Maria Eletta Sani nel monastero di Falerone 1753 Diario epistolare cc. 268- 269

SANI Maria Eletta cc. 268- 269 27 Agosto <1753>
Viva Gesù e Maria
A gloria di voi, mio Dio, scrivo e per obbedienza del vostro Ministro.
… Agosto: mi trovai qualche poco agitata, mi sentivo una stranezza che tutto mi dava pena: se questa stranezza venisse dal sentirmi poco bene, ché ancora mi seguita la tosse e tanto cattiva che, se mi piglia dopo che ho mangiato, mi fa gettare fuori il cibo la veemenza della tosse, benché per obbedienza ci ho prese varie cose; non mi giovano. Ma il dolore (che) più mi dà fastidio è il dolore del cuore, perché la forza della tosse mi sconvolge tutto il petto e naturalmente per conseguenza mi causa maggiore dolore nella parte infetta. (A) volte, mi sento tanto male che mi fa preparare alla morte, pensando che così non si può avere lunga vita. Perciò quando penso ai miei peccati, ché meritavo l’inferno, mi pare che questa sia grazia di Dio di farmi patire questo poco e allora ne provo contento.
Avvicinandosi il tempo per fare la professione, siccome si deve imparare certe cose e leggere la Professione, io già le vado leggendo e, quando so che a quelle parola di consacrarmi tutta al Signore con i solenni Voti e Regola, mi fa una contentezza interna che fa prova di balzare il cuore per il contento che provo nel fondo dello spirito. La nostra Regola già la V. R. la saprà perché io gliene ho dette varie cose e, se non vi fossero queste differenze del mangiar carne e di portare camicie di lino e di non alzarsi la notte, sarebbe la stessa regola delle Cappuccine. Ora già gli ho detto quello che provo nello spirito, ora gli dico che (a) volte provo angustie e malinconie e pene che mi viene in bocca di dire: “Oh! Chi mi ha condotto in questo luogo sì an(gusto), priva di libertà, senza poter donare una spilla, né padrona neppure di quella tonica che si porta indosso?” Sento difficoltà di accomodarmi a portare le camicie ed altra biancheria della comunità, per essere cose di comunità si fanno agli usi loro. Mi mettono pensiero gli obblighi, la continua mortificazione della propria volontà, ché questo l’abbiamo stampato nella Regola. Insomma dò una guardata allo stato (cui) mi accingo e di guardare me stessa piena di difetti e di attacco alla propria volontà: ohimé! sempre dico che se io fossi stata assodata nella virtù, nella mortificazione, ora non proverei simile difficoltà.”
E poi dico: “Chi si vuole fidare di me, se io prima che entrassi in monastero volevo farmi santa e poi, ora che sarei in un luogo assai comodo, mi sento assai fredda e di diverso sentimento?” Vado avanti al Santissimo e lo supplico che io non richiedo consolazione, ma solo saperlo amare e lodare e benedirlo. Questo solo vorrei e richiedo e più volte dico: “Signore, vorrei il vostro Amore e vorrei essere io come siete voi, Dio; ma poi io vorrei essere ‘io e voi’ ma per amarvi. Ohimé, vivere senza la Vita non si può vivere!”
Io mi trovo, al solito, lontana da Dio e sola nella cognizione delle mie miserie. Già si va avvicinando la mia professione. Preghi e faccia pregare per me. Se io non ho da servire Dio con quella perfezione che richiede una serva e sposa del Signore, meglio è che muoia adesso, prima che venga in tale stato di serva e sposa infedele. Se il Signore vorrà per sua bontà, è facile che, se può, venga il P. Bianchi a darci i santi Esercizi e allora forse spero (di) avere qualche poco di aiuto. Se V. R. mi darà licenza (di) poterci parlare e dirgli tutti i miei difetti e ingratitudini, perché sempre si dice: “Meglio a voce che per lettera”; perché io vedo che (a) V. R. ho scritto il tutto, ma quella voce sensibile fa molto. (Ed) io chissà come sto, perché il Confessore nostro, lei lo può capire. Onde il demonio non manca di tanto in tanto di travagliar(mi). Una di queste notti passate, venne a (di)sturbarmi a letto contro la purità, ma poco mi diede fastidio perché non può più (per) riguardo alla SS.ma Vergine. Ma mi fece apprendere (=temere) molto i quattro voti che sarò per fare, con impaurirmi e timore di salvarmi. Ma poi mi svanì ogni timore e paura: mi aiuto con i precetti.
Una cosa le vorrei dire, che l’essermi impicciata con quella religiosa mi è servito di qualche inquietudine. Vero è che io dico: “Signore, voi me l’avete fatto fare dall’obbedienza”. La Madre Badessa pareva mi mostrasse poco genio di trattare più ancora con questa religiosa. Ma il Confessore sta forte e pertinace e vuole che io ci parli e l’aiuti; ma io vedevo che poco frutto fa il mio parlare. Gli dissi che io volevo la mia quiete e che questa religiosa era vissuta tanti anni senza me e perciò poteva vivere anche adesso, e che io volevo attendere a me stessa, avendone bisogno, di essere io istruita ed esortate al Bene più che ogni altra creatura; ma al Confessore non gli giova niente: vuole così e la superiora mi mostra poco genio, perciò desidero che mi ci raccomandi al Signore, come io devo conoscere la Sua SS.ma Volontà. Quella povera religiosa è tentata assai e mi arrivò a dire che (al pensare di stare nello stesso monastero con me, gli veniva desiderio di usci)re e volentieri: se pote(va), sarebbe uscita per l’avversione che ha contro di me, e poi altre cose. Io (le) dissi: “Sorella mia, io male non vi f(acci)o e non vi ho fatto, se Dio e l’obbedienza del Confessore mi ha comandato di aiutar(vi). Ma vedo che il mio parlare non vi giova. Vedete di starvene in pace, senza questa comunicazione con me. Le mie imperfezioni saranno la causa che non vi giova, ciò che tante volte vi ho detto”. Domando la santa Benedizione.

(Ceralacca e indirizzo) Al Molto Rev.do Padre padrone col.mo – Il Padre Giacinto Aloisi della Compagnia di Gesù – Perugia per Città San Sepolcro.

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