MIOLA GABRIELE BIBLISTA RICORDA il collega DON RAFFAELE CANALI Istituto Teologico Fermo

«In memoriam. Don Raffale Canali (6.11.1940-9.1.1992)» a cura di A. Nepi, Fermo 1992 – Presentazione di MIOLA Gabriele biblista

\ Questo fascicolo in memoriam è stato preparato da don Tonino Nepi, prima discepolo e poi successore di don Raffaele Canali sulla cattedra di Esegesi Biblica dell’Istituto Teologico e dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Fermo. Vi sono presentati una nota biografica ed una bibliografica e due articoli tra gli ultimi pubblicati dal prof. Canali. E’ un doveroso, grato ricordo di don Raffaele, che con la sua scomparsa prematura, ci ha fatto toccare maggiormente con mano il suo prezioso lavoro di docente di S. Scrittura ed appassionato annunziatore della Parola di Dio.

In più di venti anni di insegnamento tanti seminaristi teologi ed ora preti e poi tanti laici, dei quali molti ora sono Insegnanti di Religione, hanno potuto apprezzare da una parte la sua preparazione scientifica e dall’altra la passione per quella Parola “ispirata da Dio, utile per insegnare, convincere, correggere e educare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona” (2 Tim 3,16).

Questi due aspetti hanno caratterizzato la personalità del prof. Canali: la scientificità e il servizio alla parola.

La licenza in S. Scrittura conseguita al Pontificio Istituto Biblico di Roma e il suo perfezionamento in Archeologia e Topografia biblica allo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme lo hanno preparato al metodo filologico, al rigore della ricerca storico-critica. I corsi di esegesi del prof. Canali erano apprezzati non solo per il cumulo di conoscenze che trasmetteva, ma soprattutto per quella capacità di condurre dentro il testo sacro e di insegnare a leggere nella profondità inesauribile della Parola di Dio. Era un prendere per mano l’alunno e metterlo nella condizione per cui il discepolo stesso poi fosse in grado di essere a sua volta esegeta. Per questo gli studenti lo sentivano non tanto come professore quanto piuttosto come “testimone e maestro”.

Sempre con lo spirito di una attenta ricerca scientifica negli ultimi tempi aveva approfondito i metodi dell’esegesi rabbinica e la lettura patristica della Bibbia. La sua biblioteca personale, costruita con tanti sacrifici, come ricorda nel suo testamento, s’era arricchita del Talmud Babilonese, dei volumi dello Strack-Billerbek, di Diez Macho, di Neri e di tanti altri. Aveva il gusto della tradizione della lettura della Bibbia all’interno della storia del popolo di Dio.

I riconoscimenti per questa sua preparazione non gli sono mancati e lo testimonia il fatto di essere stato chiamato ad insegnare oltre che nei nostri Istituti di Teologia di Fermo anche all’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Tomolo” di Pescara e chiamato come assistente alla Pontificia Università Gregoriana di Roma.

Il servizio alla Parola di Dio è stato vasto anche al di fuori delle cattedre degli Istituti di Teologia.

I primi contributi li ha dati alla serie di incontri del progetto “Comunità e Bibbia” e le sue lezioni, raccolte in fascicoli, hanno fatto il giro della Diocesi e sono serviti a tanti gruppi. Tutti conosciamo il suo lavoro di biblista per i monasteri delle Benedettine di Fermo, di Offida, di Ascoli Piceno, di Amandola, di Monte S. Martino, di Potenza Picena e di altri. La tradizione monastica della lectio divina lo affascinava e per questo vi ha lavorato con passione e la sentiva come uno scambio di doni con chi nella semplicità del cuore si apriva all’ascolto della Parola. Lo proponeva come metodo per accostarsi alla Parola di Dio anche ai teologi, per i quali il Vescovo Mons. Bellucci lo aveva nominato padre spirituale. Nel Cammino Neocatecumenale ha portato la ricchezza di una lettura spirituale e attualizzante della Bibbia, che tutte le comunità hanno apprezzato; lui vi vedeva realizzata la potenza della Parola che crea e trasforma.

Questo lavoro, vasto e profondo insieme, forse gli ha impedito di dedicarsi con più frutto, di quel che ha potuto fare, alla cura delle sue pubblicazioni, che sono rimaste per molta parte “pro manuscripto” e che il prof. Nepi ha elencato nella nota bibliografica, che speriamo di poter completare man mano che saranno riordinate le carte di don Raffaele.

Nel suo testamento, che ha scritto l’ultimo giorno del 1991, quasi presago di quanto sarebbe accaduto, si legge: “Ringrazio Dio che mi ha dato la possibilità di studiare a Roma per otto anni interi e di aver potuto studiare Scrittura. Ho dato la vita per essa … Dio mi ha fatto tanti regali, oltre la Scrittura, la sua Parola, di aver potuto conoscere la Terra Santa, il mio cuore”.

Quando accettò di venire a Fermo, don Raffaele prese con gioia gli insegnamenti che io dovetti lasciare perché chiamato ad altro lavoro ed ora ringrazio il Signore, con quanti hanno gioito della sua parola e della sua persona, per avercelo donato.

Indimenticabili di don Raffaele sono il suo sorriso e la sua amabilità; erano espressione di quella festa che aveva in cuore per la Parola che portava e annunziava. Per questo, chiudendo il suo testamento, e quasi vedendo i suoi alunni, i suoi amici, le comunità neocatecumenali intorno alla sua bara scrive: “Fate una gran festa. Cantate i canti più belli del Cammino (soprattutto dal Cantico dei Cantici), ma cantate con gioia. E’ una gran festa. Tutti saremo in Cristo per stare sempre con lui. Il Signore ci ama. Siate contenti. Amate il Signore”. E concludeva in ebraico: “Hallelu Jah hodu lejhwh ki tov ki lecolam hasdo – Alleluja, lodate il Signore perché è buono, perché eterno è il suo amore”.

don Gabriele Miola                                                        Fermo 17.02.1992

In altro volumetto a cura di Gabriele Nepi «D. Raffaele Canali» Fermo 1992 pp. 17s

Come lo ricorda Mons. Gabriele Miola

Nell’accogliere la richiesta del prof. Gabriele Nepi di una testimonianza che ricordasse don Raffaele, ho pensato di richiamare episodi personali, che sottolineano il nostro comune amore della Terra Santa e un aspetto del suo carattere.

A proposito del suo attaccamento alla Terra Santa ricordo ancora con gioia il pellegrinaggio dei teologi del nostro seminario, che guidammo insieme nell’agosto del 1975. Un giorno propose di fare a piedi la strada del deserto dal Khan del Buon Samaritano fino a Mar Kossiba e a Gerico: camminava spedito sotto il sole di agosto, tirava il gruppo con lena, tanto che alcuni non riuscivano a seguirlo e cominciarono a gridare perché allentasse il passo. Era sorprendente come lui relativamente basso di statura riuscisse a tenere un’andatura così accelerata senza stancarsi e superando tutti. Della Terra Santa amava tutto, la città santa e i siti archeologici, il deserto e il mar di Kinnereth, la petrosa Giudea e la verde Galilea, le regioni aride e morte del mar di Sale e lo splendore della pianura e le sue cascate e la sabbia del Neghev e dell’Araba.

Per poter dialogare con la gente del luogo aveva seguito corsi di lingua araba e di ebraico moderno; nella comunità araba cristiana aveva stretto profonde amicizie. Vedeva in queste comunità la linea continua, che partiva fino ad oggi; il suo popolo, mai decaduta.

Con ragione ha scritto nel suo testamento: “La Terra Santa, il mio amore”: in essa ritrovava le radici della fede, rileggeva gli eventi della storia della salvezza, la manifestazione di Dio in Gesù di Nazareth, il Cristo e il Signore.

Quando nel ‘75 passò un anno a Gerusalemme, nei giorni di Pasqua arrivai nella città santa con un pellegrinaggio; poiché la data della Pasqua ortodossa quell’anno era differita di una settimana, partecipammo insieme alla Veglia Pasquale degli Ortodossi al S. Sepolcro e la domenica pomeriggio andammo insieme a Emmaus e tornammo a piedi: avevamo in cuore la stessa gioia dei due discepoli che allo spezzar del pane avevano riconosciuto Gesù risorto.

Un altro aspetto che mi piace sottolineare di don Raffaele è la sua timidezza, che proveniva da un animo delicato e riservato. Si appartava spesso, non amava la compagnia chiassosa. Era espansivo invece là dove trovava corrispondenza d’animo di chi si apriva alle cose di Dio, del Vangelo, della Chiesa. Rifuggiva da atteggiamenti superficiali e banali e quando inaspettatamente vi si trovava coinvolto, salutava con un sorriso delicato e se ne andava.

Era timido anche nel chiedere. Ricordo con quanta delicatezza veniva a presentare un’iniziativa o a chiedere un permesso quando ero rettore del Seminario e in questi ultimi anni vice-prefetto dell’Istituto Teologico o solo quando mi chiedeva se potevo prestargli un libro che sapeva che io avevo nella mia biblioteca. Quando vedeva che la sua richiesta incontrava qualche difficoltà o poteva creare intralcio se ne scusava e cercava di provvedere da sé in altro modo.

Questa timidezza, quasi timore di arrecare fastidio, gli ha creato anche delle difficoltà quando cominciò ad avvertire i primi sintomi del suo male, cercando altrove quel che gli poteva offrire anche la comunità del seminario.

Timido era don Raffaele, ma anche fermo nelle sue scelte. Ricordo che un’unica volta ci siamo trovati forse su sponde opposte; dico ‘forse’ perché poi non erano sponde tanto lontane. Fu quando, ai primi anni del cammino neocatecumenale nella nostra diocesi, si dibatté il problema della celebrazione della Veglia Pasquale separatamente tra parrocchia e comunità. Io, come vicario generale allora, chiedevo che la celebrazione della Veglia Pasquale trovasse unita tutta la parrocchia nel momento liturgico più vivo e più solenne dell’anno; don Raffaele difese la libertà delle comunità neocatecumenali di celebrare la Pasqua da sole, come momento che riassumeva tutta un’esperienza e un cammino che altri cristiani non avevano condiviso e che quindi non potevano comprendere. La discussione, fatta insieme con altri, pur vivace, non ci divise, anzi, servì a mettere in rilievo aspetti positivi dall’una e dall’altra parte.

Il Signore ce lo ha tolto presto, ma il suo ricordo, caro e indimenticabile, ci unisce nella sua stessa fede: “Tutti saremo in Cristo, per stare sempre con Lui”.

Fermo li 5/4/1992                                                         Don Gabriele Miola

 

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