Maria Eletta Sani nel monastero di Falerone 1753 Diario epistolare cc. 260- 261

SANI Maria Eletta cc. 260- 261 13 luglio<1753>
Viva Gesù e Maria
A gloria di voi, mio Dio, scrivo per l’obbedienza del vostro Ministro.
All’11 del corrente, la mattina, nell’orazione e dopo, la Comunione mi sentivo tirato lo spirito alle grandezze di Maria SS.ma, che dovessi unirmi con gli Angeli e rallegrarmi nella di lei dignità e potenza e bellezza e tutte le altre doti che Lei racchiude. Intendevo come i Serafini ed i Comprensori restano ammirati in vedere la loro Regina in sì alto trono alla destra del suo Unigenito divin Figliolo, arricchita di somma sapienza. Oh, quanto è grande Maria! Oh, quanto può Maria! Altro non so spiegare con la lingua.
Non manca il demonio oppure la mia pessima inclinazione: mi ven(gono) certe malinconie come di essere pentita di essermi fatta monaca in questo monastero. Se alle volte poi si dà l’occasione di fare io qualche opera per il meglio e per più vantaggio della Religione, la superiora con le altre monache sono state contente e mi dimostravano piacere e poi la Badessa si rivolta con facilità e poco mi dimostra di averlo a genio. Allora mi dà qualche fastidio perché io l’ho fatto con il loro consenso e genio, e poi mi si rivolta. Mi fa qualche specie e più volte ho detto: “La Madre Badessa è mille volte tanto buona che ognuno la muove e la rivolta come vuole”. Nel mio interno poi resto ammirata della grande bontà (al) vedere sì poca economia. Vive sì alla buona che io non ho mai veduto, né sentito sì poco governare e dirigere monasteri. Mi fa qualche specie. Bensì dico che non tocca a me, non è mio pensiero. Ma tanto nel mio interno ce lo conosco, e non so se questo per me sia difetto.
Quando vado in coro ché ho da fare orazione, mi metto alla presenza di Dio e gli dico: “Signore, io rea di mille inferni e perciò mi riconosco di non essere degna di star alla presenza vostra. Non vi chiedo consolazione, ma solo di fare la vostra SS.ma Volontà, perché così volete, che io stia qui”. Oh, mi accade alle volte che solo mi ritrovo con la cognizione di me stessa: sola. Mi pare di essere abbandonata da Dio e temo che io lo abbia meritato perché non osservavo ciò che dicevo: di farmi santa con l’entrare in monastero, di mutare vita e di darmi tutta a Dio. Ben mi avvedo che vado scemando nella vita dello Spirito. Mi trovo piena di confusione. Non so se sia tentazione. Non mi pare di poter fare passo nella via di Dio perché mi trovo legata. E poi sento di alcune religiose, che, se potessero uscire, lo farebbero.
La vita comune è bella e buona, ma qui vi sono certi usi e regolamenti che, la V. R. li sentisse, non so se gli capaciterebbero, ché teng(ono) legata e inquieta la Religiosa. Ma ci vuole pazienza. Bisognerebbe che vi fosse una Superiora che avesse testa e petto, unita con il Superiore rinnovasse dirigimento in tutte le cose, per far vivere con quiete la monastica. Più volte mi viene in mente l’impulso che Dio mi dava di farmi Religiosa, in un luogo di vita o tutta stretta o tutta larga, perché le vite strette si vivono con buoni regolamenti: sia benedetto Dio che ha voluto così, perciò sempre direi a qualunque persona che si volesse fare monaca: “Provate bene la Religione e starci, perché in poco tempo non accad(a) ciò che accade con più tempo, perché così è accaduto a me”.
Questo io lo dico per far(gli) capire come mi trovo: per altro mi rivolgo verso Dio e lo ringrazio perché credo che sia stata volontà sua: questo mi consola e mi ap(pag)a. Questi giorni non ho potuto scrivere perché la M. Badessa mi ha tenuta occupata e perciò non ho scritto: non ho avuto tempo. Questo che io gli ho scritto non si creda che sia solo mio sentimento; ma se V. R sentisse il Confessore il quale con me ha fatto vari lamenti e dice che lui è tanti anni che confessa le monache e non ha trovato Monastero sì male regolato. Essendo io novizia, non devo entrarci, ma mi fa pena, ché di svantaggio delle anime; essendo vita comune di potrebbe vivere e fare passi veloci alla via dello Spirito. Ho questa intenzione, se Dio mi darà vita dopo fatta la professione, di prendere licenza dalla Badessa e in un luogo disparte, la mattina chiamare le converse e leggergli un punto di meditazione e far fare un po’ di meditazione acciò il giorno si portino con più carità ed unione tra loro. Mi sento vari impulsi, ma mi ritengo, perché son tanto miserabile he non ho spirito di amore.
Accade a qualche monaca, che io per obbedienza del Confessore volle che l’aiutassi, alcune monache hanno fatto ricorso alla Badessa acciò io non ci parli tanto spesso, e siccome altro tempo non avevo di parlarci che alla ricreazione e la Badessa me lo proibì, ma io le dissi: “A me basta di sapere il suo genio, M. Badessa, che se lei non vuole, a me fa servizio, perché io non lo f(acci)o per genio, né attacco; solo per obbedienza”. La detta Badessa mi rispose che qualche volta sì, ma di rado. Il Confessore e io abbiamo capito che questa sia stata un’opera del demonio perché la povera religiosa è combattuta fieramente dal demonio, e io con sentirla tante volte ci ho capito che questa religiosa ha dato consenso tacito al demonio e lo dissi con il Confessore e lui me l’ha confermato, onde si figuri se il demonio si adoperi acciò lasci di parlare con me, perché la vorrei libera da questo infernale nemico. A me causò qualche inquietudine perché una monaca mi disse cose grandi: che io ne sarei andata di sotto per le anime; che questa era una amicizia che il demonio ci avrebbe portato il guadagno. Io le risposi: “Non credo che Dio voglia permettere che si aggravi l’anima mia con averlo fatto per obbedienza”; bensì mi inquieto internamente; ma il Confessore mi disse: “Quietatevi perché l’avete fatto per obbedienza”. Desidero anche meglio il suo sentimento in questo. <…..>, sia la V.R. che l’Angelina di pregare il Signore per me (…. che mi) dia un vero amore o mi levi da questa vita (….) così non posso vivere questa lontananza da Dio (….) per me è un martirio insoffribile e un fuoco di … (marti)rio: mi credo che con venire avanti di unirmi (…. più) con Dio; ma ora vado esclamando:” Mio Dio dove state, sì lontano da me?”. Temo di essere abbandonata da Dio perché mi trovo sola, sola, ché la cognizione di me stessa (…) mi spaventa.
Intorno a ciò che mi richiede: lo sputo di sangue è spesso e quasi ogni giorno; ma non è sempre di quantità: ora è poco e altre volte è assai. Adesso mi ci si è aggiunto un catarro di petto che la notte mi conviene di stare a sedere a letto che mi fa prova di affogarmi. La sanità va scemando assai: il mio corpo per me è una croce. Non ho membro che non mi dolga; con tutto ciò che le monache mi ved(ono) che perdo la sanità, non è possibile che mi mandino via, ora. Di questo ne può star quieto, sia V. R che io. Circa del mangiare carne: la vado mangiando sempre, bensì mangio quello che meno mi fa nausea. Mi viene scrupolo che io avevo mangiato certo prosciutto con ansietà: ma a gusto non mi piacque, e così mi accade in tutto. Mi pare di averne desiderio di mangiarlo e poi non ci sento gusto e dopo mi causa nausea allo stomaco. Me ne confesso ed il Confessore mi ha ordinato che mangi pure tutto quello che meno mi fa nausea: sia di una sorte o di un’altra. “La carne la mangi pure” ché lui mi ci dava la benedizione. Se a casa non pativo per mangiare avevo più sanità; mentre da che sono entrata ho fatto un gran calo, e le dico che le monache, benché mi vedono debole e di poca salute, paventerebbero di sentire se io volessi uscire. Del canto, poi, adesso non è possibile mentre mi trovo priva di voce: neppure posso parlare. Ho persa la voce con questo catarro di petto e di gola: dopo che sarò guarita lo dirò al Confessore e farò tutto circa il domandare le grazie e le virtù. Ora che lei mi dice così, lo chiederò con quella indifferenza che si deve.
Le Comunioni e l’Orazione (sono) state al solito, come altre volte le ho scritto e perciò non ritorno a replicarle. Vi è la Maestra di quando ero educanda che sempre mi burla col dirmi che se mi facevo cappuccina: che avrei fatto con così poca salute? Ma lo dice per burlarmi. Oggi che sono restata qui ne sono contenta e me ringrazio Dio: per carità preghi il Signore che mia dia l’amore o la morte. E per fine gli richiedo la santa Benedizione.
Al Molto rev.do Padre padrone colendissimo – Il Padre Giacinto Aloisi della Compagnia di Gesù – Perugia per Borgo San Sepolcro.

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