NUOVE ELEZIONI NUOVE NORME A VENEZIA PER IL DOGE NEL 1268 Notizie storiche di Gabriele Nepi

Lo storiografo NEPI Gabriele ha esplorato ‘Una complicata riforma elettorale’
In Italia, dopo varata la riforma elettorale, si sentono nell’aria i lamenti (…). Anche nel lontano 1268 si era verifica una riforma elettorale per l’elezione del doge ed il primo ad essere eletto col nuovo sistema fu un podestà di Fermo: Lorenzo Tiepolo, assunto alla suprema carica della Serenissima, mentre era ancora alle prese con le mansioni podestarili di Fermo e del suo vasto territorio. Allora, diversamente da adesso, i podestà duravano in carica solo un anno. Potevano però essere rieletti, come avvenne per Ranieri Zeno, che fu due volte podestà di Fermo e poi fu doge di Venezi, prima di Tiepolo. Anzi, in quel periodo, il 45° ed il 46° doge, rispettivamente Zeno e Tiepolo, erano stati podestà di Fermo. Morto Ranier Zeno (1268), venne varata la riforma elettorale che durò fino alla caduta della Repubblica di Venezia (1797).
Consisteva in una complessa votazione. Il consigliere più giovane scendeva nella Basilica di S. Marco e prendeva un bambino (8/10 anni) detto “ballottino” per estrarre le “ballotte” per le votazioni. Queste erano tante quante erano i membri del Maggior Consiglio, ma solo trenta di esse contenevano il famoso bigliettino con la scritta “Elettore”. Il ‘ballottino’, bendato, estraeva le ‘ballotte’ da un cappello di panno, che fungeva da urna e la passava ai membri del maggior Consiglio che sfilavano davanti a lui. I trenta estratti, dovevano appartenere a famiglie diverse, senza legami di parentela. I non estratti, abbandonavano l’aula. Una volta rimasti in trenta, c’era un’altra votazione con lo stesso sistema del ballottaggio fino a rimanere in nove; questi avevano l’incarico di votare i 40 membri del Maggior Consiglio. I primi quattro sceglievano cinque nomi ciascuno. Per essere eletti occorrevano 7 voti. Con i quaranta si tornava ancora all’estrazione per eleggerne 25 che, sempre sorteggiati, erano ridotti poi a 9, incaricati a loro volta di altre complesse operazioni. Il doge neo- eletto doveva avere non meno di 25 voti. Complicatissima procedura, come si vede, che mirava a eliminare “partitocrazia” e “clientelismo”.
Una volta eletto, Lorenzo Tiepolo, che aveva nostalgia di Fermo (tra l’altro fece costruire la famosa Rocca a Porto S. Giorgio chiamata appunto Rocca Tiepolo) scrive ai Fermani dando notizia, in latino, della sua elezione. Sentiamolo:
“Lorenzo Tiepolo, per grazia di Dio, Doge di Venezia, della Dalmazia, della Croazia, Signore della quarta parte e mezzo dell’Impero Romano d’Oriente, al podestà, Comune e Consiglio di Fermo, suoi diletti amici, salute ed affetto”. Spiega poi che, sebbene senza suo merito, ma per volontà del Creatore da cui tutto dipende, era stato eletto doge, a seguito di una elezione condotta con un nuovo sistema. Comunicata tale notizia al popolo, questo esultante, con grida di giubilo e mani levate verso il cielo, ringraziò Dio, entusiasta dell’elezione.
La lettera prosegue dicendo che vi fu un momento di esitazione nell’accettare, ma poi confidando nella protezione del protettore di Venezia, S. Marco apostolo ed evangelista, la carica fu accettata. Tiepolo si rivolge ora ai Fermani suoi ex-amministrati, sia per chiedere preghiere perché insieme con lui si faccia gaudio, si ringrazi Iddio e si implori di governare la Repubblica di Venezia in tranquillità e pace. La lettera fu spedita dopo 14 giorni dall’elezione; il ritardo era dovuto al fatto che non era pronto il sigillo di piombo della bolla.
TRADUZIONE DAL LATINO DELL’INTERA BOLLA che in data 1268 agosto 6 Tiepolo Lorenzo doge di Venezia scrive ai Fermani
Lorenzo Tiepolo per grazia divina doge della Venezia, della Dalmazia e Croazia, signore di un quarto e mezzo della Romània, ai diletti amici suoi: il sapiente nobiluomo potestà di Fermo, il Consiglio di questa città e il Comune, salute e affetto di dilezione. Benché non sia provenuto dalla mia fortezza o prudenza, ma soltanto dalla volontà e clemenza del Creatore, nelle cui mani e potere tutte le cose consistono, abbiamo pensato bene di dover annunciare alla vostra sapienza con la presente lettera che a seguito del recente ordinamento per l’elezione di un nuovo doge, secondo la prassi dei Veneti, da celebrarsi nel nome di Cristo e nel luogo costituito con appositi lettori, in questa occasione, dopo espresse le loro volontà, secondo l’uso praticato in ciò, mi hanno eletto concordemente a doge dei Veneti, avendo voluto far convergere, come piacque all’Altissimo, i loro voti e le loro voci su di me. Dopo annunciata, secondo la solita prassi, tale elezione al popolo, accettando sollecitamente questa elezione, hanno offerto magnificamente lodi e grazie al Signore con le mani e con le voci elevate al cielo. Quando ho udito queste cose mi sono in qualche modo commosso e conoscendo i miei limiti in così grande culmine di dignità, nella mia mente è scesa una scintilla di qualche esitazione. Ma fiducioso maggiormente nella misericordia di Colui per opera del quale regnano i re ed i principi ottengono il principato, inoltre nella grazia del beatissimo apostolo ed evangelista Marco nostro governatore, ho accettato questa elezione e ho assunto il carico di sì grande regime a me presentato, mettendo piena speranza che lodevolmente completerà i miei limiti lo stesso Signore dal quale procedono tutti i beni e che ha voluto che avvenisse per me questa elezione, ad opera dell’intercessione del santo evangelista. Nell’interno della mia mente l’ufficio di così grande dignità è annesso inseparabilmente alla gloria del suo santissimo Nome e della sua gloriosa Vergine Madre, inoltre di Santo Marco apostolo ed evangelista patrono e governatore dei Veneti e con il favore della divina Grazia esercitare per quanto posso verso lo Stato e il progresso del Dogato, di voi e degli altri amici, ho pensato di dover rivolgere alla vostra nobiltà e chiedere che convenientemente insieme con me condividiate il gaudio e rivolgiate le vostre orazioni e voi al Creatore di tutti, affinché io possa governare il Dogato dei Veneti nello stato di pace e di quiete. Ho differito l’invio di questa lettera perché non era stata completata in tutto con la mia bolla di piombo. Data nel palazzo del doge giorno 6 del mese di agosto, undicesima indizione.
Nota la traduzione di ‘noi=io’

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