MIOLA GABRIELE BIBLISTA A FERMO spiega il matrimonio in Efesini, 5: mistero cristiano

“QUESTO MISTERO È GRANDE” : IL MATRIMONIO IN EF 5,21-33

MIOLA Gabriele biblista a Fermo

Ed. in “Firmana” nn.12\13 anno 1996 pp. 77-90 <qui note al termine del testo traduzione Bibbia CEI 2008>

La prima generazione cristiana è tutta centrata sull’annuncio del vangelo della salvezza in Gesù di Nazareth, per la sua morte e risurrezione, “costituito Signore e Cristo” (At 2,36),“capo e salvatore” (5,31), al di fuori del quale, “in nessun altro c’è salvezza” (4,12), e non è preoccupata di portare nuove leggi e codici etici. Ma già con Paolo e poi soprattutto alla fine del primo secolo i cristiani sentono la necessità di darsi delle regole di vita, dei codici morali che regolino i diversi aspetti del quotidiano. Non potevano riferirsi direttamente a regole date da Gesù, perché non pare che Gesù abbia avuto la preoccupazione di dettare leggi e precetti, quanto piuttosto di indicare delle mete, delle linee di tensione da cui far scaturire comportamenti nuovi e creativi.

Gesù ha riassunto tutta la legge e l’insegnamento dei profeti in due comandamenti: ”Il primo è: … amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore… Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come Te stesso…” (Mc 12,30-34 e paralleli); in Mt Gesù precisa che il secondo simile al primo (cfr. Mt 22,39), in Lc Gesù, stimolato dalla domanda dello scriba, chiarisce il concetto di prossimo con la parabola del Samaritano indicando nel prossimo chiunque può aver bisogno di un aiuto, chiunque esso sia per il semplice fatto che chi è bisognoso è uomo e quindi figlio di Dio. Con la parabola del buon Samaritano Gesù supera l’interpretazione delle scuole rabbiniche di Lev 19,18 sul prossimo inteso come “il connazionale” per dargli una prospettiva universalistica. E questo un ammaestramento nuovo che ha caratterizzato la prima generazione cristiana tanto che S. Paolo lo riprende più volte nelle sue lettere (cfr. Rom 12,8-10; Gal 5,14). Spesso il discorso del Mente di Matteo 5-7 è stato chiamato la nuova legge, ma più che di leggi e precetti si tratta di atteggiamenti interiori, che debbono trasformare la vita dall’interno in modo tale quasi da non aver più bisogno di una legge che determini singoli atti (nota1).

Per quanto riguarda il matrimonio Gesù, provocato dalla domanda dei farisei, ha ripristinato il disegno di Dio sul matrimonio così come era nel piano della creazione: “l’uomo lascerà suo padre e sua madre, si unirà a sua moglie e i due saranno un’unica carne” (Gen 2,24) e nello stesso tempo abroga la legge di Dt 24,1 sul divorzio perché Mosè l’aveva data a causa della durezza del cuore del suo popolo (Mt 19,2-9). Ma Gesù non dà codici di comportamento o precetti da osservare nella vita coniugale, indica solo la volontà di Dio sull’unità del matrimonio. Da questa prospettiva di Gesù sul matrimonio Paolo aveva tirato alcune conclusioni pratiche per i cristiani di Corinto sia per quanto riguarda la vita matrimoniale sia per quanto riguarda l’unità del matrimonio, che deve essere sempre salvaguardata anche nel caso di impossibilità di convivenza della coppia. Paolo infatti, che pur conosceva bene tutta la casistica delle scuole rabbiniche in quanto cresciuto alla scuola di rabbi Gamaliele (n2), in caso di impossibilità a vivere insieme consiglia ai coniugi la separazione, ma non il divorzio (1 Cor 7,3-5.10-11) (n3).

Ma nelle lettere più tardive del Nuovo Testamento, lettera ai. Colossesi, agli Efesini ed al tre (n4), troviamo dei veri e propri codici familiari di comportamento con indicazioni che riguardano la vita dei coniugi, dei figli, degli schiavi, il comportamento verso, le autorità e le leggi sociali. E’ una parenesi che si va sviluppando per la vita delle famiglie nelle comunità cristiane contornate dal mondo di cultura greco-romana.

Il brano che ci interessa di Ef 5,21-33 sul matrimonio fa parte di un codice più ampio che riguarda il comportamento dei membri di una casa ove si trovano a vivere genitori, figli, domestici, schiavi in un contesto sociale più largo. Troviamo codici familiari simili anche in Col 3,18-4,1; 1 Pt 2,11-3,75 (n5).

Prima di analizzare Ef 5,21-33 diamo uno sguardo alla situazione del matrimonio nel I sec. dell’era cristiana nel cui contesto sono state scritte le lettere agli Efesini, ai Colossesi e la 1 Pietro.

1.IL MATRIMONIO NEL I SECOLO DELL’ERA CRISTIANA

Il matrimonio è un’istituzione fondamentale della vita della società e quindi in tutte le culture circondata sempre da un alone di dignità e di sacralità. In rapporto al matrimonio si pone poi la vita della donna nella famiglia, la vita e l’educazione dei figli, la visione della sessualità. Uomo, donna, sesso, figli, famiglia sono aspetti strettamente congiunti ma anche separati. In tutte le culture il matrimonio è un momento solenne circondato da riti e feste perché è legato al fatto sociale per molteplici aspetti: la generazione e la crescita della società, le famiglie e i patrimoni di beni immobili, l’amministrazione pubblica ecc. La sessualità è vissuta all’interno del matrimonio, ma anche slegata da esso sebbene, anche in questi casi, il giudizio di valore sottende il rap-porto alla coppia e alla famiglia.

Nel mondo greco il matrimonio è un fatto religioso “cerimonia compiuta presso l’altare domestico dinanzi alla vista degli dei della nuova famiglia” (n6); il matrimonio e’ monogamico, ma reso ampiamente instabile dalla pratica comunissima del divorzio, quale diritto del marito che poteva sempre ripudiare la moglie senza appellarsi a validi motivi. Il matrimonio è combinato per i giovani dai loro genitori, ma questo non toglie che specialmente il ragazzo non avesse una certa possibilità di scelta della sua futura moglie. La situazione della donna è di “grande inferiorità rispetto al marito e al padre dei suoi figli, restandogli sottomessa e sotto tutela, come rimane sottomessa, alla morte del marito, ai fratelli e ai parenti di lui” (n7). Questi matrimoni “combinati soprattutto in vista della procreazione, non erano quasi mai molto fecondi, sia perché il marito trovava facilmente soddisfacimenti al suo istinto sessuale fuori del matrimonio, sia perché, per povertà o per egoismo, si temeva di avere troppe bocche da sfamare” (n8). L’adulterio era moralmente condannabile, oggetto di risa e di lazzi per gli intrighi con cui era accompagnato, ma anche ampiamente tollerato; i figli erano accolti ed educati, ma spesso anche esposti: “l’esposizione, vale a dire l’abbandono del neonato dentro un vaso o una marmitta di argilla in un luogo deserto, senza alcun nutrimento, e così pure l’aborto, erano, pratiche correnti ammesse dalla legge e dal costume” (n9). Molto diffusa era la prostituzione sacra legata ai santuari di Afrodite, la dea dell’amore. Celebre era il tempio di Venere pandemos, cioè popolare, a Corinto, dove c’erano più di mille ierodule (n10) pronte a servire i frequentatori. Fenomeno legato alle classi più alte era quello delle etere, cioè compagne o concubine, che mascherava una forma di poligamia, tollerata dalle stesse mogli legittime. Diffusa era anche l’omosessualità e la pedofilia. Si può dire che il matrimonio e la famiglia nella cultura greco-ellenistica hanno una alta considerazione istituzionale, ma di fatto il costume e i valori morali praticati sono molto lontani da quelli ideali. La reazione cristiana di fronte ad un mondo che porta i segni della dissoluzione è stata netta fin dall’inizio; basta leggere la 1 Cor in cui le parole di Paolo sono forti: “Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adùlteri, né depravati, né sodomiti, … né ubriaconi …. erediteranno il regno di Dio.” (6,9s) e poco più avanti dinanzi al caso di fornicazione verificatosi nella comunità di Corinto afferma: “State lontani dall’impurità! Qualsiasi peccato l’uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà all’impurità, pecca contro il proprio corpo. Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo, che è in voi? Lo avete ricevuto da Dio e voi non appartenete a voi stessi. Infatti siete stati comprati a caro prezzo: glorificate dunque Dio nel vostro corpo!” (6,18s). Nella lettera agli Efesini si legge: “Di fornicazione e di ogni specie di impurità o di cupidigia, neppure se ne parli tra voi, – come deve essre tra santi-” (5,3), e al pari della 1 Cor 15,50 agli Efesini afferma: “Sappiatelo bene: nessun fornicatore o impuro … ha in eredità il regno di Cristo e di Dio” (v.5). Come si vede la preoccupazione di Paolo è quella di immettere i nuovi valori, che possano cambiare dal di dentro mentalità e condotta delle persone.

La visione del matrimonio del mondo romano è simile a quella espressa dalla cultura greca. Già Catone il Censore nel II sec. a.C. aveva denunciato la disgregazione della famiglia, l’arrivismo politico, l’accumulo di ricchezza, l’influsso della cultura greca su Roma!

Il matrimonio romano è un atto privato, non ha rilevanza pubblica se non in rapporto ai problemi legati alla dote e ad acquisizioni patrimoniali. Il matrimonio era monogamico, ma l’uomo aveva ampia libertà di rapporti con altre donne fossero pure le schiave della sua casa. Nell’età repubblicana sposarsi con “atto legittimo”, cioè con un atto che potesse essere conosciuto come tale p.e. un atto religioso, un banchetto o regali nuziali, un atto di acquisizione di proprietà ecc., era sentito come un dovere civico: “Il matrimonio non è la fondazione di un focolare, l’asse portante di una vita, ma una delle numerose decisioni dinastiche che un signore si trova a dover prendere… La sposa sarà meno la compagna di questo signore che non l’oggetto di una delle sue opzioni… Il matrimonio è solo un atto della vita fra gli altri e la sposa è solo uno degli elementi della famiglia, che include egualmente i figli, i clienti, gli schiavi e i liberti” (n11). Con l’età imperiale e il diffondersi dello stoicismo, l’ideale romano di padronanza di sé e di autonomia per essere un cittadino perfetto cessa di essere una virtù civica e diviene fine a se stessa: l’autonomia procura la pace e rende indipendenti dalle sorti umane e dal potere imperiale. Questo aspetto avrà una qualche risonanza nella concezione della donna-moglie, che da elemento di proprietà del marito diventa nella famiglia la compagna, la confidente, l’amica. Si esalta la tenerezza, il rispetto del marito verso la moglie, l’equilibrio sessuale all’interno della coppia, rapporti coniugali solo in vista della generazione di figli, aspetti che saranno ripresi da autori cristiani dal II al IV secolo (n12). Lo stoicismo fu però più una patina nella vita sociale che un radicale cambiamento perché rimase radicata la concezione della donna come oggetto e proprietà dell’uomo, perché è ampiamente praticato il divorzio (per rimanere nei casi noti: Cesare, Cicerone, Ovidio, Claudio hanno avuto tre mogli), sono comuni i rapporti extraconiugali, la prostituzione e l’omosessualità (n13).

Il quadro a tinte oscure che fa Paolo della società del tempo nella lettera ai Romani ( 1,24-31 ), se non trova piena rispondenza a quanto di idealità veniva proposto sul matrimonio e sulla famiglia, è appropriata alla realtà concreta, che di fatto non veniva condannata, ma giustificata.

Per il matrimonio nel mondo ebraico rimandiamo a quanto scritto in questa rivista da G. Crocetti (n14). In sintesi si può dire che nel mondo ebraico, anche se dal costume e dalla legge, era permessa la poligamia, di fatto il matrimonio era per lo più monogamico. La donna è considerata proprietà del marito al pari delle schiave, la schiava, il bue, l’asino, ecc. (Es 20,17), è considerata inferiore e soggetta all’uomo sia in campo sociale sia in quello religioso; il divorzio è regolato dalla legge di Dt 24,1-4, interpretata, al tempo di Gesù, dalle scuole rabbiniche (n15); è proibito l’adulterio e gravemente punito: condannata la prostituzione e l’omosessualità. Forte è nel mondo ebraico il senso della vita e della fecondità (n16).

  1. IL MATRIMONIO IN Ef 5, 21-33

L’autore della lettera agli Efesini mantiene, nella struttura della lettera, lo schema paolino: espone prima la parte dogmatica (capp. 1-3) e poi la parte parenetica (capp.4-6). A noi interessa la seconda parte e precisamente la morale della famiglia, ma non si può prescindere dalla prima che ne è il supporto dogmatico.

Leggiamo il testo, poi ne faremo un breve commento:

21 Nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri: 22 le mogli lo siano ai loro mariti, come al Signore; 23 il marito infatti è capo della moglie, così come Cristo è capo della Chiesa, lui che è salvatore del corpo. 24 E come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli lo siano ai loro mariti in tutto.

25 E voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, 26 per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola, 27 e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. 28 Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo: chi ama la propria moglie, ama se stesso. 29 Nessuno infatti ha mai odiato la propria carne, anzi la nutre e la cura, come anche Cristo fa con la Chiesa, 30 poiché siamo membra del suo corpo. 31 Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne. 32 Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa! 33 Così anche voi: ciascuno da parte sua ami la propria moglie come se stesso, e la moglie sia rispettosa verso il marito.” (Ef 5, 21-33)

a)– la delimitazione del brano.

Una breve nota sulla sintassi del brano. E’ noto che i testi biblici in papiri e codici giunti a noi non portano la divisione in capitoli e versetti e nemmeno la divisione della punteggiatura (n17). Questo crea problemi nella lettura e nella divisione delle pericopi. Per quanto riguarda il nostro testo è chiara una dipendenza di quattro participi dal verbo: “Siate ricolmi dello Spirito” (plerousthe, del v.18); questo “siate ricolmi” è specificato con “intrattenendovi fra voi con salmi…, cantando e inneggiando al Signore… rendendo continuamente grazie… nel timore di Cristo, siate sottomessi (ypotassomenoi) gli uni agli altri”, cui segue l’applicazione dei casi di sottomissione o di obbedienza: delle mogli ai mariti (vv.22-24), dei figli ai genitori (6,1-2), degli schiavi ai padroni (vv.3-9). Quel ‘siate sottomessi’ sintatticamente regge il v.22 e fa da titolo a tutto il brano, che è incentrato sul tema: sottomissione-ubbidienza. Da un punto di vista sintattico la cosa è un po’ strana tanto che alcuni codici presuppongono un punto dopo “siate sottomessi gli uni agli altri” e poi leggono: “Le mogli ai loro mariti” e aggiungono siano sottomesse… (ypotassesthe o ypotassesthosan)” (n18).

Il tema quindi inizia con il v.21: “Nel timore di Cristo, sottomessi gli uni agli altri” che è il leit-motiv di tutto il brano 5,21-6,9 che procede con ritmo binario: prima vengono nominate le persone che debbono essere sottomesse, le mogli ai mariti, o che debbono ubbidire, i figli ai genitori, i servi ai padroni; poi di controparte seguono i doveri dei mariti verso le mogli, dei genitori verso i figli, dei padroni verso gli schiavi.

b)- La struttura sociale della famiglia e l’annuncio cristiano.

La comunità cristiana si riunisce attorno a Gesù annunciato come il Figlio di Dio fattosi uomo, “il quale è stato consegnato alla morte a causa delle nostre colpe ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione” (Rom 4,25), dal quale viene ogni salvezza perché “Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo, per grazia infatti siete salvati” (Ef 2,4s). La comunità cristiana celebra questo mistero di vita facendo memoria della morte e risurrezione del Signore nella cena eucaristica (cfr.1 Cor 11,26). La comunità cristiana è consapevole di vivere una nuova realtà di comunione e di unità perché formano tutti in Cristo un solo corpo (1 Cor 12,13) e che in Cristo è superata ogni divisione etnica, sociale e sessuale perché “quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo; non c’è più Giudeo né Greco, non c’è più schiavo né libero, non c’è schiavo né libero, non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,26-28).

Da questa nuova visione di Dio e del suo mistero di salvezza in Cristo, si rinnovano la vita e i suoi valori. Paolo nelle parti parenetiche delle lettere riallaccia a questa visione i comportamenti che debbono caratterizzare i cristiani, ad esempio, nei rapporti tra persone e tra gruppi all’interno della comunità stessa (1 Cor. 1-4), nei casi di litigi su questioni patrimoniali, nel giudizio e nell’atteggiamento circa la fornicazione (1 Cor 5-6), nel rapporto tra ricchi e poveri (1 Cor 11,17- 34;2 Cor 8-9), nel rapporto con l’autorità (Rom 13) ecc.

Quando tocca i problemi della famiglia o meglio dell’oikos, della struttura della famiglia in senso lato comprendente la coppia e i figli, ma anche i dipendenti, gli schiavi, Paolo e poi le comunità cristiane sembrano più legati alla cultura e in qualche modo debitori alla società del tempo. La struttura gerarchica e sociale con le disparità tra uomo e donna, tra padroni e schiavi, non viene toccata, ma illuminata da nuovi principi che, se ad un primo sguardo sembrano conservarla anzi giustificarla teologicamente, di fatto pongo- no dei germi capaci di fermentare e rinnovare la visione della famiglia e della società. Tipico è il caso della 1 Cor in cui Paolo deve rispondere ai tanti problemi sorti nella comunità di Corinto. Nell’affrontare il problema posto dai Corinzi su celibato-verginità e matrimonio Paolo dialoga con la cultura del tempo e pone grandi e nuovi principi (cap.7), nell’esigere che le donne nelle assemblee cristiane si coprano il capo con il velo (11,2-16) o che nelle riunioni tacciano (14, 34s), che gli schiavi rimangano tali e profittino della loro situazione (7,21s), si avverte lo sforzo di non sovvertire gli ordinamenti del tempo, ma di vivificarli con un nuovo spirito(n19). Questo atteggiamento è comune negli scritti neotestamentari, lo ritroviamo oltre che nel nostro testo, anche in testi paralleli come Col 3,18-24; 4,1; 1 Pt 2,18; 3,9; Tt 2,1-10; 1 Tm 2,8-10 (n20).

Tutto il testo di Ef 5,21-6,9 sulla morale domestica e particolarmente la prima parte 5,21-33 sulle relazioni di coppia ha come fondamento la parte dogmatica della lettera. Il centro del messaggio di Ef è il mysterion, cioè il piano salvifico di Dio, che in Cristo ci ha benedetti con ogni benedizione… abbiamo il perdono delle colpe … facendoci conoscere il mistero … ricondurre al Cristo unico capo tutte le cose (1,2-10), in lui; ci ha amato … ci ha fatto rivivere… ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli… (2,4-6). “voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Crito (2, 13); in riferimenti ai vicini (gli ebrei) “ dei due ha fatto una cosa sola” (v.14) “facendo la pace e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce? (2,12-16). “voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio (v. 19) L’adempimento di questo mistero, di cui Paolo è divenuto ministro, è rivelato oggi a tutti, alla terra e ai cieli, per mezzo della Chiesa (3,10). L’immagine costantemente soggiacente a tutto il testo è quella della testa e del corpo: Cristo è costituito dal Padre capo: kephalé e la Chiesa è il suo corpo: sòma (…auton édòken kephalèn yper panta té ekklesià, ètis estìn to sòma autou: l,22s). Cristo è il capo da cui procede tutta la vita della Chiesa, suo corpo, ella tutto riceve da lui; l’autore di Ef vede in questa organicità il principio di unità della Chiesa in ogni suo membro e scrive di avere a cuore: “l’unità dello spirito (4,3)… di crescere in ogni cosa tendendo a lui, che è il capo, Cristo. Da lui tutto il corpo … cresce in modo da edificare se stesso nella carità” (4-15s).

Nel nostro testo l’immagine capo-corpo si unisce con quella che descrive, come vedremo, il rapporto Cristo-Chiesa quale rapporto sponsale marito-moglie.

c)-                               Il matrimonio cristiano

L’autore di Ef nella parte parenetica della lettera si attiene prima alle grandi linee della vita cristiana e chiede una condotta degna della chiamata che avete ricevuto (4,1), richiama all’unità nella comunità cristiana appellando all’unità della Chiesa come corpo di Cristo (4,4-16) esorta a rifuggire dalla mentalità e dalla vita pagana (4,17-32). Il grande ideale di condotta posto dinanzi è: “Fatevi imitatori di Dio, quali figli carissimi” (5,1), richiamandosi all’insegnamento di Gesù: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). Invita a non lasciarsi addormentare dal vizio e dal mondo, a lasciarsi illuminare invece dalla luce di Cristo e riempire dallo Spirito Santo (Er 5,2-18).

Quando arriva alla vita della famiglia l’autore ha dinanzi da una parte la struttura concreta sociale della famiglia, che vive normalmente valori del tempo, come sono esposti e propagandati dai filosofi morali e dalle leggi dello stato, oppure distorti in una prassi decadente, e dall’altra le linee della teologia e della vita cristiana incentrate su Cristo e la Chiesa.

L’autore entra nel tema esortando le mogli ad essere sottomesse ai loro mariti come la Chiesa è sottomessa a Cristo e poi chiedendo ai mariti di amare le loro mogli come Cristo ama la Chiesa. La struttura del tema non segue una linea discorsiva chiara. Il tema generale infatti è introdotto da “siete ricolmi dello Spirito (v.18)… nel timore di Cristo, sottomessi gli uni agli altri” (v.21); ma questa reciproca sottomissione in Cristo se è ben espressa nell’atteggiamento delle mogli verso i mariti, non è ripresa nella seconda parte che invece comincia: “e voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei” (v. 25). Nella prima parte l’autore è guidato da tutta la teologia espressa nella parte dogmatica della lettera, nella seconda introduce invece la simbologia sponsale che non aveva direttamente trattato nell’esposizione dogmatica del mysterion.

  1. Il tema generale: “Nel timore di Cristo sottomessi gli uni agli altri” (v.21)

La sottomissione riguarda non solo i coniugi tra di loro, ma rapporta entrambi a Cristo perché evidentemente sia il marito che la moglie ricevono la salvezza da Cristo: la sottomissione vicendevole è la conseguenza della sottomissione di entrambi a Cristo perché tutt’e due sono parte della Chiesa che è sottomessa a Cristo. Questa sottomissione vicendevole è “nel timore di Cristo”. L’espressione è unica e coniata su quella più comune nell’A. e N. T.: “Il timore di Dio”. Ora il timore di Dio non è la paura di fronte a Dio, ma la consapevolezza di essere dinanzi a Dio, di sapere che Dio è Dio e che l’uomo è l’uomo; in questo senso si dice nei libri sapienziali che “l’inizio della sapienza è il timor di Dio” (Sir 1,16; Sal 111,10) e negli stessi libri il timore di Dio è coniugato insieme con l’amore di Dio (Sir 2,15s;7,29s); eguale è la posizione del cristiano di fronte a Cristo: è consapevole che tutto ha ricevuto da Cristo. Marito e moglie sono sottomessi a Cristo perché entrambi hanno appreso che “per grazia siete salvati” (Ef 2,5) da Cristo e debbono essere vicendevolmente sottomessi perché nel regno dei cieli “chi vuol diventare grande tra voi, sarà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti” (Mc 10,43s).

.2.                                   Alle mogli: vv. 22-24

L’esortazione comincia con: “Le mogli (siano sottomesse) ai mariti come al Signore”. La sottomissione della moglie al marito una nota sociale largamente recepita. Già nel mondo sociale di allora la “sottomissione” della moglie al marito non è intesa come una obbedienza servile, ma come rispetto e venerazione (n21). Anche se giuridicamente il marito è il despotes padrone della moglie, in realtà normalmente i rapporti si vivono su altra linea e l’autore di Ef nell’indicare elementi di etica domestica alle mogli ha da indicare un rapporto nuovo ed unico quello della Chiesa di fronte a Cristo già delineato nella prima parte della lettera. Cristo è kephalè: capo della Chiesa il marito è kephalè: capo della moglie e come la Chiesa è sottomessa a Cristo capo, così le mogli debbono essere sottomesse al marito capo. E all’inizio nel dire “siano sottomesse ai mariti” ha aggiunto “come al Signore” indicando così che con la sottomissione al marito le mogli in realtà si sottomettono “al Signore” sottintendendo che anche i mariti sono sottomessi al Signore perché anch’essi sono corpo della Chiesa. In questo modo si introduce un elemento nuovo nell’etica del tempo in cui la sottomissione non è lasciata ad elementi psicologici e sentimentali, ma rapportata a vincoli indefettibili di amore. Certamente siamo su un piano analogico eccedente perché il rapporto tra il marito capo della moglie e Cristo capo della Chiesa non può essere assolutizzato perché mentre “Cristo è il capo della Chiesa, lui che è salvatore del corpo” (v.23) <int. Chiesa>, non altrettanto si può dire del marito riguardo alla moglie. Scrive Penna concludendo il commento a questa sezione: “la sottomissione della moglie al marito si dovrà intendere solo in senso analogico; in definitiva l’originalità cristiana non sta nell’esigenza parenetica, ma nella sua motivazione cristologica. Questa però è di altra natura ed eccede di gran lunga il semplice rapporto tra i coniugi. L’analogia con la realtà Cristo-Chiesa, d’altronde, serve all’autore non tanto per richiedere la sottomissione delle mogli quanto per esortare i mariti all’amore per le loro spose” (n22).

.3.                      Cristo-Chiesa: simbologia nuziale e il “mysterion”

Nell’affrontare la parenesi ai mariti l’autore lascia la simbologia cristologica- ecclesiologica capo-corpo più adatta ad introdurre il discorso della “sottomissione” della moglie al marito e prende un’altra linea simbolica, quella di Cristo sposo-Chiesa sposa, più significativa per inculcare un atteggiamento di donazione e di amore del marito verso la moglie: “come fa Cristo con la Chiesa” (v.29). Il disegno di unità sponsale di marito e moglie inscritto nel disegno creativo di Dio (“l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e saranno un’unica carne” Gen 2,24) e richiamato da Gesù per riaffermare la volontà di Dio Sull’unità e l’indissolubilità del matrimonio, è portato a compimento nell’unità sponsale Cristo-Chiesa, come vincolo indissolubile di amore per essere un’unica carne perché la Chiesa è il corpo di Cristo. L’autore chiama questo disegno di Dio “mistero grande” (v.32).

La simbologia matrimoniale è ampiamente usata nell’A.T. per descrivere, il rapporto di Jhwh con il suo popolo a partire dal profeta Osea (n23); essa è meno usata nel N.T.: se ne trova un cenno nei Sinottici dove Gesù indirettamente viene chiamato lo sposo, ad esempio quando Gesù dice che i discepoli non possono digiunare ora perché si trovano con lo sposo (cioè Gesù) a mensa in una festa nuziale (Mc 2,18 ss e paralleli, da confrontare con Gv 3,39) o nelle parabole in cui entra in scena lo sposo come in quella del banchetto nuziale (Mt 22,1-10 e Lc 14,16-24) o delle dieci vergini che attendono lo sposo (Mt 25,1-13), vi fa un riferimento anche Paolo (cfr 2 Cor 11, 2); questa simbologia è ampiamente ripresa negli scritti più tardivi come nella nostra lettera e soprattutto nell’Apocalisse. Il nostro testo di Ef 5,21-33 è unico per la sua ampiezza e i diversi aspetti della simbologia (n24).

Anche il termine “mistero” è tipico della nostra lettera e di quella ai Colossesi, che sono strettamente legate e interdipendenti. Il “mistero” indica in queste lettere il “disegno salvifico di Dio” nascosto e inconoscibile prima di essere rivelato da Dio, ma annunciato e conosciuto quando piacque a Dio rivelarlo. Esso è stato rivelato per tappe nella storia della salvezza ed è arrivato a compimento con Gesù ed ora la Chiesa, cui è stato rivelato, anzi di cui è diventata strumento, lo annuncia e lo manifesta. Non dimentichiamo che il termine mysterion nel latino del N.T. è stato spesso, come nel nostro testo, tradotto con “sacramentum”: “sacramentum magnum hoc est” (5,32)  (n25). L’autore quindi ci vuol dire che il rapporto nuziale Cristo-Chiesa, in quanto compimento del “mistero” di Dio in Cristo, è annunciato, vissuto e celebrato nel rapporto sponsale marito moglie e viceversa che questo rapporto è “sacramentum” che introduce a comprendere e vivere il rapporto sponsale Cristo-Chiesa. Questo ci spiega perché la comunità cristiana delle origini ha voluto che l’uomo e la donna nel contrarre matrimonio si sposassero “nel Signore”. Ne troviamo un cenno in Paolo I Cor 7,39, più espressamente in S. Ignazio d’Antiochia che a Policarpo scrive: “Conviene che gli sposi le spose stringano l’unione con il consenso del vescovo perché le loro nozze avvengano secondo il Signore” (n26).

.4.                                                  Ai mariti: vv.25-33

L’esortazione ai mariti è più ampia, penso, per due motivi: per un motivo sociologico perché la cultura del tempo non inculcava ai mariti l’amore verso le mogli quanto piuttosto quello del despotes: padrone, e poi per un motivo cristologico perché i mariti debbono riferirsi a Cristo per imparare il vero comportamento verso le mogli.

I vv. 25-27 sono paralleli a 28-31: nel primo blocco, dopo aver dato il tema “voi, mariti, amate le vostre mogli”, si descrive l’amore di Cristo verso la Chiesa e nel secondo blocco l’amore che debbono avere i mariti verso le mogli sull’esempio di quello di Cristo.

Il parallelo tra i mariti e Cristo è dato dal verbo “amate” come Cristo “ha amato”. Il verbo che usa Paolo è agapao, un verbo tipicamente biblico, che nell’uso indica un amore gratuito, di donazione, un amore che valuta più il bene dell’altro che non il proprio: basterebbe leggere l’inno all’agape nel cap.13 della 1 Cor (n27). Questi tre versetti sono una sintesi di ecclesiologia: la Chiesa è la creatura dell’amore di Cristo “che ha dato se stesso per lei” e che la fa nascere dall’acqua e dalla parola. Qui l’autore ricorda i riti battesimali: l’annuncio della parola e il lavacro di rigenerazione da cui nascono i cristiani completamente uniti a Cristo, con il doppio scopo di far vedere ai mariti qual è l’amore di Cristo e sottolineare che entrambi i coniugi sono rinati a vita nuova in Cristo e che quindi si trovano sullo stesso piano di salvezza. La Chiesa è nata dalla grazia, dall’amore gratuito di Cristo ed è questa grazia che la rende dinanzi allo sposo, Cristo, “tutta gloriosa, senza macchia né ruga… santa e immacolata” (v. 27). Se l’amore di Cristo può essere dato come modello ai mariti, certamente i mariti non possono realizzare quel che Cristo ha fatto con la Chiesa: c’è quindi un’asimmetria nell’analogia proposta. Ma i mariti sanno che loro, entrambi, marito-moglie, sono membri della Chiesa santa e che quindi il loro amore fa crescere entrambi nel mistero della Chiesa santa e immacolata. E una visione che supera immensamente una visione giuridica o anche psicologico-affettiva del matrimonio secondo i canoni del tempo.

I vv.28-31 riprendono lo stesso tema Cristo-Chiesa, ma l’autore vi coniuga insieme quello genesiaco di una sola carne. Quel sottolineare che “amare la propria moglie” equivale ad amare il proprio corpo e aver cura di se stessi, non può essere letto come un passo indietro di tono egoistico, ma va visto come riferimento, del resto citato subito dopo, al dettato genesiaco dell’unità naturale tra marito e moglie, richiamato anche da Gesù nel vangelo. L’analogia tra l’uomo che nutre la propria carne con Cristo che nutre la sua Chiesa è un richiamo potente a quell’unità tutta unica che è quella della Chiesa con Cristo di cui è la carne e all’unità tra marito e moglie che formano “una carne sola”. La conclusione i vv. 32-33.“Questo mistero-sacramento è grande; io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa” <come proiettato>. Il dimostrativo questo si riferisce al disegno di Dio sulla coppia, all’una caro di marito e moglie, che viene connotato come mistero- sacramento, cioè, come abbiamo richiamato sopra, disegno di salvezza di Dio per il marito e la moglie, che sono Chiesa, corpo di Cristo, e simboleggiano nella loro realtà donativa e creativa l’amore indivisibile e fecondo di Cristo per la Chiesa. L’ultimo versetto riassume tutta la parenesi: ai mariti di amare la propria moglie e alle mogli di essere sottomesse ai mariti, che trova il vero fondamento in tutta l’esposizione dogmatica che Paolo (o la sua scuola) ha fatto.

Ci si potrebbe domandare alla fine se il brano e il termine mistero sacramento fondano la sacramentalità del matrimonio. L’esegeta Penna nel suo commento riporta il parere del Cardinal Gaetano, gran teologo domenicano del ‘500 e commentatore di S. Tommaso: <Non hai da questo luogo, o prudente lettore, che il coniugio è un sacramento. Non ha detto infatti che è sacramento, ma mistero> “Non habes ex hoc loco, prudens lector, a Paulo conjugium esse sacramentum. Non enim dixit esse sacramentum, sed mysterium” (n28). Il brano certamente non dice che il matrimonio è un segno sacramentale istituito da Cristo, ma nel passo possiamo vedere la prima riflessione cristiana che, partendo dalla volontà di Gesù di riportare il matrimonio al disegno di Dio, ha visto nel matrimonio espressa una realtà soprannaturale che simboleggia il rapporto Cristo-Chiesa, che è il vero fondamento di ogni sacramentalità.

NOTE

.1) Sul senso dei precetti e delle beatitudini cfr. H. SCHLIER, L’essenza

dell’esortazione evangelica, in “Il Tempo della Chiesa”, Bologna, Il Mulino, (ora EDB),I965, pag. 118-141; cfr. voci “Beatitudini” “Vangelo” in  Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, a c. di P. Rossano, G. Ravasi, A. Ghirlanda,  Cinisello B. (MI), ed- Paoline,1988.

.2) Su questo argomento vedi l’articolo di G. CROCETTI, “Ciò che Dio ha congiunto l’uomo non separi”, in questo numero <Firmana 1996> pag. 35-59

.3) Sul brano di Mt 19, 3-9 in cui l’evangelista riporta l’eccezione “eccetto il caso di porneia” vedi l’ampio studio di C. MARUCCI, Parole di Gesù sul divorzio. Ricerche scritturistiche previe a un ripensamento teologico, canonico e pastorale della dottrina cattolica dell’indissolubilità’ del matrimonio, Brescia, Morcelliana,1982.

4) Partiamo dal presupposto, ormai generalmente condiviso, che le lettere ai Colossesi, agli Efesini, 1 Pietro, che ci interessano per il nostro argomento, appartengono alla seconda e terza generazione cristiana, scritte dopo gli anni 80 e rappresentano catechesi della Chiesa alla fine del primo secolo e inizio del secondo.

.5) Questi codici sono stati ampiamente studiati; rimandiamo ad alcuni recenti autori italiani: R. FABRIS, Codici dei doveri familiari in Col ed Ef, in G. BARBAGLIO-R FABRIS, Le lettere di Paolo, vol 3°, Roma, Boria, 1980, pag 134-148; E. BOSETTI, Quale etica nei codici domestici (Haustafeln) del NT? in Riv. di Teol. Morale, 1936/1, pag 9-31; ID., Codici familiari. Storia della ricerca e Prospettive, in “Riv Bibl”, 1987/2, pag. 129-178. Si può vedere una sintesi di tutti questi studi in K. H. FLECKENSTEIN, “Questo Mistero è grande”. Il matrimonio in Ef 5,21-33, Roma, Città Nuova, 1996.

.6) Cfr. B BRUNELLO, Le istituzioni private e pubbliche nella Grecia antica: cap I La famiglia, il matrimonio, in “Enciclopedia classica”, a c. di C. Del Grande, vol III pag. 297ss, Torino SEI, 1959.

.7) Ibid., pag. 302. Questa inferiorità della donna sempre richiamata in linea di principio, non toglie che in concreto nella realtà ci siano state tra marito e moglie comprensione, tenerezza e amore. Nel mito e nella storia sono richiamati esempi di amore vicendevole tra marito e moglie; Plutarco nel nei Praecepta coniugalia parla di sottomissione delle mogli ai mariti (usa lo stesso verbo ypotassa che viene usato in Ef 5,22), ma dice anche che compito dei mariti è: sostenere, aiutare, istruire, consolare le mogli. Sulla situazione delle donne nella grecità cfr. il recente ampio articolo di G. REALE, Platone, la repubblica delle donne, in “Il Sole 24 ore” del 18-8.95.

.8) R. FLACIELLÈRE, Amore a matrimonio, in “La civiltà’ greca: storia e cultura’”, vol IV, pag 203-221, Bari, Laterza, 1990, pag. 211.

.9) Ibid. pag 211 s.

.10) Cfr H. HERTER, ibid., pag. 249.

.11) Cfr. Ph. ARIES – G. DUBY, La vita privata dall’impero romano all’anno mille, Bari, Laterza, 1988, pag. 27.

.12) Una buona conoscenza sul matrimonio e la famiglia in questo periodo si può dedurre dalle operette di TERTULLIANO: Alla consorte e l’unicità’ delle nozze, a c. di L. Datarne, TP 128, Roma, Citta’ Nuova, 1996.

.13) Ph. ARIES-G. DUBY, cit., pag 23-34

.14) G. CROCETTI, “Ciò’ che Dio ha congiunto l’uomo non separi”, cit.

.15) Cfr. ID., pag. 46-51

.16) Cfr. R. DE VAUX, Le istituzioni dell’Antico Testamento, Torino, Marietti 1964 (ristampe): Istituzioni familiari: famiglia, matrimonio, pag. 29-50; uno sguardo sintetico sulla donna, il matrimonio e la famiglia nel giudaismo e nel mondo greco-romano al tempo di Gesù si può vedere in M. ADINOLFI, La donna e il matrimonio nel giudaismo ai tempi di Gesù, in “Riv. Bibl”, 1972/4 pag. 369- 390; cfr. anche J. PEDERSEN, Israel Its life and culture, vol 1-2, London, Oxford Univ. Press, 1973; R. ALBERTZ, A History of Israelite Religion in the Old Testament Period, vol 1-2, London, SCM Press Ltd, 1994 (originale tedesco 1992).

.17) Per curiosità ricordiamo che la divisione del testo biblico in capitoli fu fatta da Stefano Langton nel 1228, la divisione in versetti fu fatta per l’A.T. da Sante Pagnini nel 1528 e per il N.T. da Roberto Estienne nel 1555.

.18) Cfr. discussione del caso in H. SCHLIER, Lettera agli Efesini (CTNT), Brescia, Paideia, 1965, pag. 307 e in R. PENNA, Lettera agli Efesini, cit., pag. 225-226; cfr appara-to critico in NESTLE-ALAND, Novum Testamentum graece et latine.

(19) Cfr. commento ai passi nel recente ampio commento di G. BARBAGLIO, La Prima lettera ai Corinzi, cit.

.20) Sui problemi della famiglia cfr. C. OSIEK, The Family in Lady Christianity: “Family Values” Revisited, in CBQ, 1996,2, pag, 1-24-

.21) Sulla sottomissione delle mogli ai mariti PLUTARCO nei Praecepta Coniugalia scrive: “Quando le mogli sono sottomesse ai mariti ricevono lode, quando pretendono di dominare appaiono peggiori dei mariti dominati”: citazione riportata da S. ZEDDA, Spiritualità cristiana e saggezza pagana nell’etica della famiglia: affinità e differenze tra S. Paolo e i “Coniugalia Praecepta” di Plutarco, in “Lateranum”, 1982, pagg. 110-124; si può vedere anche G. GHIBERTI, “Siate sottomessi. La Paranesi cristiana sulla famiglia, in Parola Spirito Vita, 1986, pag.161-177

22) R. PENNA, Lettera agli Efesini, cit., pag. 232

23) È questa una tematica vasta nella letteratura profetica per gli intrecci con tanti altri aspetti come quello dell’alleanza, dell’amore: vedere per un’esposizione sintetica le voci “matrimonio’’, “alleanza”, “amore” “profezia” nel “Nuovo Dizionario di Teologia Biblica”, cit. Sulla origine di questa simbologia nei profeti e poi sulle ripercussioni che ha avuto nel N.T. gli studiosi opinano che ci sia stato un influsso ; dalla cultura pagana con i riti ierogamici e il mito dello hieros gamos, diffusi nel mondo orientale e nell’ellenismo. Cfr. una sintesi delle opinioni degli studiosi in K. H. FLECKEN- STEIN, “Questo mistero è grande”… , cit., pag. 54-68.

.24 Per un buon approccio albi tematica cfr. R. FABRIS, Il matrimonio cristiano figura dell’alleanza (Ef 5,21-33), in Parola Spinto Vita, n.13, 1986, pag 153-169.

.25) Per uno studio sul termine “mistero” rimandiamo a R PENNA, Il “mysterion” paolino traiettoria e costituzione, Supp 1 Riv Biblh n.10, Paideia, Brescia, 1978, oppure in sintesi ID., voce “mistero” in “Nuovo Dizion. di Teologia Biblica”, cit.

.26) Lettera di Ignazio a Policarpo: V.2b, in “I Padri Apostolici”, a. c. di A. Quacquarelli, TP 5, Roma, Citta’ Nuova, 1978, pag. 141.

.27) Già’ nell’A.T. per tradurre il concetto, di “amore” i LXX avevano preferito questo verbo a quelli più correnti nella lingua greca come erao che indica amore di trasporto-passione-invaghimento, stergo, che indica amore di tenerezza o fileo che indica amore di amicizia; cfr. gli studi classici di C. SPICO, Agape. Prolégomènes a une étude de théologie neotestamentaire e Agape dans le Nouveau Testament. Analise des Textes, EB, Paris, Gabalda, 1966/3; cfr. voce agapao-agape, di QUELLSTAUFFER in GLNT; in sintesi cfr.

15, A. PANIMOLLE, voce “Amore”in “Nuovo Diz. di Teol. Bibl.”, cit.

.28) “Da questo passo, o avveduto lettore, non puoi dedurre che secondo Paolo il matrimonio sia un sacramento; egli infatti non disse che è un sacramento, ma che è un mistero” cfr. R. PENNA, Lettera agli Efesini, cit. pag. 242-243.

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