SANTA VITTORIA NEL CULTO STORICO SUL MATENANO. Studio di Crocetti Giuseppe e Settimi Giovanni

CROCETTI GIUSEPPE  E SETTIMI GIOVANNI

IL CULTO DI SANTA VITTORIA SUL COLLE MATENANO (FM)

Santa Vittoria in Matenano è la cittadina, situata a 625 metri di altitudine, in provincia e diocesi di Fermo che, nel medioevo, fu per i monaci benedettini di Farfa la sede del Priore del loro monastero ed il centro amministrativo dei loro possedimenti nel Piceno. Qui, più che altrove, troviamo strettissimo il legame tra il monachesimo benedettino e l’influenza del priore-abate nelle vicende politiche e sociali delle Marche dell’epoca medioevale. Nella valle della Tenna, salendo da Servigliano, per la strada Matenana, si giunge al centro urbano santavittoriese, dove ci si presentano le mura di cinta e la Torre di Palazzo, e l’arco gotico, che un tempo costituiva l’ingresso al paese dalla porta di San Salvatore. La torre e le mura furono costruiti dall’abate Oderisio (1235-1238), nel tempo che egli rivestì la carica di Podestà santavittoriese, per elezione del consiglio del libero Comune locale. Lo stesso abate comprò una casa per trasferirvi gli uffici comunali. La cittadina di Santa Vittoria fu sempre sottomessa al Papa, anche in momenti difficili, senza aderire a particolari fazioni. Lo Statuto proprio di questo Comune, fin dal secolo XIII stabiliva: “Nessuno osi, o presuma nominare o acclamare nel nostro paese e nel suo territorio per la protezione di esso…. qualche signore o comune, o alcun partito guelfo, o ghibellino: pena 200 ducati di multa”.( Statuta, lib. VII, rubr. 1 p. 101)

In alto, tra il verde di olmi, cerri e cedri, l’occhio è rallegrato dalla visione di due costruzioni monumentali, poste in magnifica prospettiva; al vertice del colle Matenano: il Cappellone, e, poco più in basso, la torre e la facciata della maestosa chiesa collegiata, santuario delle reliquie di santa Vittoria vergine e martire

L’ANTICA CHIESA MONASTICA O CAPPELLONE

Sul Matenano, l’abate farfense Raffredo (928-936) aveva costruito una grande chiesa, che doveva ricordare ai monaci la basilica di Santa Maria di Farfa, dalla quale questi erano partiti per sfuggire ai Saraceni. La chiesa monastica sul Matenano, all’inizio, fu anch’essa dedicata a Santa Maria. Nei documenti successivi è chiamata chiesa di Santa Vittoria a motivo del sarcofago delle reliquie della santa martire qui trasferito nel 934 da Monteleone Sabino. Nel secolo XIV la chiesa fu rimaneggiata con elementi gotici, come si riscontra da quanto rimane del monumentale chiesina detta Cappellone e dalla data incisa nella pietra che si conserva nell’interno: 1368. Un secolo più tardi fu la affrescata dal buon pennello dei santavittoriesi Giacomo di Cola ( documentato del pagamento nell’anno 1471), e da Marino Angeli. Al secolo XV risale l’urna in marmo e pietra della santa vergine martire, come ancora si vede. Dal secolo X il sarcofago quadrangolare è basato su quattro colonne di pietra, ha la parte inferiore in calcare travertino, mentre l’arca superiore arcuata gotica è scolpita a bassorilievi.

Quest’antica chiesa poi, a causa di frane e di terremoti, fin dal secolo XVI minacciava rovina, specialmente dalla parte della torre che si affacciava sull’alta rupe tufacea. Più volte fu restaurata e consolidata, finché nel 1771 si decise di demolirne gran parte e costruirne una nuova in luogo più stabile e sicuro. Per munificenza della signora Vittoria Perfetti furono conservate le ultime due campate della navata sinistra dell’antica chiesa, ove si conserva ancora l’affresco della Crocifissione, dipinto di sua particolare devozione. Fu conservata parte della cappella del SS.mo Sacramento, ove erano affreschi riguardanti l’Eucarestia e l’altare maggiore. I materiali edilizi dell’antica chiesa sono stati reimpiegati nelle mura dell’attuale chiesa della Resurrezione, detta più comunemente Il Cappellone di forma quadrangolare con altare barocco e statua del Cristo risorgente, in gesso, sulla parete ricostruita. Nel volto sopra il presbiterio gli affreschi seicenteschi di tema Eucaristico, riquadrati in cornici dello stile dell’epoca. Gli stucchi sono di Domenico Malpiedi di San Ginesio e le pitture di Francesco Braschi. A sinistra, per una piccola porta, si accede alla predetta cappella romanico-gotica, affrescata. Vi si conservano capolavori d’arte quattrocentesca: l’Annunciazione, la Strage degli innocenti, la Crocifissione, la Dormitio virginis ; scene drammatiche, contornate da figure di Evangelisti, di dottori e degli altri santi.

L’OPERA DEI FARFENSI

Spesso salgono al Matenano turisti e studiosi, ammiratori dell’opera civilizzatrice dei monaci farfensi nel Piceno. Vengono a costatare i preziosi ricordi lasciati in monumenti e tradizioni. Nel panorama, le case sparse tra le terre ribadiscono che l’agricoltura per molto tempo fu sorgente di pace nella famiglia unita, ravvivata da canti nei lieti eventi, da lealtà e collaborazione. Dall’alto lo sguardo coglie Montefalcone, Force, Montelparo che con i loro territori costituirono per vari secoli i comuni del governo farfense nell’amministrazione Marchigiana, insieme con gli altri quaranta comuni, circa, nelle attuali province di Fermo, Ascoli e Macerata, dai Sibillini al mare Adriatico, dal fiume Tronto al Potenza, e lungo le fertili vallate intermedie dell’Aso e del Tenna. Questi vasti territori costituivano uno Presidato che si incuneava tra i contadi di Ascoli e di Fermo, tra il ducato di Spoleto e quello di Camerino.

I contratti agricoli erano l’enfiteusi per tre generazioni, pagando un canone. Ecco un diverso contratto agricolo, a mezzadria, dell’anno 1201.  “ Io Cencio di Giovanni Gatta faccio questo patto con te Matteo Rollani e con i tuoi eredi, riguardo alla terra che mi hai affidata per coltivarvi la vigna e curare tutto ciò che è in essa. Prometto di darti la metà dei frutti che potremo ricavare da detta terra, e metà di tutto il legname…” (Colucci, G. Antichità Pic. XXIX, p. 54)

Santa Vittoria in Matenano, nel medioevo, era giuridicamente la succursale di Farfa, cioè il centro del coordinamento amministrativo sui molti comuni che facevano parte del dominio farfense, nel versante orientale degli Appennini centrali. Era la capitale quando l’abate tenne la sua curia nel magnifico monastero del Matenano. Quando invece l’abate risiedeva a Farfa, a Santa Vittoria teneva un Preposito e Priore, che faceva le sue veci nel governo di oltre duecento chiese.

Il “Presidato farfense” aveva per proprio conto, i giudici che amministravano la giustizia a tutti i suoi sudditi, in primo grado ed anche in appello. Basti pensare che le navi, le quali salpavano da Ancona verso l’oriente, dovevano ottenere il salvacondotto, o lasciapassare, dal preside che risiedeva sul Matenano. Questo diretto dominio politico farfense passò al Rettore della Marca di Ancona, nel 1261, per decreto di Papa Urbano IV. Il card. Egidio Albornoz, nel riordinamento delle Marche nella metà del sec. XIV, delimitò i poteri e i confini del Presidato farfense, che giuridicamente fu trasferito nel 1586 quando Sisto V ne stabilì il capoluogo a Montalto delle Marche, sua patria.

DIFFUSIONE DEL CULTO A SANTA VITTORIA

Gli abitanti residenti nei comuni dipendenti dovevano periodicamente salire sul colle Matenano, per molteplici ragioni. Lo facevano per pagare i tributi dell’enfiteusi nelle feste di S. Maria e di Santa Vittoria; vi si recavano anche per acquisti vari e scambi di merci nelle celebri fiere di ogni mese ed in quelle, più frequentate in occasione delle feste della santa, del 23 dicembre e del 20 giugno che duravano tre giorni; inoltre per le cause civili e penali; infine per tutti gli atti amministrativi di competenza del Preside. Per i devoti era un obbligo morale la visita al santuario, come prevedeva il cerimoniale; per altre persone era un’attrattiva, suscitata dalle festose solennità; altri ancora vi erano spinti dalla fede, per chiedere grazie particolari. Per il tramite di questi incontri, in occasione di feste e fiere, si diffusero ovunque la conoscenza e la devozione a santa Vittoria, e il ricorso alla sua efficace protezione divenne sempre più frequente in ogni paese del Fermano. Ne fanno fede le chiese dedicate a santa Vittoria a Mogliano, a Fermo e a Offida, gli affreschi a Patrignone, a Monteleone di Fermo ed a Magliano di Tenna, eseguiti, secondo l’uso dei tempi, come ex-voto per grazie ricevute. Pertanto, dal secolo decimo, nel volger del tempo, il culto verso questa santa vergine e martire fu esteso a tutta la Diocesi di Fermo, ed ebbe fin dal sec. XIV l’ufficio e le lezioni proprie nel breviario.

Questo fatto è da ritenersi importante, se si considera che sia l’Abate di Farfa, sia il Priore di Santa Vittoria, nel medioevo, erano esenti dalla giurisdizione territoriale dei vescovi, e in questa esenzione coinvolgevano anche le popolazioni esistenti nei loro possessi, in quanto essi stessi provvedevano all’assistenza spirituale dei fedeli nelle loro chiese. L’abbazia di Farfa per privilegio pontificio, per molti secoli, non fu soggetta ad alcun vescovo. Il monastero del Matenano, ne era la sede vicaria, e usufruva degli stessi privilegi dell’abbazia madre. Vi risiedeva un Priore, che, in assenza dell’abate, conferiva la cura d’anime, nominava i rettori di chiese, assegnava i canonicati, e simili. Per il conferimento della Cresima e dell’Ordine sacro chiamava un vescovo, a sua scelta.

LE PARROCCHIE

Sul colle Matenano, fungeva da chiesa parrocchiale la chiesa della SS.ma Trinità , mentre presso la chiesa dei santi Giacomo ed Anatolia c’era l’ospedale, e presso quella del S. Crocifisso c’era l’ospizio per gli invalidi. Di queste chiese restano solo i documenti di archivio ed alcuni toponimi. La popolazione che viveva in campagna, in terreni non posseduti dal monastero, continuò ad essere assistita spiritualmente dal clero soggetto al Vescovo di Fermo. La parrocchia di S. Maria della Valle è da ritenersi l’organizzazione vescovile primigenia del Matenano. Essa fu sempre subordinata al vescovo di Fermo; ebbe le caratteristiche di parrocchia gentilizia per i gruppi di famiglie, che in origine vivevano sparse nei poggi e nei castelli o case di campagna. Parimenti per gruppi famigliari erano le parrocchie vescovili di S. Salvatore, di S. Valentino ed altre, sorte inizialmente in campagna e poi trasferite nell’incasato per ragioni di tranquillità e di sicurezza nel periodo dell’incastellamento. Nel secolo XIII le parrocchie, comprese le farfensi, erano, in tutto, sette.

IL CAPITOLO

I monaci farfensi del Matenano costituirono una comunità di otto o dieci componenti, per molti secoli. Dopo il 1400, cambiarono i rapporti con l’abbazia madre, che venne affidata agli abati commendatari. In seguito, non aderendo all’introduzione dei cassinesi, diedero vita ai “monaci Berrettanti”, che il papa Urbano VIII sostituì con i “canonici” non religiosi, nel 1632. Da questa data anche Santa Vittoria ebbe il suo “capitolo”, e la loro chiesa, il titolo di collegiata, con i privilegi delle insigni. Nel 1747 si operò il distacco definitivo da Farfa perché il Priore, i canonici e la popolazione assistita passarono sotto la giurisdizione totale del vescovo di Fermo, Alessandro Borgia. Allora santa Vittoria vergine e martire fu annoverata tra i patroni della diocesi Fermana e la sua immagine fu dipinta nell’abside del duomo (dipinto scomparso di Natale e Filippo Ricci, anno 1749). In seguito furono soppresse tutte le parrocchie minori – ad eccezione di S. Maria della Valle – e le loro proprietà beneficiali in gran parte alienate, vendute per la costruzione della chiesa collegiata a fine secolo XVIII.

LA NUOVA CHIESA COLLEGIATA e LE OPERE D’ARTE

Il Priore Terribili (1758-1802) col consenso dell’arcivescovo e dei canonici, decise di demolire la pericolante chiesa abaziale e di costruirne una nuova in luogo più accessibile e sicuro. Il pesante sarcofago di Santa Vittoria nel 1771 viene trasferito nella chiesa di S. Maria della Valle, ove per vent’anni officiarono i canonici del capitolo. Le campane erano state deposte dalla torre, che rovinò quasi completamente nel 1773. La costruzione della nuova collegiata ebbe vicende complesse. In base al primo progetto – a tre navate e con due torri sulla facciata- dell’architetto Fazi di San Severino, si gettarono le fondamenta, nel 1774. Ma poi il Fazi declinò l’incarico. Nel corso dei nove anni successivi l’arch. Vassalli di Roma elaborò un nuovo progetto che l’Augustoni adattò alle fondamenta già riempite. Dal 1783 sotto la direzione tecnica di Domenico Fontana si costruì l’opera, lunga m. 47, larga m. 13 con cappelle del transetto profonde m. 7. Fu completata in dieci anni e costò al capitolo la somma di 25.000 scudi romani, senza contare il materiale reimpiegato da chiese demolite, il legname preso nei beni prebendali, la manodopera generosamente offerta dai cittadini santavittoriesi e i contributi delle confraternite. Copre quasi 1000 metri quadri di superfice comprendendo la cripta e la cappella del Sacro Cuore.

Fu benedetta il 15 agosto 1793 dal Vicario foraneo Marinelli, quando, con solennità e devozione, il sarcofago delle reliquie di santa Vittoria fu collocato nella nuova e attuale cripta. La chiesa fu dedicata a Maria Assunta in cielo, come l’antica, e fu consacrata dal venerabile vescovo agostiniano Giuseppe Menocchio nel maggio del 1798. Ha l’aspetto di una cattedrale per ampiezza, maestosità di linee, ricchezza di statue. Tutte le opere ornamentali, gli altari, le statue, gli stucchi, i bassorilievi, i festoni sono opera del direttore dei lavori, Domenico Fontana. Il coro e le tele dipinte degli altari invece provengono dalla vecchia chiesa demolita. La balaustra, le scalinate dell’altare di marmo nella cripta sono opera del marmista Sebastiano Ricci di Sant’Ippolito di Fossombrone.  Ha una grande cupola sopra l’incrocio della navata con il transetto. Nel suo genere è certamente una delle più belle chiese del Fermano. A metà del lato destro si eleva la torre massiccia, con un concerto di sette campane fuse sul posto; concerto monumentale, famoso, proverbiale nella zona, perciò risparmiato nella requisizione del periodo bellico. Il popolo santavittoriese ne va giustamente fiero ed orgoglioso; e, ogni volta che “suona il campanone”, si reca nella collegiata-santuario, per esprimere profondi sentimenti di fede, di fratellanza, di amor patrio.

LE MONACHE BENEDETTINE

Dopo le campane del Santuario, quelle che a Santa Vittoria suonano più spesso, garrule e piene di simpatia, sono le campanelle del monastero di Santa Caterina, in via Roma, che segnalano alla popolazione i momenti salienti della vita claustrale delle monache benedettine. Questa comunità era presente a Santa Vittoria in Matenano fin dall’anno 990 e ancor oggi, in tempi non facili per le vocazione allo stato religioso, si presenta come una comunità fiorente, benemerita per opere cristiane, sociali, educative: segno tangibile della particolare protezione di Santa Vittoria, che un tempo fu guida di una sua comunità femminile. Un’immagine della santa è devotamente onorata nel monastero; nell’altare di sinistra della chiesina è rappresentata insieme con S. Caterina e con altri santi protettori. Queste monache testimoniano l’opera svolta dai benedettini sul Matenano, quando il Priore, all’altare della santa patrona, consegnava alle nuove oblate la “veste di Santa Vittoria”. Onorano san Benedetto e santa Scolastica nella liturgia e nella regola, attirano con la vita di preghiera le benedizioni celesti su tutta la popolazione. Hanno saputo reagire alle difficoltà dei tempi con iniziative generose nel campo dell’assistenza sociale e dell’istruzione, come il collegio femminile sorto nel dopo guerra. La testimonianza dei sacrifici della comunità, ha assicurato a tante giovani un accogliente soggiorno con adeguata assistenza nello studio e nella formazione spirituale.

IL CULTO DEI PADRI ALLA SANTA

Non possiamo dimenticare gli onori tributati a santa Vittoria dalla civica amministrazione. La prima rubrica dell’antichissimo Statuto di questo Comune che ne porta il nome, si apre con un atto di ringraziamento a Santa Vittoria, vera protettrice “che liberò noi e la nostra terra da molti mali e ci protesse in molti pericoli”. Le altre rubriche stabiliscono tre giorni di festa per il 23 dicembre e tre per il 20 giugno. In quei giorni nessuno poteva portare armi di qualunque genere, eccettuati i 200 soldati, ingaggiati dal Comune per il servizio pubblico e per la parata festiva. Un banditore del Comune inoltre avvertiva i cittadini di tenete pulite tutte le vie e le strade.

   Per mano del Podestà il Comune offriva a Santa Vittoria un prezioso pallio di seta nella festa di dicembre e un grande cero al 20 giugno. Partendo dalla chiesa di S. Agostino si costituiva un grandioso corteo formato dai magistrati, dai capitani e dagli iscritti a ciascuna delle sette corporazioni, recanti ognuno il proprio dono. Aprivano il corteo gli osti, i mugnai, i fornai; seguivano gli agricoltori, i carpentieri, i vasai, i muratori; poi i cordai, i fabbri e mercanti; quindi il collegio dei letterati, e in ultimo i valletti con il pallio o il cero, seguiti dal Podestà e dal Priore. Attraverso la via principale del paese si giungeva al santuario, dove il capitano di ciascuna arte faceva la sua offerta alla santa patrona e il Priore celebrava la Messa solenne. I momenti  della fede favorivano le opere della prosperità. Nel 1650 fecero una statua di legno che poi fu incoronata nel 1758 con corona argentea, fusa da Antonio Contucci di Fermo.

LA PROTETTRICE DEI BAMBINI

Per tradizione antichissima, i neonati si portano, dopo il battesimo, nella cripta presso le reliquie di santa Vittoria dove i parenti tutti affidano alla celeste patrona la tutela della nuova creatura, per la sanità del corpo e la salvezza dell’anima. È una cerimonia libera e spontanea, molto sentita dai genitori, che ne provano conforto e gioia, perché hanno l’intima convinzione di condividere con santa Vittoria la grande responsabilità anche in seguito. Con l’aiuto della santa sarà più facile il loro compito di una buona educazione. La visita, con libero cerimoniale, si rinnova quando il bambino diviene più grandicello, e quando soffre per qualche disturbo. Allora la preghiera è fervida e la santa infonde sempre fiducia, conforto, dà protezione ed aiuto. I giovani vanno da soli, con iniziativa sincera e spontanea ed esprimono alla santa un’invocazione di aiuto, una promessa di bontà.

ALTRE MANIFESTAZIONI DI CULTO NELLL’ULTIMO SECOLO

Inno processionale. Il Priore Cinquantini (1913-1922) compose il testo dell’inno processionale: “Gloriosissima Vittoria”, adattandovi la musica di Beethoven, tratta dalla composizione “Thema”. Bella musica, dalla impostazione solenne e popolare, devota e supplice, sempre fresca e gradita all’orecchio di chi canta e di chi ascolta.

Rifusione della campana di Santa Vittoria.  Al rientro della processione dell’Assunta del 1930, il “Campanone”, per la rottura di un perno, si abbatté, silente e immoto, sul piano della cella campanaria, senza deplorevoli disgrazie. L’avvenimento commosse le migliaia di persone presenti.  Si fece una libera sottoscrizione di offerte per la rifusione, in nobile gara, tra tutta la popolazione. E si provvide anche all’installazione del castello in ferro per le campane maggiori.

Celebrazione del millenario. Nel 1934 un solerte comitato cittadino guidato dal priore Senzacqua  Getulio (1925-1942) organizza solenni celebrazioni religiose civili per commemorare il primo millenario della traslazione del sarcofago con le reliquie sul colle Matenano. Si restaura e si dà una tinta riposante all’interno della collegiata. Presso la famosa “Fonte del latte”, meta di pellegrinaggi da parte delle puerpere, si ricostruisce la fontana con un’edicola della santa. Una memoranda missione al popolo è predicata dai Passionisti, con salutari effetti spirituali e segnalate conversioni. Si diffonde “Il Millenario” numero unico celebrativo del fausto avvenimento. Si ristampa la ‘Vita di Santa Vittoria’ del Quintarelli, con l’aggiunta di alcuni capitoli relativi al culto sul Matenano.

Il nuovo Santuario.  In varie occasioni, dal clero e dal popolo del Matenano, era stato auspicato un titolo che desse lustro alla propria chiesa. L’arcivescovo di Fermo, interprete del sentimento popolare, in data 26 giugno 1943, emise il seguente Decreto per il santuario: “ Norberto Perini, per grazia di Dio e della Sede apostolica arcivescovo e principe di Fermo. Fin dai primi giorni della nostra elevazione a questa sede Metropolitana, mossi dalle notizie che ci dava l’Eminentissimo Cardinale Idelfonso Schuster, Arcivescovo di Milano, storico competentissimo dell’imperiale Abazia Farfense, ci siamo interessati delle virtù e del culto di Santa Vittoria e abbiamo lietamente raccolto le seguenti conclusioni:

-Che l’Archidiocesi di Fermo ha sul Matenano la spoglia di una delle più illustri Vergini e Martiri dei primi secoli della Chiesa;

-Che intorno a queste SS. Spoglie, già venerate a Trebula Mutuesca, da quando, per cura dell’abate Raffredo di Farfa, circa il 934, vennero recate quasi in trionfo sul Matenano, si manifestò la fervida devozione di tutto il Piceno;

-Che un’importante documentazione fatta di ricordi storici, di preziosi cimeli artistici e di pie tradizioni locali, segnano sul Matenano un luogo, in modo preclaro, consacrato al  culto”.

Santa Vittoria Patrona della Gioventù Femminile di A. C. Il 20 giugno 1943 S. E. Mons. N. Perini ebbe a proclamare santa Vittoria Patrona della Gioventù Femminile di Azione Cattolica, presente il Consiglio Diocesano.

Voto pubblico e solenne. Nel periodo più drammatico della seconda guerra mondiale, nella primavera del 1944 e precisamente il 26 marzo, il Priore Filomeni (1942-1959), anche per suggerimento di alcuni capi-famiglia, pensò di ricorrere a santa Vittoria con un voto pubblico e solenne, chiedendo di essere scampati dal flagello della guerra. L’iniziativa fu presa col consenso dell’Arcivescovo; il voto fu concretizzato in questi termini: “Se il paese di Santa Vittoria in Matenano, sarà risparmiato dalla devastazione della guerra e non sarà invaso, i cittadini non inferiori ai 15 anni si obbligano a ricordare la singolare grazia con l’istituzione di una festa annuale votiva preceduta da un triduo; e di santificare tale festa col digiuno alla vigilia e con la santa Comunione”.  La scheda per l’adesione al voto si componeva di un’appropriata preghiera da recitare in famiglia e di un foglio da staccare, sottoscrivere, e depositare sull’altare della Santa. La manifestazione conclusiva si svolse in un’atmosfera di vera e sincera pietà e di grande commozione.

La liberazione.  Scrive il Priore don Filomeni nel suo diario: “18 giugno 1944, domenica: il pericolo della guerra si fa minaccioso ed imminente; (i tedeschi avevano fissato sul Matenano il comando della tappa nella fase della ritirata strategica). Si stabilisce per la sera un’ora di adorazione nella cripta di santa Vittoria. Fu veramente un’ora di pianto e di commozione….”. “20 giugno: proprio oggi, festa di Santa Vittoria, i tedeschi decidono di lasciare il nostro paese….. Siamo liberi !…. Contro i piani già stabiliti, faranno la loro resistenza non più sul Tenna ma sul Chienti…” Suonò a festa il campanone; a sera fu organizzata una solenne e commossa processione “Ben si può comprendere con quanto slancio e pietà si celebrò tale festa….. Parecchi piangevano di commozione”. Nello stesso giorno fu liberato quasi tutto il territorio della Diocesi di Fermo. Per mantenere l’impegno del voto, bastava dare una possibile solennità maggiore alla festa già esistente.

La rivista.  Altra benemerenza del priore don Filomeni e dei suoi collaboratori è senza dubbio la pubblicazione della rivista: ”Santa Vittoria, Astro dello Stato Farfense”, attraverso la quale furono diffusi apprezzatissimi studi e ricerche di storia locale; furono prese iniziative per approfondire e divulgare il culto alla santa, particolarmente tra la Gioventù Femminile, cui era stata data a Patrona. La pubblicazione iniziò nel 1950 è sospesa nel 1959. Facciamo voti che possa rivivere con lo slancio e l’entusiasmo di un tempo. Molte popolazioni venerano ed amano santa Vittoria; certamente leggerebbero con soddisfazione quanto la può riguardare…..

XVII centenario del martirio. Dall’agosto 1950 all’agosto 1951 furono promosse varie iniziative per celebrare il XVII centenario del martirio di Santa Vittoria e diffonderne la conoscenza e il culto. Per l’occasione i Vescovi delle Marche, su richiesta del priore Filomeni, validamente sostenuta dall’Arcivescovo di Fermo, Presidente della Conferenza Episcopale Marchigiana, proclamarono Santa Vittoria Patrona regionale della Gioventù Femminile di Azione Cattolica. Questi vescovi, in turni stabiliti, guidarono al santuario del Matenano numerosi e devoti pellegrinaggi dalle loro diocesi. Al teatro comunale furono più volte rappresentati i drammi su “Santa Vittoria” del P. Musto S.I. e di Angelo Sebastiani, rievocanti la vita della Santa. Nella cripta fu rinnovato il pavimento e la balaustra di marmo.

NELLA DIOCESI DI FERMO

La diocesi di Fermo è antichissima, con vescovi nel III secolo, ed è molto importante fra le altre diocesi marchigiane, essendo sede metropolitana fin dal 1589. Nel medioevo i suoi confini avevano la stessa ampiezza della Marca Fermana, che si stendeva dal Potenza al Tronto, dai monti Sibillini al mare. In questi territori si rifugiarono i monaci farfensi alla fine del secolo IX, quando dovettero abbandonare la loro abazia per le invasioni dei Saraceni, e nel 934 l’abate Raffredo trasferì sul monastero del Matenano il miracoloso corpo di Santa Vittoria, perché fosse (come dice lo Schuster) “un vero focolare di liete idealità religiose per tutta la contrada picena……”. Infatti “Una aureola di santità e di religione recinse subito il nuovo castello del Matenano”.

Gli antichissimi documenti ci ricordano che già nel 967 nel territorio di Mogliano (MC) esisteva una chiesa dedicata a Santa Vittoria di cui ora permane il toponimo nella contrada omonima di Santa Vittoria. Sappiamo di certo che in contrada Castiglione di Fermo esisteva una chiesa dedicata a Santa Vittoria documentata fin dal 1047. Ora rimane il nome di Santa Vittoria dato a tutta la contrada ad ovest del cimitero di Porto San Giorgio. Ad Offida i Farfensi avevano dei possedimenti. Fra questi la chiesa di Santa Vittoria ricordata in un documento dell’abate Adenulfo (1125-1144) col quale costituì nel Piceno un patrimonio per i monaci di Farfa. Circa sessanta chiese passarono alla diretta amministrazione di Farfa.

IL CALENDARIO E L’UFFICIO

Il culto di Santa Vittoria, secondo i calendari farfensi, è commemorato nelle celebrazioni liturgiche della Messa e dell’Ufficio, al 23 dicembre, data della depositio; e al 20 giugno, data della traslazione dalla Sabina al Matenano. Il suo nome fu introdotto nel canone della Messa e nelle Litanie dei Santi. Risulta anche nel calendario, con propria officiatura, per tutta la diocesi di Fermo. Il Catalani, massimo storico fermano, pubblica un calendario liturgico dell’antica chiesa Fermana della prima metà del secolo XV in cui è segnata la festa di Santa Vittoria, al 23 dicembre. Ufficialmente questo culto nella diocesi di Fermo esisteva diffuso. Diversi avvenimenti ebbero risonanza anche nei rapporti religiosi e civili della diocesi di Fermo con la comunità religiosa del Matenano. In diverse circostanze, la forza militare di Santa Vittoria in Matenano portò aiuto al Rettore della Marca, rappresentante il governo centrale dello Stato Romano pontificio, e, per diretto intervento del Papa, la comunità del Matenano portò soccorso al vescovo di Fermo in particolari difficoltà economiche e spirituali. Rilievo storico acquista, in questo contesto, l’affermazione di mons. Perini arcivescovo di Fermo: “tutto ciò che si riferisce a Santa Vittoria è di grande importanza per la diocesi nostra”.

GLI AFFRESCHI EX-VOTO

Non possiamo fare a meno di ricordare gli affreschi quattrocenteschi che riproducono, in ex-voto, l’immagine di Santa Vittoria. A Patrignone, frazione di Montalto Marche, la figura di Santa Vittoria è riprodotta sul fianco destro dell’altare della chiesa di S. Maria de Viminatu, con bandiera crociata in una mano e la scritta gotica con il nome espresso di Santa Vittoria. Lo stile è conforme a tutta la vasta produzione pittorica esistente nella chiesa, che si fa risalire al 1458, attribuibile ad una scuola di pittura che aveva il suo centro sul Matenano, ove in quel tempo operavano tre pittori: Giacomo di Cola, Marino di Cola e Marino di Angelo. A Monte Leone di Fermo, nella chiesa di S. Maria della Misericordia, a mezzo chilometro dal centro abitato, troviamo un affresco che rappresenta Santa Vittoria col Vangelo in mano e la scritta: “S. Victoria”. L’anno che si legge scritto è 1543. A Magliano di Tenna, un affresco esistente in un’antica cappella della chiesa parrocchiale di S. Gregorio Magno, è un ex-voto che riproduce la Vergine col Bambino, con ai lati Santa Vittoria e S. Lucia. Santa Vittoria tiene la palma del martirio. L’opera si può far risalire alla fine del quattrocento. La parrocchia “ab immemorabili” possiede anche una piccola Reliquia di questa Santa, e ancor nel secolo XVII-XVIII una contrada del suo territorio era intitolata a Santa Vittoria. Questi dipinti restano come indubbia testimonianza della venerazione che Santa Vittoria riceveva presso le popolazioni del contado fermano.

ALTARI E RELIQUIE

Nel 1631 Urbano VIII promosse la riforma del Breviario e proibì la celebrazione di feste, fuori dalle chiese che ne portassero il titolo o ne possedessero reliquie insigni, specificamente in onore di quei santi che non erano notati nel calendario romano con ufficio proprio. Pertanto da quell’anno nel calendario diocesano il ricordo di Santa Vittoria fu limitato ai predetti luoghi. Ciò non impedì che il culto a Santa Vittoria si estendesse nella diocesi. Nel 1647 infatti, per la munificenza dei coniugi De Palmeriis, a Montefortino si costruiva la chiesa votiva detta della “Madonna del Fonte”, dedicata alla Beata Vergine “fonte perenne di grazie”. E’ a croce greca, con cupola e ornamenti di stile barocco e ricca di pitture e di quadri. Nella calotta della cappella di destra sono riprodotte cinque vergini e martiri: S. Lucia, S. Agata, Santa Vittoria, S. Apollonia e S. Caterina. Santa Vittoria è al centro: ha la palma in mano, la spada del martirio in petto, e il dragone incatenato ai piedi, ove corre la scritta riferita alla palma del martirio (tradotta): “O Vittoria che vinci la palma, ammaestra con la fede i tuoi”: per indicare la protezione della santa sui suoi devoti e l’augurio di vittoria contro il demonio. Ancora in territorio di Montefortino, nel celebre santuario di Maria Ss.ma dell’Ambro, carissimo a tutti i fedeli Fermani, troviamo un’altra immagine di Santa Vittoria, tra le tempere che ornano il primo altare a destra. Questo un tempo appartenne alla nobile famiglia dei Lamponi, che aveva ramificazioni a Montefortino e a Santa Vittoria in Matenano. L’altare fu abbellito nel secolo XVII dallo stesso pittore che aveva lavorato nella chiesa della Madonna del Fonte. Qui santa Vittoria è ancora rappresentata con il dragone ai piedi, ma nella destra ha l’aspersorio con l’acqua benedetta per l’esorcismo: è chiaro documento della devozione del tempo.

A Fermo nella chiesa di S. Zenone, una delle più antiche della città, tra il secolo XVI e XVII dalla famiglia Monti, oriunda in Santa Vittoria in Matenano, fu eretto un altare dedicato a Santa Vittoria, con alcuni obblighi di Messe. E’ nella navata di sinistra, il più vicino all’altare maggiore. Nella pala d’altare si vede Santa Vittoria in adorazione dell’Eucaristia, dipinta dal pittore ascolano Nicola Monti (1736-1795) che molto lavorò in diocesi; fra l’altro dipinse S. Anatolia a Petritoli e S. Teresa nella chiesa di S. Salvatore in Santa Vittoria in Matenano.

In questo stesso periodo, negli inventari della Visita pastorale del vescovo, troviamo annotata in vari luoghi l’esistenza di reliquie di Santa Vittoria: – a Monterubbiano presso la chiesa dei Letterati. -A Fermo, presso la casa dei religiosi Filippini. – A Palmiano nella chiesa parrocchiale di S. Michele arcangelo. Tra le persone più anziane di quella popolazione è viva ancora questa invocazione serale: Santa Vittoria mia beata \ da la palma inargentata  \  vieni Tu quando io muoio, \ non ci fa stare il brutt’uomo. – A Corridonia nella chiesa delle monache Clarisse, c’era un Osso custodito in cofanetto di legno dorato, che oggi è presso la chiesa prepositurale di Corridonia. – A Urbania (PS) nella cappellina dell’episcopio, ci sono reliquie insigni di Santa Vittoria..

L’antico Castel Durante ebbe la sorte di dare i natali a Papa Urbano VIII Barberini (1623-1644), e da lui originò il nome di Urbania. Durante dopo il suo pontificato tre Cardinali della famiglia Barberini: Francesco, Carlo e Francesco Ju. tennero ininterrottamente la commenda dell’abazia di Farfa per oltre un secolo (1627-1738). Molto probabilmente durante il loro governo, dal Matenano o da Farfa, l’insigne Reliquia passò ad Urbania: anche perché risulta che molto si adoperarono (particolarmente il primo) a valorizzare il monastero e la chiesa di Santa Vittoria in Matenano.

TRA I PATRONI DELLA CHIESA FERMANA

Nel 1747 il capitolo della collegiata di Santa Vittoria, insieme con la popolazione assistita, passò definitivamente al vescovo della diocesi fermana. Nel 1749 mons. Alessandro Borgia annoverò tra i santi Patroni della diocesi fermana anche Santa Vittoria, nobilmente raffigurata tra i santi che facevano corona alla Vergine Assunta in Cielo, nella tela realizzata dai pittori fermani Natale e Filippo Ricci, su bozzetto preparato dal celebre pittore romano Corrado Giaquinto (1699-1765) e posta nella tribuna del coro.

Nel 1784, su richiesta dell’arcivescovo di Fermo mons. Andrea Minnucci, il papa Pio VI concesse di nuovo che tutta la diocesi di Fermo, al 23 dicembre, celebrasse la festa di Santa Vittoria V. e M. con lezioni, inni ed orazioni proprie. Le stesse lezioni furono concesse alla diocesi di Bagnoregio nel 1792.

PATRONA DIOCESANA DELLA Gioventù Femminile di Azione Cattolica.

Dagli inizi della Gioventù Femminile di Azione Cattolica Italiana, si diede vita nelle parrocchie Fermane, a fiorenti gruppi femminili. La gioventù maschile aveva per motto: “Preghiera, azione, sacrificio”. La gioventù femminile esaltò tale programma in: “Eucarestia, apostolato, eroismo”. L’uno e l’altro sintetizzavano tutta la vita di Santa Vittoria, come noi la conosciamo. Quindi poteva essere additata come modello da imitare. Ed infatti i circoli femminili che sorsero a Palmiano, a Pacigliano di Corridonia, a San Girio di Potenza Picena, furono intitolati a Santa Vittoria.

Come già ricordato, il 20 giugno 1943 l’arcivescovo di Fermo Mons. N. Perini, dopo aver elevato la chiesa di Santa Vittoria alla dignità di Santuario, propose la gloriosa figura della santa a modello di tutte le giovani di Az. Cat. con queste parole che stralciamo dal decreto stesso:  “Prima discepola, poi maestra, prima gregaria, poi condottiera, sempre milite generosa di Cristo, Santa Vittoria è uno splendido modello per ogni giovane cristiana che voglia servire il Signore nelle file dell’A. C. Perciò noi abbiamo decretato di elevarla a Patrona speciale della Gioventù Femminile di Azione Cattolica della nostra Archidiocesi”.  L’avvenimento ebbe risonanza in tutta la vasta diocesi fermana. Il nome di Vittoria era di buon auspicio per chi lotta per la virtù, anche per i combattenti, durante la guerra.

Nel frattempo il ben noto pittore Ciro Pavisa ritraeva questa Santa nell’abside della rinnovata chiesa di San Girio di Potenza Picena. Il pittore Giuseppe Toscani componeva il polittico nella chiesa di S. Maria della Carcera. Tra le sante più venerate in diocesi egli considerava Santa Vittoria, di cui era devoto; e ha preparato il grande telone di gloria per la proclamazione di Santa Vittoria a Patrona della Giov. Femm., esposto nell’abside della maestosa chiesa collegiata del Matenano.

PATRONA REGIONALE della Giov. Femm. di Az. Catt.

Infine il Priore Filomeni, sull’ala del successo e dell’entusiasmo, per celebrare in modo superlativo il XVIII centenario del martirio, propose all’Episcopato Marchigiano di proclamare Santa Vittoria Patrona Regionale della Giov. Femm. di Az. Cat. Il Presidente della Conferenza Episcopale Marchigiana, Mons. N. Perini, l’8 maggio 1950 così scriveva al Priore: “Con viva gioia ti comunichiamo che l’umile tua supplica perché Santa Vittoria V. e M. Romana fosse proclamata Patrona Regionale della G. F. di A. C. è stata accolta dalla Conferenza degli Arcivescovi e Vescovi delle Marche nella tornata del 30 u.s.

   Ne siamo lieti sia perché ciò riuscirà a lustro e decoro della nobile Terra Matenana, che già in altri secoli fu tanto benemerita del Fermano e del Piceno tutto, per luce di civiltà e vivezza di fede; sia perché si accrescerà il culto a questa nostra Santa, ben degna di stare accanto alle Vergini e Martiri di ogni secolo… e sia perché pensiamo che la gioventù femminile avrà la protezione, l’esempio vivo di una santa…. che sentì il fascino dell’apostolato e fu vera presidente ideale di un’associazione giovanile”.

In occasione delle celebrazioni centenarie furono promossi tanti incontri formativi sul Matenano e tanti pellegrinaggi, per cui da ogni parrocchia della diocesi Fermana e di altre delle Marche,  molte giovani accorsero festanti al santuario della loro Patrona. Quasi tutti i vescovi delle Marche celebrarono qui la s. Messa pontificale, in una domenica dell’anno centenario, dinanzi alla venerata immagine esposta con solenne superbo addobbo allestito dal pittore Toscani sopra l’altare maggiore e si prostrarono in preghiera presso il sarcofago nella cripta sottostante.

Prima di chiudere questa parte del capitolo è doveroso notare che nel calendario diocesano, a seguito della riforma liturgica post-conciliare, la festa di Santa Vittoria si fa al 20 giugno, e come solennità sul Matenano.

LE RELIQUIE TRASFERITE SUL COLLE MATENANO

L’Abate di Farfa prelevò l’urna delle reliquie della santa per trasferirla da Trebula Mutuesca, oggi Monteleone in Sabina, portandola sul colle Matenano. Presso “Fonte del Latte” il corteo fu accresciuto dai fedeli locali. Presso l’urna un mistico fervore religioso esplodeva in canti di osanna e di ringraziamento. Lo stesso nome di Vittoria è presagio di tempi migliori e auspicio di gloria imperitura per tutti.  Giunti in vetta al Matenano l’urna marmorea veniva devotamente sistemata sopra quattro colonnine di pietra, nella grande torre quadrangolare edificata da Pietro. “Santuario venerato dalle turbe dei devoti, un vero focolare di liete idealità religiose per tutta la contrada Picena”.

   Una pittura rappresentava il miracolo della Fonte del latte, che scaturì prodigiosamente un miglio lungi dalla nostra terra, in occasione della detta traslazione. Un’atra pittura rappresentava il paese di Trebula – ora Monteleone di Sabina – liberato dal dragone, come ora è scolpito sulla parte superiore dell’Arca.

ALTRE NOTIZIE SUL SARCOFAGO

Nella cripta della nuova chiesa collegiata, sotto l’altare maggiore fu ricavata un elegante oratorio, a cui si accede per due gradinate di marmo. È a tre navate. L’altare è costruito con preziosi marmi policromi: al centro d’una piccola abside, fu sistemato il sarcofago di Santa Vittoria, ben elevato, sicché può essere ben visto da ogni parte della cripta. E’ di travertino tiburtino (Tivoli presso Roma), e nello stile si rifà alla prima arte del Donatello. Il devoto visitatore nota che il sarcofago ha il coperchio  in marmo di forma di arca piramidale. Eccone una descrizione: “Ha la base con cornice all’intorno, nei cui angoli e nelle facciate sono scolpiti alcuni serafini con ali spiegate, frammisti a festoncini di acanto. Nella parte superiore presenta le due facciate più lunghe riunite ad angolo, il cui vertice è orlato da un festone di acanto, che scende fino agli angoli al modo di bordo. Nella facciata anteriore è scolpito ”Il martirio della santa, e nella posteriore è ritratto “Il castello di Trebula liberato dal dragone”. In una delle laterali la “Croce quadrata gigliata”, e nell’altra “Il Nazareno” [Cristo emergente dal sepolcro].

In una lettera firmata da dodici cardinali il 10 dicembre 1507 essi dichiarano di desiderare che la chiesa di Santa Vittoria, frequentata dai fedeli, sia pertanto riparata, arricchita di libri, calici, luminarie, ornamenti e di quanto necessario al decoroso culto divino. Furono spesi duecento ducati d’oro !

RELIQUIARI MOBILI

Nella revisione del 1889 furono prelevate alcune importanti reliquie, che documenti posteriori ci dicono trasferite a Urbania, Corridonia, Monterubbiano e altrove, o esposte alla pubblica venerazione sul Matenano.

Attualmente sul Matenano, nelle due solenni feste di Santa Vittoria, al 23 dicembre (deposizione) e al 20 giugno (traslazione), si espongono quattro reliquiari. Il primo è costituito da una statuina d’argento, riproducente la santa con la spada al petto, la palma in mano e il dragone ai piedi. Fu fatta costruire dal canonico Luigi Gualtieri (1755-1764). Ora vi sono conservati due denti, prelevati dal sarcofago nella ricognizione del 1889. I frammenti del pugnale del martirio furono riposti in un reliquiario a forma di pugnale già costruito ad Ascoli nel 1621.

Nelle due credenze a fianco del sarcofago, due quadri: in uno sono conservati i teli di seta color caffè del secolo XVI “che erano sul corpo di santa Vittoria”. Nell’altro quadro è custodito l’altro telo bianco, con tre fasce nere, larghe, alternate a linee bianche e cordoncino nero, nel quale erano avvolte le reliquie prima del sec. XVI.

Chi sosta presso il sarcofago di Santa Vittoria nota anche una quantità di perforazioni coniche irregolarmente scavate nella pietra, base del sarcofago stesso, sorretta da quattro colonne. Sono tutte prodotte dal prelevare polveri da quella pietra e usarne nel chieder grazie e protezione alla santa nei momenti di bisogno.

La devozione alla santa, con la maggior istruzione diffusa ai nostri tempi, dispone l’anima a più spedite elevazioni verso il soprannaturale.

********************** Digitazione di Albino Vesprini

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