant’Elpidio a Mare, ad uso della cura delle anime, per i contadini che abitano in quella zona.

1755.31     Tentativo di concordia per la controversia col capitolo sul conferimento di parrocchie    e di benefici e prosecuzione della lite fino alla concordia definitiva.

Il tribunale della Rota Romana aveva richiesto al capitolo, parte convenuta, che esibisse i documenti citati dall’archivio capitolare per dimostrare il proprio diritto di conferire la parrocchia dei santi Giovanni e Paolo in Rapagnano e di conferire l’investitura al beneficio di patronato laicale della famiglia Gigliucci, esistente nella chiesa parrocchiale dei santi Cosma e Damiano di Fermo. Il capitolo metropolitano cercava di giungere alla concordia con me e, da parte mia, consentivo di accordarmi sulla ipotesi di concedere i simultanei conferimenti della parrocchia e del beneficio Gigliucci. Il capitolo mi chiese allora che i difensori delle due parti si incontrassero a Roma per cercare un equo criterio, al fine di giungere ad un giusto accordo. Si incontrarono entrambi, nel mese di marzo, allo scopo di consentire al capitolo, non solo la collazione della parrocchia, ma anche l’investitura del suddetto beneficio. Per concedere le due cose, tuttavia, chiedevo che simultaneamente anche io avessi lo stesso potere da esercitare con metodo alternativo. La cosa sembrava fattibile, dato che io lasciavo decidere al capitolo il modo, ma in realtà andò diversamente. Infatti il capitolo, non fu acquietato dalla decisione dell’incontro dei suoi due difensori, non fece l’accordo, anzi chiese alla congregazione dei Vescovi e dei Religiosi il permesso di accendere un mutuo, di varie centinaia di scudi, per poter continuare la causa. Dopo le molte ed inutili spese che erano state fatte per questa causa, la sacra congregazione, con un rescritto rilasciato il giorno 8 agosto, affidò la faccenda al vescovo di Ripatransone, il quale doveva esperire un altro tentativo per giungere ad un accordo. In caso contrario la congregazione disponeva che fosse concessa la facoltà ai canonici di contrarre un prestito di soltanto quattrocento scudi con l’onere per il capitolo di restituire la somma entro un tempo da stabilirsi, e pagando una rata annuale. Probabilmente il capitolo fu spaventato dall’onere imposto da tali condizioni più di quanto non fosse preoccupato di proseguire la controversia. Pertanto, nel corrente anno, le cose rimasero senza soluzione.

1755.32     I missionari della congregazione “Imperiali” sono accolti nella diocesi di Fermo   come predicatori delle sacre missioni al popolo.

Francesco Maria, della nobilissima e ricchissima famiglia Imperiali, illustre nella repubblica di Genova, si era dedicato alla predicazione delle sacre missioni per l’ istruzione e la salvezza del popolo cristiano e sosteneva l’iniziativa, completamente, a sue spese, poiché disponeva abbondantemente di beni. Aveva aggregato a sé altri sacerdoti che lo aiutavano in tale opera e nel servizio. Era venuto nel Piceno, dove alcuni dei nostri sacerdoti si aggregarono a lui. Egli era legato da forte amicizia con mio fratello vescovo di Ferentino, e aveva dedicato tutta la sua opera alla predicazione in quella diocesi e in quelle confinanti della provincia in Campania. Mio fratello mi aveva caldamente proposto di utilizzare tali sacerdoti per la mia città e diocesi. Io però allora disponevo di vari sacerdoti che si dedicavano, da tempo, a compiere tale servizio nella diocesi, pertanto rifiutai la proposta. Al presente però, non avevo più nessuno che svolgesse questo ministero poiché i preti della congregazione Fermana della Missione, a cui spettava tale servizio della predicazione, fin dalla fondazione, anno dopo anno avevano rinviato il loro servizio di predicatori delle sacre missioni al popolo. Preoccupato per tale situazione, decisi di servirmi dell’opera del marchese Imperiali, anche perché, trovandosi egli a Loreto, si era sparsa la fama del suo nome e delle generose elargizioni di elemosine che il marchese distribuiva ai poveri. I cittadini di Morrovalle infatti per primi avevano richiesto la sua opera. Chiesta a me, nel mese di ottobre, la licenza di poter predicare, Imperiali fu accolto nella mia diocesi insieme con i suoi compagni.

Dopo aver predicato a Morrovalle, si sono recati a <Monte> San Giusto, poi a Montegranaro, dove all’inizio da parte di alcuni giovani poco educati si ebbero alcuni gesti irrispettosi e irreligiosi. Dio però, come è solito fare nella sua clemenza, rivolse al bene ciò che era accaduto. Infatti coloro che erano stati motivo di scandalo, non soltanto chiesero pubblicamente di essere scusati, ma parteciparono con devozione a tutti gli esercizi religiosi e diedero la dimostrazione di essersi pentiti di cuore. Parleremo ancora di queste missioni nella cronaca del prossimo anno.

1755.33     Morte del cardinale Pietro Luigi Carafa – Suo elogio – Opera svolta da lui a Velletri.

Provai un grandissimo dispiacere per la morte del cardinale Pietro Luigi Carafa, decano del sacro collegio, vescovo di Ostia e di Velletri, avvenuta il 15 dicembre, all’età di 79 anni. Egli aveva sempre dimostrato una straordinaria benevolenza verso di me e verso i miei fratelli. Alcune volte era stato a Fermo e, mentre qui era mio ospite, su mio consiglio stilò il suo testamento che alla fine mutò, aggiungendo in un codicillo altri esecutori testamentari tra i quali Pietro Antonio mio fratello e canonico coadiutore nella basilica di San Giovanni in Laterano. Il cardinale Carafa non aveva ancora compiuto tre anni alla guida delle due diocesi, e già molto aveva fatto a beneficio di Velletri mia patria. Vi fece venire il suo uditore generale mons. Corea il quale, con grande impegno, riuscì a risolvere molti problemi che precedentemente erano intricati. Ordinò che fossero restituiti i debiti, finora negati ai cittadini, e che fossero risarciti i beni che erano stati distrutti, a Velletri, per le violenza e i soprusi commessi, con violenza e ingiustamente, durante la guerra nell’anno 1744. Nel suo ultimo testamento lasciò alla chiesa cattedrale alcune delle sue suppellettili e destinò ai poveri di Velletri la somma di quattrocento scudi. Fu uomo di grande affabilità, di mente lucida, di decisioni disinteressate, di grande esperienza nell’affrontare i problemi. Fece sempre del bene a tutti quelli che lo avvicinarono. Sua regola di vita fu di non farsi notare, realmente, con sincera generosità di cuore, non per trarne utilità.

1755.34    Nomine fatte e spettanti al capitolo di Velletri, in sede vacante.

Dopo la morte del cardinale Carafa, e per il periodo della sede vacante a Velletri, in forza di un antico privilegio, vennero eletti due rettori. Il primo era Camillo Borgia, mio fratello, per la seconda volta (la prima volta era stato eletto nel 1738 alla morte del cardinale Francesco Barberini) e il secondo rettore era il conte Giovanni Paolo Antonelli. Intanto dal capitolo veniva eletto il prefetto della rocca e della città di Ostia, del cui diritto precedentemente si dubitava; a torto, però, perché la giurisdizione della chiesa, alla morte del vescovo, passava al capitolo e poiché nel nostro caso esisteva un solo capitolo, che era quello di Velletri, appariva chiaro che esclusivamente a questo dovesse spettare l’elezione del prefetto di quella rocca. Infatti Ostia non ha il capitolo e il diritto quindi viene trasferito al capitolo di Velletri che era l’unico esistente nelle due diocesi. Pertanto, come nella precedente vacanza della diocesi, per la morte del cardinale Rufo, fu eletto a questa carica il marchese Giuseppe Davia, nel sopraggiungere della presente vacanza della sede episcopale, il capitolo di Velletri, parimenti, ha eletto a questo incarico in modo regolare mio nipote Clemente Erminio Borgia, figlio di mio fratello, che tempo prima era stato formato presso di me. Io avevo sostenuto decisamente che venisse rispettato tale diritto del capitolo di Velletri.  In questo caso si dava nella patria una testimonianza chiarissima della virtù del giovane meritevole.

1755.35     Numerosi lavori compiuti durante l’anno nella città e nei possedimenti della mensa   arcivescovile.

Nel corso dell’anno, molto fu fatto per il restauro delle mura della città e i lavori sarebbero stati completati, se il denaro pubblico destinato a quest’opera, non fosse stato utilizzato per altri usi. Tale denaro fu di fatto destinato per apprestare nuove difese contro le inondazioni del fiume Tenna lungo il quale vi erano non solo le terre dei privati, ma anche parecchi mulini per il grano. Furono stanziati più di 3.000 scudi per l’opera delle mura e quest’anno ne sono potuti spendere 2.000 soltanto. Grazie a tali lavori si è ottenuto che la città, la quale prima era completamente aperta a tutti, finalmente fosse protetta e non più disponibile alle ruberie <di evasioni fiscali>. I lavori che restavano da completare si decise di rinviarli all’esecuzione nell’anno successivo. E’ stata restaurata in modo elegante la porta che si apriva presso il convento di San Francesco e dopo molte e aspre discussioni, era stata aperta un’altra porta a Santa Lucia.

Si era lavorato in non pochi altri edifici della città. Nel collegio della Sapienza, detto Marziale, soprattutto erano stati fatti lavori nella gran parte degli edifici. Le monache di Santa Chiara hanno in parte completato le camerette singole che avevano cominciato a costruire, nell’anno passato, nella parte del dormitorio. I frati del convento di san Domenico dell’ordine dei Predicatori, i sacerdoti della Compagnia di Gesù e i preti della congregazione dell’Oratorio avevano eseguito lavori all’interno dei loro edifici. La confraternita di Santa Maria del Monte Carmelo ha restaurato il proprio oratorio. Nella piazza maggiore si vedevano sorgere nuovi edifici, presso i Sansoni.  Nel paese di Morrovalle si lavorava per ampliare la chiesa matrice, dove il capitolo della collegiata di San Bartolomeo nutriva fermamente la speranza di terminare i lavori entro l’anno successivo.

Dei lavori che interessavano la nostra mensa avremmo molto da parlare, infatti, oltre ai lavori che avevo intrapreso nel palazzo arcivescovile, per riparare e ripulire la parte dove si trovavano le camere dei famigliari, feci eseguire alcuni altri lavori a San Claudio e a Monteverde, presso capo Gera. Altri interventi si fecero a Grottammare, di cui ho parlato sopra. Molto di più spesi per costruire la nuova casa a Francavilla, in zona Monterone, il cui podere era di proprietà del beneficio dei santi Giuliana e Sisto, per cui ho speso più di 230 scudi.

Nel lavoro di piantumare alberi, quantunque in nessun luogo avessi tralasciato alcun lavoro necessario e utile, non ho annotato quasi nulla, se si fa eccezione di quello che ho pagato per il risanare le vigne, a Grottammare, come ho già detto precedentemente. Durante il corrente anno non ho avuto alcuna preoccupazione di arginare inondazioni, poiché i fiumi, grazie a Dio, sono scorsi placidi. Solo lungo il fiume Ete ogni anno capitava che si dovessero registrare gravi danni nel terreno di Felceto.

1755.36     Gravi terremoti avvenuti all’estero.

Sempre i violenti terremoti che avvenivano all’estero, giustamente, ci turbavano. Il più grave fu quello avvenuto a Ulyssipone, in Portogallo, il primo novembre. Allora quella città celebre ed insigne per il numero degli abitanti, per le notevoli attività commerciali e per le ricchezze, ebbe a soffrire gravissimi danni. Fu scossa per due volte; in parte crollò, in parte subì gravi danni. In verità in Portogallo, in Spagna e in altri paesi europei ed extraeuropei ai gravissimi danni provocati dai terremoti, si aggiunsero le alluvioni e le inondazioni di acque. Queste nell’Italia settentrionale a Ferrara terrorizzarono fortemente la gente e in Francia danneggiarono Avignone. A proposito di questi terremoti e maremoti si narrava che le cose straordinarie accadute, facessero aumentare la fede, secondo quanto si legge in Livio e in Plinio. Gli eventi straordinari antichi erano ancora visti solo come segni prodigiosi del destino, divenuti famosi per i posteri, ma non come avvertimenti di Dio. Nel nostro tempo di simili eventi si prendeva solo atto. L’onnipotente Dio che governa la natura e regola i suoi moti ed effetti con i quali o ammonisce o punisce, richiama alla conversione e sollecita alla preghiera per allontanare, da noi e da tutto il popolo cristiano, questi flagelli della sua ira.



[1] Ovviamente le disposizioni aggiunte dall’arcivescovo A. Borgia erano impegnative per i canonici della nuova collegiata fondata indipendentemente dal presule.

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