VIRGILI SETTIMIO. COLLINA VECCHIA DI MONTE VIDON COMBATTE Descrizione edita

VIRGILI SETTIMIO “Borghi da scoprire … esori delle MarcheMeriodionali “ (Monteprandone 2017 pp. 105- 109)
COLLINA VECCHIA DI MONTE VIDON COMBATTE
Scendendo lungo la provinciale che da Collina Nuova conduce a Montottone, pur osservando il paesaggio sottostante con la dovuta attenzione, non è facile individuare Collina Vecchia. Il borgo rimane quasi completamente nascosto. Questo antico centro demico si trova nel fondovalle, eppure sfugge alla vista del visitatore e anche a quella del frequentatore abituale di questi luoghi. Avvicinandosi ad esso, si può intravedere la parte più alta del campanile della chiesa dell’Annunziata mentre i resti delle abitazioni sono visibili solo quando ci si trova a una distanza di un centinaio di metri.
Collina Vecchia è uno dei pochissimi castelli medievali a non essere sorto sul pianoro di un colle. Questa sua particolare posizione geografica che lo esponeva ad aggressioni di un qualsiasi esercito anche non agguerrito tuttavia presentava un indubbio vantaggio: lo nascondeva rendendolo quasi invisibile a chi non lo conoscesse e si trovasse a passare occasionalmente nella zona. Tale copertura gli viene fornita dai balzi di terreno che si susseguono uno di seguito all’altro lungo la vallata, che si va stringendo attorno al paese.
In passato non sono state solo le acclività disposte in successione lungo il pendio a nascondere il castello. C’è stata anche una folta vegetazione che svolgeva una duplice funzione: nascondeva il centro demico e lo proteggeva da frane e smottamenti del terreno (1). Che in passato vi fosse nel sito una folta vegetazione ad alto fusto è attestata da alcuni documenti che connotano la chiesa più antica e interna al castello con il nome di San Salvatore in Nemore, cioè nel bosco (2). L’esistenza nella zona di un manto vegetale considerevole è confermata da alcuni disegni del XVI e XVII secolo (3).
Collina Vecchia è stata una delle curtes cioè un’azienda rurale monastica, tra le più floride della zona: una pertinenza dell’abbazia di Farfa che aveva in Santa Vittoria in Matenano la casa madre del Piceno. E’ sorta attorno alla chiesa di San Salvatore esistente nel territorio fin dal decimo secolo. L’omonimia di questo luogo di culto e l’appartenenza allo stesso ordine monastico hanno spesso ingenerato confusione in alcuni studiosi i quali hanno scambiato questo istituto religioso (San Salvatore) con un altro esistito lungo l’Aso nel territorio di Force.
Nei secoli immediatamente successivi all’anno Mille sono sorte nel comprensorio di Collina Vecchia insieme alla parrocchiale di San Salvatore almeno altre sei chiese: Sant’Orsola che ha dato il nome a una contrada; della Madonna di Loreto; San Marone; San Pietro (4) che doveva trovarsi nell’omonima contrada che ancora contrassegna il confine tra Collina Nuova e Ortezzano, nonché l’edificio sacro dell’Annunziata sorto a pochi metri dalla cinta muraria del castello e infine la chiesa di Santa Maria demolita nel XIII secolo, ma di cui è rimasta memoria poiché nello stesso sito fu eretta un’icona, una pintura, che probabilmente ha dato il nome al fosso contiguo (5).
Nel 1355 ‘Castrum Collinae’ insieme ad altri 60 castelli del Piceno ritornò sotto il diretto controllo dello Stato pontificio e il suo sindaco fu obbligato a prestare giuramento di fedeltà a Fermo. Benché nascosto nel fondo di una valle, il borgo non sfuggì all’attenzione delle truppe del Malatesta, che nel 1415 lo assediò ed espugnò.
Ma più che gli eserciti a danneggiare irrimediabilmente l’incasato fortificato di Collina è stato l’intervento negativo dell’uomo sull’ambiente, protrattosi per secoli, rendendo il paese fortemente esposto alle calamità naturali che nel Settecento furono molte e di diverso tipo. Il secolo iniziò con il forte terremoto del 1703 che causò crolli e morti anche nella vicina Montelparo dove, sotto le macerie del convento Agostiniano, persero la vita due frati (6).
Ma non vi furono solo i terremoti. Le stagioni del 1728 furono molto piovose e produssero smottamenti in diverse zone del Piceno. Capradosso fu completamente distrutto da una frana. Collina Vecchia, resa più vulnerabile dal disboscamento del territorio circostante e situata in una sorta di bacino di raccolta delle acque piovane, fu interessata da consistenti smottamenti e da crolli. Ci si rese conto già allora che molte abitazioni del paese rischiavano di crollare sotto l’azione sistematica delle piogge meteoriche. La situazione parve così grave che furono attuati consolidamenti delle strutture abitative e della cinta muraria che però rappresentarono una soluzione momentanea e inefficace in quanto non risolvevano la vera causa dei cedimenti, e cioè l’azione di dilavamento esercitata dell’acqua piovana.
Oggi Collina Vecchia non è un paese che muore; non esiste più. La sua fine è stata decretata inesorabilmente nel corso del XIX e all’inizio del XX secolo quando è stato ultimato il disboscamento del territorio circostante per far posto alle coltivazioni.
Il paese nel 1910, contava 88 abitanti riuniti in 15 nuclei familiari con 56 particelle immobiliari. Si trova su un pianoro a 181 m s.l.m. ed è circondato da due corsi d’acqua: a sud-ovest, proprio a ridosso delle mura castellane, scorre il fosso detto della Pitturetta (7) e a nord-est quello di San Procolo. I due scoli delle acque confluiscono a nord del paese in un fosso comune.
La storia di Collina Vecchia è un classico esempio di come le trasformazioni dell’ambiente causate dall’uomo abbiano ingenerato talvolta sciagure e disastri. Alcuni autori hanno scritto che a dare il colpo di grazia agli edifici sono stati i terremoti in particolare il forte sisma del 1703 e quello del 1915. Certamente i movimenti tettonici hanno contribuito a lesionare le case, ma non sono stati la causa principale. A decretare la fine del paese, giova ripeterlo, sono stati il progressivo disboscamento del sito e la lenta ma inesorabile infiltrazione del terreno da parte delle acque piovane che hanno trovato nella incoerente roccia arenaria e nei sottili strati di compatta argilla del terreno di Collina degli anfratti ideali di penetrazione e di scorrimento.
Entrambi questi elementi hanno ingenerato un profondo slittamento del pianoro dove insiste l’insediamento. I due fossi che circondano il paese lungo quasi tutto il suo perimetro, hanno scavato solchi profondi indebolendo le fondazioni di molte abitazioni. Le grotte scavate dai Collinesi vicino a molte delle loro case hanno fatto il resto. L’esodo degli abitanti di Collina Vecchia verso il colle dove sorge il nuovo centro demico inizia durante le prime decadi del ventesimo secolo.
Ricostruire le abitazioni più in alto parve allora la soluzione più logica. Alcuni privati cittadini, il parroco del vicino borgo di San Procolo che in quel tempo risiedeva nella canonica di Collina, segnalarono le gravi lesioni strutturali presenti in molti edifici al sindaco di Monte Vidon Combatte, che ordinò un sopralluogo. Dagli esiti di tali verifiche emerse che diversi fabbricati, in particolare quelli costruiti a ridosso del fosso della Pitturetta erano inagibili e che l’intero paese rischiava di crollare sotto la persistenza dello smottamento lento ma progressivo dell’intero pianoro.
Considerata la gravità della situazione l’amministrazione comunale diede mandato all’ing. Gallo Galli di Fermo d’individuare la sede più opportuna per riedificare un nuovo borgo. L’ingegnere, accogliendo anche le istanze e le proposte avanzate da alcuni Collinesi, prese in esame tre aree urbane, una in contrada Sant’Orsola, al confine con Montottone, l’altra nel centro urbano di San Procolo e la terza in una zona più vicina al capoluogo. Dopo molte discussioni fu scelta quest’ultima soluzione in quanto il sito risultava non lontano da Monte Vidon Combatte e dunque alcune infrastrutture esistenti nel comune capoluogo potevano essere più convenientemente utilizzate.
E così in maniera graduale i Collinesi cominciarono a ricostruire più in alto abbandonando per sempre quello che era stato il paese dei loro padri. Il trasferimento proseguì più intenso dopo la prima guerra mondiale. Nel 1937 fu ricostruita la nuova chiesa intitolata a San Marone, la quale è stata ristrutturata negli anni novanta del secolo scorso: gli abitanti di Collina furono e sono molto devoti al santo primo evangelizzatore del Piceno, perché a San Marone è dedicato anche l’antico tempietto, cui prima si accennava, ancora esistente al confine con il territorio di Montottone (8). Mentre risorgeva la nuova Collina, il vecchio incasato si copriva progressivamente di sterpaglie e di macerie edilizie e diventava inaccessibile per la frattura sempre più profonda creata dal movimento franoso.
Oggi non ci sono case, ma solo tratti di muri cadenti. Rimangono ancora visibili appena fuori da quello che è stato un castello le vestigia della chiesa dell’Annunziata. L’antico edificio sacro di San Salvatore in minore interno alle mura oggi non esiste più, si intravedono però tra le erbacce i resti di ossa e i teschi dei cadaveri che venivano seppelliti sotto la sua pavimentazione
CHIESA DELL’ANNUNZIATA DI COLLINA
La chiesa dell’Annunziata di Collina oggi fatiscente, fu edificata tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo a circa 30 metri dalla cinta muraria del castello, sopra a un manufatto preesistente che si apriva su uno spiazzo antistante al borgo in cui si svolgeva il periodico mercato paesano.
Nel 1572 l’edificio sacro fu prolungato verso ovest, in direzione della fonte che è ancora viva; l’allungamento dei muri perimetrali è dimostrato dal distacco simmetrico della muratura su ambo i lati e da alcune difformità del basamento del fabbricato.
Nella chiesa era conservato un dipinto, olio su tela, avente dimensioni 244×154 cm, in esso erano rappresentati la Madonna con Bambino in trono, alcuni angeli, San Marone che reggeva in mano il castello di Collina e con una fune teneva legato un drago e San Procolo raffigurato con mitra e pastorale segni inconfondibili della sua consacrazione episcopale. L’opera fu eseguita da Giacomo Agnelli da Patrignone nel 1565 (9).
Dopo il secondo conflitto mondiale per interessamento dell’arcivescovo di Fermo mons. Cleto Beliucci la tela che si presentava fortemente lesionata nelle parti periferiche, fu fatta restaurare presso la Soprintendenza di Urbino. Le estremità erano talmente malridotte che fu necessario ridurla di dimensioni: attualmente misura 100×56 cm. Tale riduzione ha comportato l’eliminazione delle figure dei due santi patroni, Marone e Procolo.
Dopo i lavori di restauro don Alfonso Carboni allora parroco di Collina per motivi di sicurezza faceva trasferire l’opera presso la curia arcivescovile di Fermo (10).

NOTE
(1) ACMVC = ARCHIVIO COMUNALE DI MONTE VIDON COMBATTE, faldone a. 1911, dalla 9 alla 15.
(2) CHRONICON FARFENSE I, pp. 335 – 339; REGESTO FARFENSE, III, p. 111 doc. 405 conferma di Ottone I nell’anno 967: S. Salvatore in “memoris” (Nemore) ripetuta nelle successive conferme imperiali: anno 998 da Ottone III doc. 425 dello stesso Reg. Farf. IlI, p. 135; anno 1084 da Enrico IV Reg. Far. V, p. 98, doc. 1099; anno 1118 da Enrico V Reg. Farf. V, p. 304 n. 1318; Chron. Farf. Il, pp. 279-287. Cfr. TOMASSINI CARLO, “II castello medievale di Collina a Monte Vidon Combatte di Fermo con documenti 1250-1252” carte dattiloscritte.
(3) RACCAMADORI DOMENICO, “Notitie Istoriche della città di Fermo raccolte dal dottor Domenico Raccamadori”, Acquaviva Picena, 2003.
(4) SELLA PIETRO, “Rationes Decimarum Italiae – Marchia”, n. 5740 Item a Luca Claudii cappellano ecclesie S. Petri de Collina LIIII sol. aa. 1290-1292; n. 6627Item a Luca cappellano ecclesie S. Petri de Collina XLVI sol, aa. 1290-1292; N. 6967 Item a domno Luca cappellano ecclesie S. Petri de Collina XXXIIII, aa. 1290-1292; Item a domno Luca cappellano ecclesie S. Petri de Collina XXXII sol, a. 1299. TARABORRELLI UGO, “Documenti pontifici e vescovili dell’archivio storico del Capitolo metropolitano di Fermo: le carte di San Savino, Santa Maria a Mare e San Pietro Vecchio (secoli XI-XFV), in “Quaderni dell’Archivio Storico Arcivescovile di Fermo” n. 50 p. 79; In Monteriano ecclesiam Sancii Petri de Collina.
(5) ASAF, Visita pastorale card. Paracciani a Collina, a. 1777.
(6) VIRGILI SETTIMIO, Castrum Campori dopo la distruzione, Centobuchi 1998, p. 111.
(7) Il fosso della Pitturetta: il toponimo riconduce al vocabolo “pintura”. E’ probabile che ivi sia esistita la chiesa di Santa Maria di Collina che nei primi secoli dopo il Mille fu demolita e a ricordo è probabilmente rimasta un’icona.
(8) La notizia c’è stata fornita dal sig. Domenico Screpante, che è rimasto l’unico residente di Collina Vecchia e che da anni si dedica in personali ricerche storiche inerenti al castello.
(9) CROCETTI GIUSEPPE, “Giacomo e Francesco Agnelli da Patrignone, in “Immagini della memoria storica”, anno II, p. 184.
(10) Ibidem, pp, 180-190.

This entry was posted in Chiese, DOCUMENTI, Documenti in cronologia, LUOGHI, PERSONE and tagged , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , . Bookmark the permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Gentilmente scrivi le lettere di questa immagine captcha nella casella di input

Perchè il commento venga inoltrato è necessario copiare i caratteri dell'immagine nel box qui sopra